Un diritto negato: decidere chi e quanti stranieri accogliere nelle proprie comunità

1. Introduzione: il paradosso dei diritti umani

Il discorso sui diritti umani è oggi un punto fermo del dibattito pubblico internazionale. Organizzazioni sovranazionali come l’ONU e l’Unione Europea ribadiscono continuamente la centralità della protezione dei migranti, dei rifugiati, delle minoranze. Eppure, in questa nobile narrazione c’è un’assenza che grida: il diritto dei cittadini residenti a partecipare alle decisioni su chi e quanti stranieri accogliere nelle loro comunità.

È un diritto sistematicamente ignorato. I governi impongono quote, redistribuzioni, aperture di centri di accoglienza senza mai consultare le comunità interessate. I media, nella maggior parte dei casi, ignorano il dissenso popolare, liquidandolo come espressione di paura o ignoranza. Le élite progressiste parlano solo dell’altro, dimenticando il qui.

In nome dell’universalismo, si è finito per negare la voce ai cittadini.

2. Il diritto a non essere espropriati della propria comunità

La comunità è il luogo in cui si struttura l’identità dell’individuo. È fatta di lingua, di gesti quotidiani, di rituali collettivi, di senso di appartenenza. Quando una trasformazione massiva e non governata altera questi equilibri, la comunità perde la sua continuità.

Questo è ciò che accade in molte periferie urbane europee. I residenti assistono, impotenti, alla trasformazione culturale dei loro quartieri. In alcune zone, la percentuale di popolazione straniera supera il 40%, e le scuole hanno classi composte al 70% da alunni non italofoni. Ciò non è di per sé un male. Ma è un cambiamento radicale che dovrebbe poter essere discusso e gestito democraticamente. E invece avviene nel silenzio delle istituzioni.

3. Chi decide? Il deficit democratico nell’immigrazione

Le decisioni in materia migratoria vengono prese da attori lontani: Bruxelles, Roma, i Ministeri, le Prefetture. Il cittadino residente è escluso da ogni passaggio decisionale, anche quando si tratta di scelte che impattano direttamente il suo contesto di vita: l’apertura di un centro, l’arrivo di centinaia di nuovi abitanti, il cambio di destinazione d’uso di strutture pubbliche.

Non si tratta di chiedere un potere di veto, ma almeno un meccanismo di consultazione, un principio di trasparenza e partecipazione, come avviene per le opere pubbliche o i progetti ambientali. Eppure, ogni tentativo di coinvolgere la cittadinanza in queste scelte viene bollato come razzismo mascherato.

4. I dimenticati della narrazione: i poveri autoctoni

Nella retorica ufficiale, l’immigrazione è raccontata come una sfida umanitaria e un’opportunità economica. Ma per chi vive in condizioni già precarie, l’arrivo di nuovi soggetti in cerca di casa, lavoro, assistenza, non è un’opportunità, è un problema. E non perché manchi solidarietà, ma perché le risorse sono scarse.

Secondo un’indagine ISTAT del 2023, il 42% delle famiglie italiane con reddito inferiore ai 15.000 euro annui vive in quartieri con presenza immigrata superiore alla media. Queste persone competono per lo stesso alloggio popolare, per gli stessi sussidi, per le stesse liste di attesa. A loro nessuno dà voce. Il costo sociale dell’accoglienza ricade sulle classi popolari, mentre i benefici vengono incamerati altrove.

5. Pressione sui servizi pubblici: dati e realtà

Il sistema dei servizi pubblici è già fragile. L’immigrazione incontrollata lo mette a dura prova. Alcuni dati:

  • Sanità: negli ospedali delle grandi città (Torino, Milano, Roma), la percentuale di utenti stranieri nei pronto soccorso supera il 25%. Le barriere linguistiche rallentano i processi di diagnosi e cura. Le ASL lamentano costi aggiuntivi per mediazione culturale e traduzione.

  • Scuola: secondo il MIUR, nel 2023 il 10% degli studenti delle scuole italiane è straniero. Ma in molti istituti periferici la quota supera il 50%, creando difficoltà di integrazione, aumento della dispersione scolastica e tensioni tra famiglie.

  • Case popolari: i punteggi attribuiti ai richiedenti non distinguono tra cittadini e immigrati. Di conseguenza, spesso le famiglie straniere — giovani, con figli e a basso reddito — superano quelle italiane nelle graduatorie, innescando un conflitto silenzioso ma reale.

Questi dati non devono alimentare odio, ma spingere alla riflessione: si può continuare ad ampliare la platea dei beneficiari senza aumentare le risorse? Chi decide come bilanciare diritti umani e sostenibilità sociale?

6. La questione culturale: vivere in un luogo riconoscibile

Il multiculturalismo è stato per decenni la parola magica della sinistra europea. Tuttavia, la promessa di convivenza pacifica tra culture non si realizza da sola. Richiede tempi lunghi, politiche intelligenti, limiti quantitativi e, soprattutto, consenso.

