L’uso politico del concetto di percezione della sicurezza
Nel dibattito pubblico italiano (e non solo) su criminalità, degrado urbano e immigrazione, una parola è diventata centrale: percezione. I rappresentanti dei partiti di Sinistra e i pro immigrazione non parlano più di sicurezza, ma sempre più spesso di “percezione della sicurezza” (vedi ad esempio: Come le città stanno provando a migliorare la percezione di sicurezza delle donne, e le dichiarazioni di un assessore alla sicurezza del PD, vedi altri esempi in fondo all’articolo). Questo spostamento semantico, all’apparenza innocuo o tecnico, è in realtà una strategia comunicativa e politica ben precisa: serve a disinnescare le richieste di protezione da parte dei cittadini, a ridurre il valore dei loro vissuti e, soprattutto, a evitare il confronto con i dati oggettivi.
Ma cosa significa davvero parlare di “percezione della sicurezza”? E cosa comporta questa scelta linguistica? In questo articolo analizzeremo le implicazioni culturali, politiche e morali di un’espressione sempre più usata per ignorare i problemi reali e trasformare chi ha paura in colpevole, anziché in persona da proteggere.
La retorica della percezione: una formula per spostare il problema
Quando si afferma che “la percezione della sicurezza è calata”, si suggerisce in modo implicito che:
la realtà non è così grave come appare,
chi ha paura è, in fondo, malinformato o suggestionabile,
i mezzi di comunicazione o le fake news contribuiscono a un’immagine distorta,
e che quindi non serve intervenire sulla realtà, ma sulla comunicazione.
È una forma elegante di deresponsabilizzazione: si parla di “percezione” per dire, in fondo, che il problema non è la criminalità, ma l’ansia che produce. È un modo per psicologizzare il disagio sociale, spostando il dibattito dalla politica alla terapia collettiva.
Dal cittadino vittima al cittadino suggestionato
Questo cambio di paradigma ha un effetto perverso: trasforma il cittadino da vittima di un contesto degradato a soggetto fragile, emotivo, incapace di razionalità. Invece di chiedersi quali eventi abbiano portato una donna a non uscire più da sola la sera in una certa zona, si suggerisce che quella paura sia “percepita” e quindi, in fondo, irrazionale. Invece di chiedersi perché i genitori non vogliano più mandare i figli al parco sotto casa, si dice che “la sicurezza non è realmente diminuita”, solo la sua immagine.
In pratica, chi ha paura viene colpevolizzato: la tua paura non è giustificata, non è razionale, è un tuo problema. Sei tu che vedi le cose in modo distorto. Come se le aggressioni, i furti, gli atti di violenza urbana fossero marginali, quasi incidenti isolati ingigantiti dai social o dalla stampa.
Ma le persone non vivono nei dati, vivono nei luoghi. Se in un quartiere si verificano episodi frequenti di aggressioni, accoltellamenti, furti, molestie o risse, il calo della “percezione” di sicurezza è perfettamente logico e giustificato. È un’esperienza concreta, non un’allucinazione collettiva. Vedi la situazione al momento a Firenze.
Il cortocircuito con i dati reali
Spesso chi parla di “percezione della sicurezza” lo fa ignorando, o evitando, i dati concreti. Eppure, i numeri ci sono, e sono chiari:
In Italia, oltre il 30% dei detenuti è straniero, a fronte di una popolazione straniera attorno al 10%.
Un irregolare su cinque viene arrestato o denunciato per reati.
Nei primi nove mesi del 2024, il 44% delle violenze sessuali sono state commesse da stranieri (regolari o meno).
In molte città italiane, le rapine, gli scippi e i furti sono concentrati in aree ad alta presenza di clandestini o soggetti ai margini.
Questi dati non si possono spiegare dicendo “è solo una percezione”. Sono fatti. Eppure, nel linguaggio di molti opinionisti, sociologi e rappresentanti istituzionali, viene continuamente ripetuto che “il numero complessivo dei reati è in calo” o che “le paure sono influenzate dalla rappresentazione mediatica”.
Il risultato? Si mette in discussione la legittimità della paura stessa. Chi si lamenta di sentirsi meno sicuro non trova ascolto, ma paternalismo. E soprattutto non trova risposte operative.
Una strategia per disinnescare il conflitto sociale
Il riferimento costante alla “percezione” non è solo un errore di comunicazione: è una scelta strategica, funzionale a placare il malcontento senza risolverne le cause. È una tecnica di gestione del disagio che punta a depotenziare la domanda di sicurezza pubblica, a evitare il conflitto politico e a mantenere lo status quo.
