Le caratteristiche principali della terapia narrativa di White e Epston
Michael Withe e David Epston sono due terapeuti di lingua inglese che hanno messo a punto una forma di terapia narrativa inizialmente utilizzata soprattutto nella terapia familiare. Questo articolo è scritto sulla base del loro libro Narrative Means to Therapeutic Ends (Strumenti Narrativi per Fini Terapeutici) pubblicato nel 1990.
Secondo White e Epston i comportamenti problematici a livello familiare dipendono dal significato che i membri della famiglia attribuiscono a determinati eventi (p.3 -d’ora in poi i numeri si riferiscono alle pagine del libro indicato sopra). Inoltre, le risposte che membri della famiglia cercano di dare al problema contribuiscono a mantenerlo.
Secondo i due terapeuti, le persone costruiscono i significati relativi agli eventi che li coinvolgono attraverso il loro racconto degli eventi stessi. Persone diverse coinvolte nella stessa situazione possono attribuire alla stessa situazione significati diversi, e perciò raccontarla con accenti diversi (3-4). Il processo sarebbe analogo alla lettura di un testo: persone diverse possono attribuire significati diversi allo stesso testo (9).
Le persone vanno in terapia quando le storie che raccontano di sé o che altri raccontano di loro contraddicono la propria esperienza (14-15). L’obiettivo della terapia sarebbe così aiutare le persone a identificare o generare storie alternative più adatte a loro o comunque più ‘aperte’ (15).
Le persone, per costruire storie coerenti, omettono una serie di eventi non coerenti col senso della storia che stanno raccontando (12), questi eventi omessi sono chiamati ‘eccezioni’ (unique outcomes) (15). Le eccezioni sono le volte in cui il problema non si è presentato (16).
Un aspetto qualificante della teoria è che le storie che utilizziamo per raccontare la nostra esperienza sono riprese da un repertorio che è socialmente determinato, che è cioè influenzato dall’ideologia dominante (28). I racconti iniziali del problema di solito includono un senso di fallimento a raggiungere determinati obiettivi o a rispettare determinate norme che sono imposte dal potere dominante (30). Gli autori citano estensivamente Michel Foucault (19-27). La terapia diventerebbe così anche un mezzo di ribellione all’ideologia dominante (31-32).
White e Epston attribuiscono grande importanza alla parola scritta. Una parte delle loro interazioni con i clienti avviene per iscritto, ad esempio con l’invio o lo scambio di messaggi fra una seduta e l’altra, o col rilascio di ‘certificati’ (a rimarcare ad esempio il superamento del problema o l’adozione di determinati comportamenti virtuosi). Questo perché ritengono che la parola scritta nella nostra società viene ritenuta più autorevole (34), permette l’emergere di conoscenze antagoniste a quelle ufficiali (35), facilita la produzione di storie (37).
Le strategie terapeutiche della psicoterapia narrativa di White e Epston
La terapia di White e Epston è basata su tre manovre principali:
Esternalizzare il problema. Il problema viene esternalizzato assegnandogli un nome e reificandolo. Ad esempio con un bambino che soffriva di encopresi (si faceva la cacca addosso) il problema è stato esternalizzato trasformandolo in un immaginario personaggio chiamato Sneaky Poo (Cacca Subdola) e avviando interazioni con la famiglia del tipo: Come puoi fare a difenderti da Sneaky Poo? In che modo Sneaky Poo ti rovina la giornata? Che cosa vuole Sneaky Poo da te?
Individuare gli effetti che il problema ha sulla vita e le relazioni delle persone coinvolte. Questo viene ottenuto chiedendo alle persone coinvolte in che modo il problema ha impattato e impatta sulle loro vite e relazioni (16 e 42)
Chiedere alle persone coinvolte in che modo i propri comportamenti e quelli delle altre persone contribuiscono a mantenere il problema (16 e 45)
Durante le tre fasi vengono individuate un certo numero di eccezioni. Il terapeuta le utilizza invitando il cliente a costruire nuove storie e a presentare una nuova immagine di sé. Ad esempio il terapeuta può chiedere:
Come hai fatto in quella occasione a resistere al problema? (17)
Che cosa ci dice questo successo riguardo a te? (17)
Che differenza fa questa informazione sui possibili accadimenti futuri? (17)
In che modo aver scoperto queste eccezioni può modificare l’atteggiamento verso te stesso? (41)
In che modo aver scoperto queste eccezioni può modificare la tua relazione con ….. (41)
Quando ti rifiuti di cooperare col problema adottando questo comportamento, stai favorendo o limitando il problema? (41)
Alla luce delle eccezioni individuate, quali comportamenti ti converrebbe adottare? (47)
I primi successi ottenuti dal trattamento cosa ci dicono riguardo alle vostre caratteristiche e alle caratteristiche della vostra relazione? (48)
Il processo risulta potenziato se il cliente racconta le nuove storie a altre persone significative esterne (17). Il processo viene potenziato anche dal rilascio al cliente da parte del terapeuta di una serie di attestazioni (alcune in tono serio, altre in tono scherzoso) (17).
Un approfondimento dell’esternalizzazione del problema
Secondo White e Epston:
‘Externalizing’ is an approach to therapy that encourages persons to objectify and, at times, to personify the problems that they experience as oppressive. In this process, the problem becomes a separate entity and thus external to the person or relationship that was ascribed as the problem. Those problems that are considered to be inherent, as well as those relatively fixed quality that are attributed to the persons and to relationships, are rendered less fixed and less restricting (38).
Senza esternalizzazione il problema rimane interno alla persona o alla relazione, e l’incapacità a risolverlo conferma, nei membri della famiglia, la presenza di caratteristiche negative a livello personale o relazionale. L’esternalizzazione invece rende possibile l’emergenza di eccezioni in cui la famiglia non ha il problema o se la cava bene (39).
L’esternalizzazione ha seguenti vantaggi (39-40):
Diminuisce il conflitto improduttivo fra le persone, Incluso su chi è responsabile del problema
Riduce il senso di fallimento provocato dal mantenimento del problema nonostante i tentativi di risolverlo
Promuove la cooperazione fra tutte le persone coinvolte nel problema che sono unite nel tentativo di risolverlo
Permette nuove possibilità di comportamento e la riduzione dell’influenza del problema sulle vite e le relazioni
Permette un approccio più scanzonato ed efficace al problema
Offre la possibilità di un dialogo invece che di un monologo rispetto al problema.