Autori come Paul Collier (nel suo Exodus) sottolineano che una comunità può assorbire stranieri solo se questi si integrano, e se la loro presenza è numericamente contenuta. Quando l’immigrazione è troppo rapida o massiccia, si crea una frattura: invece che mescolanza, si producono enclave etniche, segregazione, conflitto latente.

In molte città italiane ed europee è già così: quartieri dove non si parla più la lingua locale, dove la religione dominante è un’altra, dove le donne italiane evitano di uscire da sole. Non è razzismo dire che le comunità hanno diritto a conservare un senso di continuità culturale.

7. Immigrazione e interessi economici: chi ci guadagna davvero?

Dietro la retorica dell’accoglienza si muovono enormi interessi economici. L’immigrazione fornisce:

  • manodopera a basso costo per imprese agricole, logistiche, alberghiere;

  • lavoratori domestici per le famiglie borghesi;

  • clienti per le strutture di accoglienza, gestite da cooperative, fondazioni, associazioni.

Douglas Murray, nel suo libro La strana morte dell’Europa, denuncia il “cinismo morale” di élite che promuovono l’accoglienza per motivi ideologici o economici, ignorando chi paga il conto.

È una forma di redistribuzione al contrario: i poveri italiani competono con i poveri stranieri, mentre i ricchi restano protetti. In questo senso, l’immigrazione non regolata non è un atto di giustizia, ma una nuova forma di sfruttamento, che divide gli ultimi per tutelare i primi.

8. Esempi italiani: quando le comunità si ribellano

Diversi casi italiani mostrano cosa succede quando la popolazione locale viene ignorata:

  • Castel Volturno (CE): diventata negli anni una città a maggioranza africana, con grave degrado urbano, abbandono scolastico e criminalità nigeriana radicata. I residenti storici lamentano l’assenza totale dello Stato.

  • Borgo Mezzanone (FG): presenza di un ghetto informale da migliaia di migranti impiegati nei campi. Le condizioni sanitarie e ambientali sono disastrose. Le proteste dei cittadini non trovano eco nei media.

  • Riace (RC): inizialmente modello di accoglienza diffusa, poi crollato sotto accuse di gestione opaca. La popolazione locale è rimasta divisa, alcuni entusiasti, altri ostili, ma mai consultati.

Questi esempi dimostrano che la pace sociale non può essere costruita sopra il silenzio dei residenti.

9. Il diritto alla preferenza locale

In Svizzera, alcuni cantoni prevedono meccanismi consultivi locali sulle politiche di accoglienza. In Danimarca, l’assegnazione di rifugiati è vincolata a criteri di coesione sociale. In Australia, esiste un tetto annuale alle quote migratorie stabilito anche in base a parametri locali.

Perché non introdurre anche in Italia e in Europa forme di “preferenza locale” o almeno meccanismi consultivi? Si tratta di:

  • proteggere i diritti dei residenti;

  • promuovere integrazione sostenibile;

  • prevenire conflitti etnici e sociali.

La “preferenza locale” non è discriminazione, ma responsabilità democratica.

10. Un aggiornamento necessario: modificare le grandi Carte dei Diritti

Uno dei nodi centrali del problema migratorio contemporaneo è l’asimmetria giuridica tra diritti degli stranieri e diritti dei residenti. Le grandi carte fondative dell’etica giuridica moderna — la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, la Costituzione Italiana — sono state scritte in un’epoca storica segnata dal trauma della guerra e dall’urgenza di evitare persecuzioni, deportazioni, stermini. È comprensibile che siano state pensate con un orientamento fortemente universalista.

Tuttavia, nel nuovo scenario globale segnato da migrazioni di massa, pressioni demografiche planetarie e forti squilibri economici, questi testi appaiono incompleti. Mancano di una tutela esplicita di ciò che oggi è diventato centrale per milioni di cittadini europei: il diritto a vivere in una comunità culturalmente coesa e a partecipare alle decisioni sull’apertura della propria casa collettiva a nuovi arrivati.

Per questo è necessario emendare e aggiornare queste Carte, introducendo con chiarezza almeno tre principi fondamentali:

  1. Il diritto dei cittadini residenti a vivere in un contesto culturalmente riconoscibile e non trasformato radicalmente e unilateralmente da flussi migratori decisi dall’alto;

  2. Il diritto delle comunità locali a decidere — o quantomeno a partecipare attivamente — alla determinazione di chi e quanti stranieri possano essere accolti sul proprio territorio, con criteri di sostenibilità culturale, sociale ed economica;

  3. Il principio che i diritti dei cittadini residenti in un Paese debbano avere priorità e peso maggiore rispetto alle aspirazioni migratorie di persone che si trovano in altri continenti, e che intendano entrare in maniera irregolare o senza legami concreti con la comunità di arrivo.

Questo non significa negare la dignità degli altri esseri umani. Significa ristabilire un equilibrio tra i diritti astratti dell’umanità e i diritti concreti delle comunità reali. Significa ricordare che la democrazia nasce dal basso, dai territori, dai cittadini, non da principi giuridici calati dall’alto e validi ovunque e per chiunque, indipendentemente dal contesto.