La logica è questa: se le persone hanno paura, non è perché lo Stato non le protegge, ma perché sono suggestionate o influenzate da una narrativa ansiogena. Dunque non servono più agenti, controlli, espulsioni o regole, ma comunicazione, inclusione, comprensione. Un discorso che, in teoria, suona nobile. Ma che, nella pratica, lascia i cittadini più esposti e più soli.
I rischi di questa impostazione
Mancanza di intervento concreto
Se si continua a parlare di “percezione”, non si agisce sul problema reale: non si aumentano i controlli, non si presidiano le zone sensibili, non si combatte la criminalità diffusa.Sfiducia crescente nelle istituzioni
I cittadini vedono con i propri occhi cosa accade nel loro quartiere. Se le istituzioni negano o minimizzano, la frattura tra popolo e classe dirigente si allarga.Delegittimazione del dissenso
Chi segnala un problema reale viene accusato di populismo, allarmismo o razzismo. Si crea un clima culturale in cui le critiche legittime diventano tabù, e si spinge il malcontento verso posizioni estreme.
Un esempio concreto: la gestione urbana
Immaginiamo un quartiere dove negli ultimi mesi si sono verificati:
– 2 aggressioni a sfondo sessuale,
– 5 rapine in strada,
– episodi quotidiani di bivacco e spaccio,
– proteste dei residenti rimaste inascoltate.
La risposta istituzionale è: “Non ci sono elementi per parlare di emergenza. L’aumento della percezione di insicurezza è comprensibile, ma non rispecchia l’andamento generale dei reati nella città.”
Ecco servita la neutralizzazione del problema. Il singolo episodio viene trattato come eccezione, la paura viene trattata come esagerazione e l’insieme viene ignorato. In nome della percezione, la realtà viene scolorita.
Vedi invece qual è l’impatto qualitativo della criminalità sulla vita quotidiana.
Restituire dignità alla paura
Chi ha paura non è debole. È qualcuno che ha percepito una minaccia — magari per esperienza diretta, per testimonianza di vicini, per osservazione di un contesto che si degrada.
Il compito dello Stato non è correggere la percezione, ma intervenire sulla realtà. Se le persone non si sentono sicure in certi luoghi, bisogna chiedersi perché, non dire loro che sbagliano. E se i dati confermano che esiste un problema, questo problema va affrontato con strumenti concreti, non con etichette sociologiche.
Conclusione: un linguaggio che disarma
Il linguaggio della “percezione della sicurezza” è elegante, ma disarmante. Dietro la sua apparente oggettività si nasconde una visione del cittadino come soggetto da correggere, non da ascoltare. E una politica che abdica al suo ruolo di garantire l’ordine, la legalità e la protezione.
Restituire valore alla parola sicurezza, senza mediazioni e senza riduzioni, è oggi un atto culturale e civile. Non per alimentare paure, ma per riconoscere che certe paure sono fondate, e che chi le esprime non va rieducato, ma tutelato.
Il riferimento alla ‘percezione di sicurezza’ nelle dichiarazione di sindaci e assessori
Francesca Frenquellucci, assessore di Pesaro, ha sottolineato che per affrontare un crescente peggioramento dell’ordine pubblico e una “crescente percezione di insicurezza”, è fondamentale che i sindaci si attrezzino per gestire le competenze di sicurezza urbana1.
Giampiero Fossi, sindaco di Signa, ha ribadito l’importanza del coordinamento tra i comuni per evitare che la diffusione della microcriminalità oscuri il valore delle zone con una diffusa percezione di insicurezza5.
Assessori partecipanti al vertice a Signa, tra cui Daniele Matteini (Campi Bisenzio), hanno condiviso l’idea che un miglior coordinamento tra le forze dell’ordine può ridurre la percezione di insicurezza legata alla microcriminalità nei territori comunali5.
- Assessore Sandra Villa – Riccione
Nel verbale della Giunta Comunale del 25 ottobre 2024, il Vice Sindaco Sandra Villa ha sottolineato: “La percezione di insicurezza si può contrastare anche con mirate azioni di tipo culturale, diffuse e fruibili da molti, per produrre maggiore sicurezza non attraverso il messaggio della paura e della diffidenza, ma quello, assai più potente, dell’azione culturale.”
Vedi anche
- La sociologia come strumento retorico per minimizzare le esperienze negative e la richiesta di sicurezza dei cittadini
- Un pregiudizio costante e pervasivo pro immigrazione nei siti di IA
- La riforma Cartabia ha ridotto artificiosamente il numero delle condotte criminali e la sicurezza dei cittadini
- A Firenze e dintorni va tutto bene (?)
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Riproduzione riservata. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.