Di un bambino (Luca) che si fa la cacca addosso posso dire:
Luca è encopresico. In questo caso inglobo il problema nella sua identità.
Il problema di Luca è che si fa la cacca addosso. In questo caso definisco il problema in un modo che gli provoca vergogna
Cacca Subdola rende la vita difficile a Luca nascondendosi nei suoi pantaloni. In questo caso manca qualunque stigma ed è più verosimile che Luca si attivi per risolvere il problema. Ad esempio posso chiedere a Luca: ‘In che modo possiamo fregare Cacca Subdola?’
In che modo scegliere le metafore? (vedi Freeman J., Epston D., Lobovits D. (1997) Playful Approaches To Serious Problems, p.58-67). Il primo tentativo va fatto chiedendo alla famiglia o al bambino: ‘Se tu dovessi dare un nome al problema di cui stiamo parlando, che nome gli daresti?’ Altrimenti è il terapeuta che la propone, verificando però che vada bene. Alcuni problemi possono essere personificati in personaggi singoli (come nel caso di Cacca Dispettosa), altri in coppie di personaggi. In altri casi i problemi possono essere indicati con metafore riferite ai rapporti fra persone, ad esempio ‘Il Muro’ nel caso di una cattiva relazione fra madre e figlia. Altre volte ancora ogni membro della famiglia può scegliere una propria metafora, legata al ruolo che ciascuno gioca nel problema. Nel caso di problemi gravi (ad esempio Anoressia grave) è opportuno di usare termini aggressivi (‘combattere’, ‘prenderlo a calci’, ‘picchiarlo’) per riferirsi alle strategie relative al problema; nel caso di problemi meno gravi è opportuno usare termini più pacifici, ad esempio ‘dargli le spalle’, ‘fregarlo’, ‘sconfiggerlo’). Nei casi in cui il paziente non riesce a esternalizzare il problema allora è utile riconoscerlo come una parte distinta della persona e chiedere ad esempio ‘In che modo puoi adattare questa parte con quello che vorresti?’.
La terapia narrativa di White e Epston e il Rasoio di Occam
L’analisi delle tentate soluzioni e la ricerca di eccezioni sono adottate da varie terapie brevi strategiche, ad esempio quelle di Giorgio Nardone; il repertorio di manovre terapeutiche di White e Epston sembra però assai più limitato (ci sono solo 3 manovre fondamentali: analisi tentate soluzioni, ricerca di eccezioni e esternalizzazione). Questo non vuol dire che non possa essere efficace.
L’aspetto che mi preme maggiormente evidenziare è un altro. A ben vedere, le componenti della terapia narrativa di White e Epson sono fondamentalmente due:
Aumentare il senso di autoefficacia: l’esternalizzazione riduce la responsabilità personale, e dunque l’impotenza. L’individuazione e l’enfasi sulle eccezioni mostra come il cliente abbia una qualche possibilità di intervento sul problema. L’esposizione delle soluzioni ad altri significativi, l’ottenimento di certificati di riuscita contribuiscono ugualmente a rafforzare il senso di autoefficacia.
Problem solving per trovare soluzioni al problema: l’analisi delle tentate soluzioni e la ricerca di eccezioni contribuiscono a individuare nuovi comportamenti che possono ridurre o risolvere il problema.
Il rasoio è uno strumento affilato che taglia di netto. Occam è stato un filosofo inglese del ‘300. Il Rasoio di Occam è un principio metodologico alla base del pensiero scientifico moderno. Il Rasoio di Occam ci dice che, nella spiegazione di un problema o nell’adozione di una tecnica sono da preferire le spiegazioni o le soluzioni più semplici, tagliando di netto quello che è superfluo. Esistono altre descrizioni di questo principio, ad esempio che è inutile fare con più ciò che si può fare con meno, non si devono moltiplicare gli elementi più del necessario.
Applicando questo principio alla terapia narrativa di White e Epson, possiamo dire che la terapia narrativa di White e Epson altro non è che una serie di (poche) tecniche volte a migliorare il senso di autoefficacia dei propri clienti. Le loro manovre terapeutiche (e i risultati ottenuti) sono già spiegati da una teoria più intuitiva e semplice da spiegare, quella dell’autoefficacia di Albert Bandura. I riferimenti alle complesse teorie della narrazione, che vanno avanti per pagine e pagine e rendono difficile la lettura del libro, potrebbero tranquillamente essere omessi.
Una teoria è buona se è così semplice da poter essere compresa agevolmente tornando a casa in treno dopo una giornata di lavoro. Questa non lo è.
Molti terapeuti tendono a differenziare e attribuire un proprio marchio di fabbrica alle modalità terapeutiche che usano, per motivi commerciali, di status o di ignoranza di altre teorie già esistenti. Questo atteggiamento non aiuta la comprensione di quello che fanno in concreto.
La terapia strategica breve è in estrema sintesi una modalità di psicoterapia basata sulla prescrizione al paziente di una serie di attività, che hanno lo scopo di ridurre il suo disagio e/o i suoi comportamenti disfunzionali. Questo approccio è diverso da altre terapie come ad esempio la psicoanalisi che è basata sull’interpretazione dei sogni e sull’analisi dei ricordi infantili e della relazione con terapeuta e dalle terapie di derivazione rogersiana basate sull’ascolto empatico. Anche la descrizione dei meccanismi della guarigione è particolare. Ad esempio la psicoanalisi ipotizza che la comprensione delle cause da parte del paziente sia un passaggio fondamentale per la soluzione del problema; la terapia breve strategica ritiene invece che i problemi si risolvano grazie alle esperienze risultanti dalle attività che il terapeuta assegna al cliente.
Una fase fondamentale della terapia breve strategica è l’analisi delle tentate soluzioni, cioè dei tentativi infruttuosi che il cliente ha fatto per risolvere il problema prima dell’incontro col terapeuta (nota 1).
Successivamente il terapeuta assegna al cliente dei compiti da svolgere fra una seduta e l’altra. I compiti devono essere tali da provocare nel cliente nuovi esperienze cognitive o comportamentali che, a seconda dei casi:
aumentino la fiducia nelle proprie capacità e/o
aumentino le proprie abilità sociali e/o
riducano la difficoltà o l’ansia verso il comportamento desiderato e/o
rendano più faticoso continuare col comportamento disfunzionale e/o
facciano perdere al disturbo il suo significato di accusa o rivalsa o compensazione verso se stessi o altri.