Una carta dei diritti che ignora i territori è una carta che prepara il conflitto. Perché il diritto, se vuole essere davvero strumento di giustizia, deve ascoltare chi vive le conseguenze delle decisioni, non solo chi ne beneficia a distanza.

È giunto il momento di rimettere al centro della discussione giuridica la sovranità delle comunità. Senza questo passo, l’intero edificio dei diritti rischia di diventare una costruzione ideologica astratta, destinata a crollare sotto il peso delle contraddizioni sociali.

Alcune proposte di modifica:

1. Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (ONU)

Testo originale (Art. 21):

“Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio Paese, direttamente o mediante rappresentanti liberamente scelti.” it.wikipedia.org+12ohchr.org+12cortecostituzionale.it+12

Emendamento suggerito (Art. 21 bis):

“Ogni cittadino ha altresì diritto a convivere in comunità culturalmente riconoscibili, con la possibilità di decidere democraticamente, a livello locale, chi e quanti stranieri possono essere accolti nel territorio in cui vive. Tale diritto ha priorità, nel limite delle capacità sociali, culturali ed economiche della comunità locale, rispetto ad aspirazioni migratorie senza legami territoriali.”


2. Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea

Testo attuale (Preambolo):
Riafferma il rispetto dei diritti derivanti dalle tradizioni costituzionali comuni, in spirito di solidarietà e dignità europarl.europa.eu+3eur-lex.europa.eu+3giurcost.org+3.

Emendamento proposto (Nuovo Art. 57a):

“Il diritto dei cittadini residenti in uno Stato membro a vivere in una comunità culturalmente significativa e a partecipare democraticamente alle decisioni riguardanti l’accoglienza di stranieri sul proprio territorio è riconosciuto come diritto fondamentale. Le istituzioni europee e nazionali devono garantire meccanismi effettivi di partecipazione locale e priorità alle esigenze delle comunità residenti, compatibilmente con le capacità locali.”

Inoltre, all’Art. 51 (Ambito di applicazione):

Aggiungere:
“(3) I diritti riconosciuti comprendono l’obbligo per le istituzioni dell’Unione e degli Stati membri di garantire la partecipazione effettiva delle comunità locali nelle politiche migratorie.”


3. Costituzione Italiana

Art. 2:

“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…” ohchr.orgeur-lex.europa.eu+1cortecostituzionale.it+1

Proposta di emendamento:
Inserire comma aggiuntivo in Art. 2:

“3‑bis. È garantito a ogni cittadino il diritto di vivere in una comunità culturalmente riconoscibile e di partecipare alle decisioni sull’accoglienza di stranieri nel proprio territorio, in proporzione alle capacità locali.”

Art. 3 (1) – principio di uguaglianza:

Aggiungere comma:
“1‑bis. In caso di conflitto tra diritti fondamentali dei cittadini residenti e istanze migratorie da altre comunità senza vincoli territoriali, prevalgono i diritti della comunità locale nel rispetto dei parametri di sostenibilità.”

11. Proposte per una nuova governance dell’immigrazione

Ecco alcune proposte per rendere l’immigrazione più equa e democratica:

  1. Quote territoriali partecipate: ogni territorio può accogliere in proporzione alle sue capacità (posti letto, scuole, lavoro) e dopo una consultazione civica.

  2. Referendum consultivi locali: in caso di grandi trasformazioni (es. apertura di centri di accoglienza), si attiva un processo di confronto pubblico e voto consultivo.

  3. Integrazione condizionata: accesso progressivo ai diritti in base alla partecipazione sociale, conoscenza della lingua, rispetto delle regole.

  4. Priorità a famiglie e lavoratori integrabili, non a soggetti privi di prospettive. I criteri devono essere chiari, non basati solo su emozione o emergenza.

  5. Tutela dei residenti vulnerabili: garanzia di non riduzione dell’accesso a servizi e sussidi in presenza di nuova immigrazione.

Queste non sono misure razziste, ma forme di bilanciamento tra accoglienza e giustizia sociale.

11. Conclusione: senza consenso non c’è inclusione

L’immigrazione è una realtà del mondo contemporaneo. Ma per essere sostenibile deve essere governata, negoziata, condivisa. Imporla dall’alto, nel nome dei diritti astratti, significa negare i diritti concreti delle persone che vivono nei territori.

Il cittadino ha diritto a vivere in un contesto che riconosce e che sente suo. Ha diritto a sapere chi arriverà, perché, con quali risorse. Ha diritto a partecipare alle scelte che cambiano il suo quotidiano.

Continuare a ignorare questo diritto non è solo ingiusto. È pericoloso. Perché alimenta sfiducia, rancore, polarizzazione. E trasforma un’opportunità di convivenza in una mina sociale.

Il diritto all’accoglienza non può fondarsi sulla negazione del diritto alla comunità.

Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Elaborato da Leonardo Evangelista col supporto dell’IA. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993 e di formazione dal 2004. Riproduzione riservata. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.