Qui di seguito descrivo una serie di compiti (prescrizioni terapeutiche) che i terapeuti che usano l’approccio strategico possono assegnare ai propri clienti. Va evidenziato che le prescrizioni vanno date seguendo determinate modalità, in particolare la prescrizione:
va data sempre alla fine della seduta, perché questo riduce le probabilità che il cliente se la dimentichi
va data con un linguaggio ridondante, perché la ridondanza evita che il cliente se la dimentichi e aumenta la motivazione del cliente a seguirla.
Ecco alcune prescrizioni:
1. La prescrizione del sintomo
Il terapeuta chiedere cliente di continuare a mettere in atto il comportamento disfunzionale modificando però alcune caratteristiche quali ad esempio la durata, la frequenza, l’intensità, il contesto, la sua attenzione. Ad esempio il terapeuta può richiedere una persona che ha pensieri ossessivi indesiderati di richiamarli In un orario predeterminato, oppure a una coppia che litiga di frequente di litigare solo in salotto e solo dopo le ore 18, a una persona che si abbuffa e vomita di vomitare solo sul pavimento e non nel water, e così via. Oppure a una persona che si alza una volta nella notte per controllare se ha chiuso il gas il terapeuta può dire che è libera di continuare ad alzarsi, ma se si alza una volta deve alzarsi almeno altre 4 volte nella stessa notte.
In questo modo il cliente acquista un controllo del disturbo, prima mancante, e/o il disturbo diventa troppo faticoso.
2. La miracle question
Se una mattina lei si risvegliasse e come per magia il suo problema è risolto, da cosa se ne accorgerebbe? In che modo la sua vita sarebbe cambiata? Me lo descriva in dettaglio. La domanda crea una fiducia nel cambiamento.
3. Le eccezioni
Il terapeuta chiede al cliente di riflettere in quali occasioni il problema non si è presentato o non si presenta. Le eccezioni sono utili al terapeuta per capire quali prescrizioni dare; inoltre mostrano al cliente che in alcuni casi ha saputo fronteggiare il problema.
4. La peggiore fantasia
Il terapeuta invita il cliente a immaginare i peggiori scenari possibili riferiti al suo problema, ad esempio che si verifichi un attacco di panico mentre va in auto. Lo scopo è desensitizzare la paura invalidante, mettere a punto delle strategie comportamentali nel caso in cui il problema si verifichi, far individuare al cliente i comportamenti che possono peggiorare il problema.
5. L’esternalizzazione
Il terapeuta invita al cliente a dare un nome al problema e dal quel momento terapeuta e cliente ne parlano come se si trattasse di un soggetto esterno al cliente.
6. La descrizione scritta di eventi di natura somatica
Il terapeuta chiede al cliente di portare con sé un quaderno dove descrivere per iscritto
Per approfondimenti vedi i miei articoli dedicati alla terapia breve strategica
Il navigator, cioè il tutor che si occuperà dell’orientamento dei soggetti disoccupati che ricevono il reddito di cittadinanza, sarà almeno in parte pagato a risultato. Questa è una delle informazioni contenute in un articolo apparso stamani su Il Corriere della Sera Online.
Secondo l’articolo:
[E’] Fondamentale nel disegno M5S il ruolo dei navigator, tutor dei centri di impiego che dovrebbero occuparsi di circa 100-150 beneficiari a testa. Il governo ha in progetto «migliaia» di assunzioni per il ruolo. Il navigator — sull’esempio del modello tedesco — farà da collettore con il mondo delle aziende e degli enti locali. Per ogni assunto avrà diritto a un premio salariale (si parla di un quinto del reddito percepito dal beneficiario).
In caso di assunzione una parte del reddito di cittadinanza andrà all’impresa e un’altra parte al soggetto che ha favorito l’assunzione; sono incluse anche le agenzie private di ricollocazione.
In caso di partecipazione ad attività formative una parte del reddito di cittadinanza andrà all’agenzia formativa
Per saperne di più sulle possibilità di lavoro nel settore dell’orientamento puoi partecipare al mio seminario Come formarti e lavorare nell’orientamento, a Milano il 9 febbraio 2019.
Questo articolo parla del Life Design Counseling sviluppato da Mark Savickas. Savickas è un docente universitario americano, molto noto fra gli studiosi dell’orientamento, che ha partecipato a vari convegni anche in Italia. La descrizione del Life Design Counseling riportata in questo articolo è basata sul libro di Savickas Life-Design Counseling Manual, che è possibile scaricare da questo link.
1. La Psicologia Narrativa
Il Life Design Counseling è basato sulla Narrative Psychology (p.7-9 del Manual). La Narrative Psychology è uno strumento per l’analisi del self, che possiamo qui definire come l’immagine che il soggetto ha di sé e/o cerca di dare agli altri (nota 1). Oltre che dalle esperienze di vita, questa immagine di sé è influenzata anche da età, genere maschile o femminile, gruppo sociale di appartenenza, ruoli sociali (padre, madre, professione, etc.), ideologie. Nella psicologia narrativa l’immagine di sé viene espressa (nota 2) dai racconti che ogni individuo fa delle proprie esperienze (nota 3). Il termine racconto (o storia, o narrativa) indica una serie di eventi concatenati, reali o immaginari (nota 4). In particolare, i racconti permettono di capire il senso che la persona attribuisce alle proprie esperienze e la sua visione del mondo. Persone diverse possono attribuire significati diversi alla stessa esperienza: ad esempio qualcuno può vivere un licenziamento come un momento di liberazione, qualcun altro come una conferma della propria incapacità. La psicologia narrativa si concentra così sul senso che ogni persona attribuisce alle proprie esperienze di vita e al mondo, e su come immagine di sé e visione del mondo vengono creati e possano essere modificati attraverso il racconto di storie. Alcuni autori hanno elaborato tecniche standardizzate di analisi delle storie personali che permettono di inferire alcune caratteristiche del self quali resilienza e senso di potere personale (chiamato agency).
La psicologia narrativa postula che sia possibile differenziare la persona dal proprio sé, addirittura che alcune persone possono adottare immagini di sé e (in maniera consapevole e inconsapevole) comportamenti che non sono funzionali ai propri bisogni ‘reali’ o ‘più profondi’. La distinzione fra persona e sé sarebbe utile perché indirizza il lavoro terapeutico e educativo su attività volte alla modifica dei significati disfunzionali adottati dalle persone.
La Psicoterapia Narrativa utilizza storie (non solo quella ‘reale’ del paziente, ma anche storie immaginarie dove il paziente agisce in maniera diversa dal reale e storie di altro tipo) per far emergere e modificare emozioni e cognizioni dei pazienti. L’assunto di base è che il cambiamento della narrazione determini il cambiamento della realtà percepita dal paziente e questo porti cambiamenti dei comportamenti e per questa via il superamento del problema (nota 5).
Il mio seminario Laboratorio sulle tecniche espressive per l’orientamento e il career coaching, in aula o a distanza, fornisce un fascicolo con con varie decine di tecniche narrative da utilizzare in attività di orientamento.
2. La strutturazione del colloquio condotto secondo la metodologia del Life Design Counseling
Il Life-Design Counseling Manual è di difficile lettura perché utilizza molti termini specialistici della Psicologia Narrativa, in genere senza spiegarli: career construction (5, i numeri si riferiscono alle pagine del Manual), meaning-making dialogue (8), identity story (9), construct the career (9), makes sense of owns problems (9), deconstruction (10), sense-making (12), micro and macro narrative (12), make a committment to self (13), de-storyed (13), fallen out of story (14), self (19), agency (19), agentic action (75), etc.
La tecnica descritta nel Manual non è stata validata da ricerche specifiche, mancano perciò dati affidabili sulla sua efficacia (7).
Secondo Savickas, il Life-Design Counseling è adatto a clienti che non sanno prendere una decisione professionale e/o sono in cerca di nuove idee professionali. Il Life Design Counseling non è invece adatto per consulenza su ricerca di lavoro (25).
Una tipica consulenza basata sul Life-Design Counseling è strutturata in 2 incontri.
Nel primo incontro il consulente pone le seguenti domande:
Come posso esserti utile? [e dopo aver ascoltato la risposta] C’è altro? (16)
Che personaggi ammiravi quando eri un bambino? Chi erano i tuoi eroi o eroine? Vorrei tu mi indicassi 3 persone, diverse da tuo padre e tua madre, che ammiravi quando avevi dai 3 ai 6 anni. Può trattarsi anche di persone reali che non conoscevi, di personaggi dei fumetti, dei cartoni animati o di novelle. Quali erano le caratteristiche personali di ciascuno? Che cosa hanno di diverso o in comune fra loro? In che cosa somigli o sei differente da ciascuno dei tre? (28)
Sei abbonato o leggi regolarmente qualche rivista? Indicamene almeno tre. Dimmi di cosa parla questa rivista. Che cosa ti attira in questa rivista? Cosa trovi interessante? Perché preferisci questo ad altro? Indicami almeno tre programmi televisivi che guardi regolarmente? Indicami almeno tre siti web che visiti regolarmente. [Anche per programmi televisivi e siti internet valgono le stesse domande di approfondimento] (30-31)
Qual è al momento il tuo racconto preferito, ripreso dalla TV o da un libro? Prova a raccontarmelo (33)
Qual è il tuo motto preferito? [se il cliente non ha idee:] Vuoi crearne uno adesso? (34)
Quali sono le tue memorie più antiche? Dovresti raccontarmi tre episodi di quando avevi da 3 a 6 anni. Se tu dovessi assegnare una emozione a ognuno dei tre episodi, di che emozioni si tratta? Qual è la parte più vivida di ogni episodio? Per cortesia, dimmi un titolo per ogni episodio [il titolo deve contenere un verbo] (35-36).
Nel secondo incontro il consulente chiede al cliente di rivedere e assemblare le risposte date nel primo incontro. Il consulente utilizza delle frasi stimolo da completare. Le indichiamo nella successione prevista da Savickas:
In questo momento di transizione professionale la mia preoccupazione di fondo mi ricorda………. [il cliente deve rispondere sulla base dei risultati della domanda 5, quella dedicata alle memorie più antiche, p.39]. Poi il consulente legge al cliente in successione i titoli dei tre episodi, dal primo al terzo, e prova a identificare un tema comune, chiedendo un commento al cliente (39)
Io sono …………………….., ……………………., e …….. (p.46). La risposta va cercata fra i risultati della domanda 1, quella dedicata a tre figure significative nell’infanzia (46). Il primo aggettivo usato per la prima figura e quelli più frequenti sono quelli più importanti (47)
Per risolvere i miei problemi di crescita, ho trasformato ………………. In ………………. (p.49). Il cliente deve rispondere collegando i problemi che emergono dalle memorie più antiche alle possibili soluzioni offerte dalle qualità delle figure significative (49). Il consulente discute col cliente il percorso che ha portato dai propri problemi infantili alla scelta di figure modello (50)
Adesso posso usare gli atteggiamenti che ho imparato dai miei eroi infantili nei miei obiettivi formativi e professionali. Sono interessato in: incontrare persone che sono ……, posti come ……., risolvere problemi che hanno a che fare con ……, e usare procedure del tipo ……. In particolare, sono interessato in ………., e in …………………. (52)
Il miglior suggerimento che in questo momento ho per me è ……………………………… (63)
A questo punto il consulente mette tutte le risposte assieme ottenendo un Life Portrait (65) e lo rilegge al cliente (67). Durante la rilettura, paragrafo per paragrafo, il cliente è invitato a commentare (68). Ogni singolo paragrafo può anche essere usata come introduzione a uno scritto più dettagliato di approfondimento (66).
Poi il consulente sposta il colloquio sulle azioni da fare per raggiungere l’obiettivo professionale delineato completando la frase 9. In questo processo il consulente richiama il racconto preferito dal cliente (domanda 3 dell’incontro 1), dicendo che il racconto contiene istruzioni su come il cliente deve muoversi (70-71).
A questo punto cliente e consulente discutono se il Life Portrait risponde al problema che ha portato il cliente a richiedere la consulenza (71). Se la risposta è positiva, cliente e consulente mettono a punto un piano d’azione (72). Il cliente è invitato a raccontare il proprio Life Portrait ad altre persone per lui/lei significative (73).
In caso di difficoltà col piano d’azione, cliente e consulente possono vedersi una terza volta per modificarlo (80).
3. Una valutazione della metodologia del Life Design Counseling
La metodologia utilizzata da Savickas è criticabile da vari punti di vista. Fondamentalmente sono opinabili buona parte delle connessioni fra i temi indagati con le domande e la vita professionale.
Secondo Savickas ogni gruppo di domande permette di identificare un diverso aspetto del cliente:
la domanda 1 la concezione che i clienti hanno di sé stessi
la domanda 2 le loro aree di interesse professionale
la domanda 3 le storie o gli atteggiamenti culturali che possono guidare il cliente nella propria transizione professionale
la domanda 4 i consigli che i clienti danno a sé stessi
la domanda 5 la prospettiva da cui il cliente vede il problema che l’ha portato a richiedere la consulenza
Con riferimento al primo incontro è opinabile che:
I personaggi ammirati in età da 3 a 6 anni (domanda 1) possano darci indicazioni sulla concezione che i clienti hanno di sé stessi
Che le memorie più antiche (domanda 5) indichino la prospettiva da cui il cliente vede il problema che l’ha portato in consulenza.
Sono solo leggermente più ragionevoli (ma rimangono deboli) le ipotesi che:
La storia preferita (domanda 3) possa guidare il cliente nella propria transizione professionale
Il motto preferito (domanda 4) sia il consiglio che i clienti danno a sé stessi.
Anche il secondo incontro si basa su ipotesi opinabili. In particolare è opinabile:
Che le memorie più antiche, e in particolare la prima, offrano una prospettiva per analizzare il momento attuale vissuto dal cliente e ci forniscano informazioni sulle sue preoccupazioni che ‘potrebbero essere trasformate in scelte professionali’ (Counselors consider wheter the perspective is also a preoccupation, one that may be turned into an occupation) (p.40). Secondo Savickas i clienti scelgono intuitivamente memorie antiche legate alla loro situazione professionale attuale (41), e che siano in grado di ispirare le loro scelte e azioni attuali (42). Il primo verbo della descrizione del primo episodio raccontato indicherebbe la modalità tipica di agire nel mondo (a persons’s most frequent way of moving in the world), mentre l’emozione che il cliente ha assegnato all’episodio corrisponderebbe all’emozione sentita molto spesso, specialmente durante transizioni professionali (42). Secondo Savickas, il problema presente nell’episodio 1 e 2 costituisce il possibile obiettivo dell’attuale fase di transizione professionale del cliente, che emerge dall’episodio 3 (42-44)
Che i personaggi ammirati nell’infanzia rivelino l’immagine che il cliente ha di sé al momento (46-47) e che i loro atteggiamenti indichino soluzioni che il cliente ha adottato nel proprio percorso professionale (50-51)
che il racconto emerso con la domanda 3 dell’incontro 1 contenga istruzioni su come il cliente deve muoversi (70-71)
In generale, solo le domande 2 e 9 (la parte che inizia da Sono interessato in: ) sono coerenti con le teorie e la pratica dell’orientamento maggiormente diffuse e accettate. Anche la domanda 10 è giustificata come strumento di empowerement (responsabilizzazione/emancipazione) del cliente.
Riguardo alle altre domande, nel settore dell’orientamento non conosco nessun altro autore che leghi sviluppo professionale con eroi infantili, memorie arcaiche o racconto preferito né Savickas prova ad argomentare questo suo approccio. Savickas si limita a citare alcuni libri e articoli in bibliografia, dunque quelle di Savickas sono ipotesi estremamente deboli, atti di fede. Alcuni dei libri e articoli citati da Savikas sono datati, nessuno di essi è focalizzato sull’orientamento o lo sviluppo dell’identità professionale:
Buhler C. (1935) From birth to maturity: An outline of the psychological development of the child
Clark A. (2002) Early recollection: Theory and practice in counseling and psychotherapy
Mayman M., Faris M. (1966) Early recollection as an expression of relationship partners (articolo)
Mosak H. H. (1958) Early recollection as a projective technique (articolo).
In quali modi allora un dispositivo che manca in buona parte di un fondamento logico può risultare soddisfacente o produrre un profilo personale e un obiettivo realistico? Alcune ipotesi:
una parte dei clienti può approvare le illogiche connessioni prodotte dal dispositivo (fra eroi infantili, memorie arcaiche, racconto preferito e sviluppo professionale) semplicemente perché suggestionata
il dispositivo può produrre obiettivi professionali validi grazie alla capacità di insight del consulente (42)
durante la discussione delle connessioni illogiche prodotte dal dispositivo il cliente fornisce informazioni valide sulle proprie caratteristiche e aspirazioni
eroi infantili, memorie arcaiche e racconto preferito vengono utilizzati come metafore, cioè spunti per fare emergere contenuti validi. Il libro di Mosak citato in bibliografia, che si riferisce all’uso delle memorie arcaiche come tecniche proiettive prospetta un approccio di questo tipo. Dunque non è vero, come sostiene Savickas, che i clienti scelgono intuitivamente memorie arcaiche legate alla loro situazione professionale attuale (41). Accade invece che alla domanda 6, Cosa c’entra questa memoria con la tua situazione attuale il cliente si sforzi di dare una risposta utile. Le memorie arcaiche (e anche eroi infantili e racconto preferito) non hanno cioè una componente di verità, ma vengono usate come metafore, cioè spunti per parlare di qualcos’altro. Un punto da evidenziare è la scarsa maneggevolezza delle memorie arcaiche come spunto per metafore sulla situazione professionale. Ad esempio una memoria del tipo: Sono sul seggiolone e sto mangiando la pappa è assai meno produttiva di metafore di un compito del tipo: Disegna qualcosa che rappresenti la tua situazione professionale attuale. Il secondo compito permette molta maggiore libertà espressiva.
Il cliente sa in anticipo (ha raccolto informazioni su Savickas, ha parlato con amico che ha già fatto la consulenza, etc.) che quello che dice sarà interpretato, e allora fin dall’inizio presenta al consulente materiale adatto per interpretazioni in ambito professionale. È il processo che accade a molti pazienti di terapie psicoanalitiche, i cui sogni e fantasie sono prodotti non da un inconscio finalmente libero di esprimersi, ma in funzione della comunicazione col terapeuta.
Un altro aspetto criticabile del Life Design Counseling è la mancata ricostruzione del percorso formativo e professionale del cliente. Savickas afferma di non essere interessato a una ricostruzione del percorso formativo e professionale del cliente, perciò non pone nessuna domanda a riguardo. Egli ritiene che eventuali informazioni rilevanti emergeranno durante il colloquio (17). Senza una ricostruzione puntuale del percorso formativo e professionale non è possibile valutare l’impiegabilità personale, e senza una valutazione dell’impiegabilità personale non è possibile valutare fattibilità e efficacia di obiettivo e progetto professionale. La ricostruzione del percorso formativo e professionale (con l’approfondimento dei motivi delle diverse scelte, dei cambiamenti di percorso, del livello soddisfazione e di riuscita nelle diverse esperienze, etc.) è inoltre un momento eccellente la comprensione dell’immagine che il cliente ha di sé e delle sue aspirazioni.
4. Psicologia narrativa e Life Design Counseling
Savickas colloca la sua metodologia nell’ambito della psicologia narrativa, ma a ben vedere questa collocazione è debole. Delle 13 domande che nel suo modello il consulente pone al cliente, solo 5 (la 0, 3, 5, 6, 8) chiedono al cliente di formulare una narrazione. Le altre gli chiedono semplicemente di indicare dei personaggi (la 1), riviste e siti di interesse (2), il motto preferito (4), una serie di caratteristiche personali (7), i propri interessi (9), un suggerimento a sé stesso (10). Savickas ignora addirittura il racconto del proprio percorso biografico che è la componente principale di un gran numero di tecniche narrative.
Inoltre la modalità di lavoro di Savickas non segue quella standard della terapia narrativa. Nella terapia narrativa si chiede al cliente di formulare nuove storie positive (reali o future) che lo vedono protagonista o che definiscono il suo problema diversamente (vedi nota 5). Il Life Portrait non è una vera e propria storia, nel senso di una serie di eventi concatenati (vedi l’esempio a p. 77), ma solo una lista di attributi personali (ho paura di…, mi sento….) e di desideri per il futuro (vorrei lavorare in campo educativo…..).
Se il Life Design Counseling non applica le modalità classiche della terapia narrativa, in che modo riesce a produrre benefici?
Le componenti principali di efficacia del Life Design Counseling sono sei:
l’ascolto da parte del consulente
la fiducia del consulente sulle capacità di riuscita del cliente
la riflessione guidata sulle proprie caratteristiche
la definizione di un obiettivo di cambiamento e la pianificazione delle attività future necessarie per raggiungerle
la fornitura diretta o l’invito a raccogliere informazioni su settori professionali e singole professioni
il miglioramento delle capacità del cliente di auto analizzarsi e programmare attività future
A ben vedere, si tratta delle stesse componenti che portano benefici in tutti i colloqui basati sulle abilità di counseling. Dunque, per ottenere (e spiegare) i benefici del colloquio condotto secondo la metodologia del Life Design Counseling non c’è bisogno di ricorrere a una teoria aggiuntiva rispetto a quella delle abilità di counseling.
Quanto è nuova la metodologia di Savickas? Dipende dal termine di paragone. Negli Stati Uniti l’orientamento è stato a lungo caratterizzato da un approccio basato sui test e da un matching rigido fra caratteristiche personali come descritte dai test e caratteristiche per il successo nelle diverse professioni (Savickas parla di ‘vocational guidance based on scores’ (p.7)). In Italia questa impostazione è utilizzata solo in alcune attività di orientamento scolastico.
Secondo alcuni studiosi il self è una vera e propria struttura psichica che si trova dentro la persona, secondo altri il self altro non è che il modo in cui l’individuo percepisce globalmente se stesso, vedi Jervis G. (1997:122) La conquista dell’Identità. A pag. 123 Jervis cita Neisser U. The Perceived Self (1993:4): “…un self non è una parte speciale di una persona (o di un cervello): è l’intera persona considerata da un particolare punto di vista.”. E a p. 128 Jervis scrive che: The self è intraducibile in italiano. Volendo, può venir reso nel nostro idioma a seconda degli autori e dei testi da tradurre – come “la persona”, “l’identità”, “la mia identità”, “la mia immagine di me stesso”, o in certi casi come “il mio io” (purché sia chiaro che è nel senso di “io autorappresentato”), oppure come “me stesso”, e persino a volte – ma questa traduzione è stata fonte di malintesi – semplicemente come “l’io”.
in alcuni casi addirittura costruita.
Il racconto delle proprie esperienze e più in generale la produzione di storie viene chiamata storytelling.
Secci E. M. (2012:32) Le tattiche del cambiamento. Manuale di psicoterapia strategica.
Raccontare storie può avere obiettivi diversi. Ad esempio:
divertire
insegnare qualcosa su come funziona il mondo, un determinato ambiente, una determinata attività
rivivere un’esperienza
condividere un’esperienza
Il termine ‘dare senso’, molto usato negli scritti che parlano di stroytelling, significa collocare un episodio, una serie di episodi, un’informazione, un concetto all’interno della nostra visione del mondo. Significa analizzarlo e categorizzarlo. La classificazione può includere anche l’attribuzione di una etichetta valoriale. Per uscire dal generico, è però necessario avere chiaro quali sono le categorie classificatorie. Ad esempio l’espressione Il mio percorso professionale indica una concatenazione di episodi che possono essere classificati con le seguenti categorie:
soddisfacente / insoddisfacente
fortunato / sfortunato
piacevole / noioso
e inoltre possiamo indicare da cosa è stato determinato e in che tipo di mondo si colloca.
Come è noto, gli operatori sanitari, fra cui gli psicologi, hanno l’obbligo di svolgere attività di formazione continua per mantenere e migliorare costantemente la propria professionalità. Il Manuale sulla Formazione Continua del Personale Sanitario, realizzato AGENAS Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Nazionali, è un documento ufficiale che riporta tutte le informazioni relative alla formazione continua del personale sanitario.
Il Manuale è stato collocato sul sito AGENAS il 06/12/2018 e si riferisce al periodo dal 1 gennaio 2019 in poi.
L’indice del Manuale è il seguente:
MANUALE SULLA FORMAZIONE CONTINUA DEL PROFESSIONISTA SANITARIO
INDICE
1. Diritti ed obblighi sulla formazione continua del professionista sanitario 5
1.1. Obbligo di formazione continua 5
1.2. Destinatari e decorrenza dell’obbligo formativo 5
1.3. Accesso alla formazione continua 6
1.4. Pubblicità dell’evento ECM 7
1.5. Attività formative 8
1.6. Docenti dell’evento 11
1.7. Conflitto d’interessi, sponsorizzazione e pubblicità nell’evento 12
1.8. Reclutamento del professionista sanitario 14
1.9. Scheda di qualità percepita e percezione interessi commerciali in ambito sanitario 14
1.10. Attestati ECM e attestati di partecipazione 14
1.11. Certificazione ECM 15
1.12. Segnalazione di irregolarità 16
1.13. Tutela del discente (o docente) nel caso di mancato, incompleto o inesatto rapporto
dell’evento da parte del provider 16
2. Obiettivi formativi e Dossier formativo 17
2.1. Obiettivi formativi 17
2.2. Dossier formativo 19
2.2.1 Dossier formativo individuale e di gruppo 19
2.2.2 Requisiti per la realizzazione del dossier formativo e relativo bonus 20
3. Formazione individuale 21
3.1. Attività formative non erogate da provider 21
3.2. Attività di ricerca scientifica 21
3.2.1. Pubblicazioni scientifiche 21
3.2.2. Sperimentazioni cliniche 21
3.3. Tutoraggio individuale 22
3.4. Formazione individuale all’estero 22
3.4.1. Formazione individuale svolta all’estero presso enti inseriti nella LEEF 22
3.4.2. Formazione individuale svolta all’estero presso enti non inseriti nella LEEF 23
3.4.3. Convenzioni e misure per il mutuo riconoscimento dei crediti all’estero 23
3.5. Autoformazione 23
3.6. Riconoscimento e registrazione dei crediti per attività di formazione individuale 23
3.7. Recupero dell’obbligo formativo del triennio 2014/2016 24
3.8. Obbligo formativo medici competenti 24
4. Esoneri ed esenzioni 25
4.1. Esoneri 25
4.2. Esenzioni 26
4.3. Valutazione delle istanze 27
ALLEGATO I. Scheda di valutazione della qualità percepita
ALLEGATO II. Attestazione del numero di crediti formativi registrati sul sistema COGEAPS
ALLEGATO III A. Certificazione ECM
ALLEGATO III B. Certificazione ECM Medico del lavoro
ALLEGATO IV. Domanda di riconoscimento dei crediti per pubblicazioni
ALLEGATO V. Domanda di riconoscimento dei crediti per sperimentazioni cliniche
ALLEGATO VI. Domanda di riconoscimento dei crediti per tutoraggio
ALLEGATO VII. Domanda di riconoscimento dei crediti per formazione individuale all’estero
ALLEGATO VIII. Domanda di riconoscimento dei crediti per autoformazione
ALLEGATO IX. Modello per il riconoscimento di esonero
ALLEGATO X. Modello per il riconoscimento di esenzione
ALLEGATO XI. Modello per il riconoscimento di esonero/esenzione per casi non previsti dal Manuale
ALLEGATO XII. Delibera Dossier formativo 2017-2019
Puoi scaricare il Manuale cliccando su questo link.
Secondo dati ANPAL citati stamani da Il Corriere della Sera Online, psicologi e orientatori sono le figure di cui c’è maggiormente bisogno nei centri per l’impiego. I centri per l’impiego, come è noto, sono principale struttura su cui dovrebbe basarsi il previsto reddito di cittadinanza.
L’articolo de Il Corriere della Sera elenca anche una serie di criticità (oltre alla dotazione di personale preparato) che è necessario risolvere per poter attivare il reddito di cittadinanza, in particolare:
una banca dati unica nazionale di tutte le offerte di lavoro
la possibilità per i CPI di accedere alle banche dati di inps, Agenzia delle entrate, Miur
la riduzione i una serie di procedure burocratiche che al momento assorbono l’attività del 50% dei dipendenti dei centri per l’impiego
il rinvio ai centri per l’impiego delle sole persone che sono effettivamente in grado di lavorare. Si stima che le persone immediatamente in grado di lavorare siano solo circa un quarto dei 5 milioni di cittadini che potrebbero risolvere il reddito di cittadinanza.
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Dove trovare ulteriori informazioni
Per saperne di più sulle possibilità di lavoro nel settore dell’orientamento (incusi i navigator) puoi partecipare al mio seminario Come formarti e lavorare nell’orientamento, a Milano il 9 febbraio 2019.
Come formarti per imparare a lavorare come orientatore / addetto politiche attive
Per formarti per imparare a lavorare come orientatore / addetto politiche attive puoi frequentare il mio corso a distanza o a Milano.
AGGIORNAMENTI: VEDI GLI ALTRI ARTICOLI IN FONDO ALLA PAGINA
Il programma dell’attuale Governo prevede com’è noto la concessione di un reddito di cittadinanza a tutti i cittadini italiani che si trovino in condizione di povertà e abbiano più di 18 anni.
La concessione del reddito di cittadinanza è subordinata alla partecipazione ad attività di orientamento e/o formazione.
Un punto interessante è se il reddito di cittadinanza sarà gestito solo dai servizi pubblici per l’impiego oppure, come già accade nella gran parte delle regioni italiane per le politiche del lavoro esistenti, anche da agenzie private accreditate per l’orientamento e i servizi al lavoro.
Fino a qualche mese fa sembrava che i soggetti privati fossero esclusi, così ad esempio un articolo apparso su Il Corriere della Sera il 28 settembre 2018 segnalava che il Ministero del Lavoro non aveva contatti con Assolavoro, l’associazione delle Agenzie per il lavoro private (Manpower, Randstad, etc.).
“Il Navigator fa parte del programma di assunzioni che faremo. Li selezioniamo con un colloquio per trovare altre persone con alto profilo per seguire i giovani che hanno perso il lavoro. (…) L’importante è che la persona che orienta il disoccupato venga pagato in base al numero delle persone orientate”.
Il Navigator: “formerà e orienterà [il disoccupato] in modo che l’azienda la possa assumere senza doverla formare (…) La formazione non necessariamente deve essere avvenire nei centri per l’impiego; ma anche in un centro privato, in una azienda”.
Ascoltando l’intervista (vedi un estratto) sembra di capire (al minuto 3:06) che i Navigator possano essere anche personale esterno ai centri per l’impiego, appartenente alle Agenzie per il lavoro private.
Un altra informazione utile è che il 2 dicembre i relatori della legge di bilancio hanno presentato un emendamento che prevede che dal 2019 le Regioni potranno assumere fino a 4000 persone da destinare ai centri per l’impiego.
Secondo un mio collega che lavora all’interno di un centro per l’impiego la misura è riferita almeno in parte a personale precario che già lavora presso i centri e che sarà così stabilizzato.
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In questi giorni è in discussione in parlamento la legge di bilancio 2019. La legge di bilancio, proposta dal Governo, stabilisce le spese pubbliche e le entrate previste per l’anno successivo.
Ieri 2 dicembre i relatori della legge hanno presentato un emendamento che prevede che dal 2019 le Regioni potranno assumere fino a 4000 persone (cosiddetti navigator) da destinare ai centri per l’impiego.
Inoltre sono stanziati fondi da destinare ad ANPAL Servizi (una società controllata dal Ministero del lavoro) per assumere altri 6000 navigator.
Per informazioni aggiornate, inclusi i tempi delle assunzioni dei navigator regionali e ANPAL e i requisiti richiesti ai navigator ANPAL leggi gli articoli in fondo alla pagina.
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Come formarti per imparare a lavorare come orientatore / addetto politiche attive
Che relazioni possono esserci fra il sistema nazionale di certificazione delle competenze acquisite in contesti formali e non formali e il bilancio di competenze?
Il sistema nazionale di certificazione delle competenze è stato introdotto da vari provvedimenti legislativi, in particolare i Commi 56 e 68 della legge 92/2012, il D.Lgs 13/2013, il Dl 30-6-2015. In estrema sintesi, il sistema permette di ottenere una qualifica professionale senza frequentare un corso di formazione (per chi è interessato, maggiori informazioni possono essere richieste al Centro per l’impiego, ad agenzie formative accreditate, all’assessorato regionale alla formazione professionale, oppure col corso INAPP Vali.Co).
Il processo di certificazione è strutturato in 4 fasi:
1. Accoglienza. Il candidato alla certificazione è informato sul processo e si valuta se gli conviene farlo.
2. L’individuazione delle competenze. Con l’aiuto di un operatore, il candidato individua le proprie competenze fra quelle indicate sul sito Atlante del lavoro e mette a punto un dossier delle evidenze che provano il possesso delle competenze individuate.
3. Validazione. Un operatore diverso da quello che ha aiutato il candidato nella fase precedente riesamina tutta la documentazione. Se una o più delle competenze non è sufficientemente dimostrata, l’operatore, assieme ad un esperto di settore, può far svolgere al candidato una prova di verifica.
4. Certificazione. Il candidato svolge una simulazione davanti a una commissione composta anche da un rappresentante della Regione dove viene svolto il processo di certificazione. La commissione rilascia la qualifica (se l’utente ha fornito evidenza del padroneggiamento di tutte le competenze che compongono la qualifica) oppure un documento che dichiara quali sono le singole le competenze padroneggiate.
Nell’orientamento, il bilancio di competenze è una tecnica che con opportuni strumenti (schede pedagogiche, test psicoattitudinali, etc.) rileva e rende manifeste al soggetto quelle caratteristiche personali utilizzabili sul lavoro (una ‘fotografia’ della persona) al fine di definire un obiettivo professionale e mettere a punto un piano d’azione per raggiungerlo.
Dunque ambedue i dispositivi rilevano le competenze. Quali rapporti ci sono fra i due dispositivi? Il bilancio di competenze può essere utilizzato nella fase di individuazione o validazione delle competenze?
Nella fase di validazione sicuramente no, perché il bilancio di competenze orientativo si limita a rilevare le competenze, non le misura. Il dispositivo di certificazione delle competenze del sistema nazionale di certificazione invece rileva che le competenze del candidato raggiungano uno standard minimo prestabilito prima della prova di valutazione.
La risposta relativa alla fase di individuazione è più articolata. Nel bilancio di competenze usato nell’orientamento si analizzano una serie di fattori personali legati alla buona prestazione lavorativa e alla scelta dell’obiettivo professionale, quali ad esempio capacità trasferibili, atteggiamenti, valori professionali, conoscenze e capacità di natura tecnica (si usa cioè l’approccio americano alla competenza, vedi il mio articolo). Nel sistema nazionale di certificazione l’analisi è invece focalizzata sulla prestazione, vale a dire a come il candidato alla certificazione svolge i compiti tipici della qualifica di cui chiede il rilascio (si usa cioè l’approccio inglese alla competenza). I due dispositivi analizzano così elementi in buona parte diversi.
L’unica area di analisi comune è l’analisi delle capacità di natura tecnica (e delle conoscenze collegate) svolta nel bilancio. In questa fase si chiede alla persona quali sono le attività principali delle esperienze lavorative più recenti e se la persona era in grado di svolgerle a un livello accettabile. Queste attività principali corrispondono alle sotto attività della ADA Aree di Attività utilizzate nel sistema nazionale di certificazione. Perciò, con l’aiuto dell’Atlante del lavoro, il bilancio di competenze orientativo può essere utilizzato per individuare le Aree di Attività su cui poi chiedere la certificazione.
Abbiamo così due casi:
DAL BILANCIO ALLA CERTIFICAZIONE. Il candidato ha già svolto un bilancio di competenze orientativo in cui il consulente di orientamento l’ha aiutato anche a individuare le ADA di possibile certificazione. In questo caso la procedura di individuazione delle competenze durante il processo di certificazione andrà comunque ripetuta con un diverso operatore, perché l’operatore del processo di certificazione vorrà esaminare direttamente quali sono le ADA certificabili. Inoltre la procedura del processo di certificazione prevede anche passaggi specifici diversi da quelli del bilancio orientativo e una modulistica specifica diversa da quella utilizzata nel bilancio (che in genere non prevede una modulistica standard o, nelle regioni dove è standardizzata , come la Lombardia, prevede una modulistica diversa).
DALLA CERTIFICAZIONE AL BILANCIO. Il candidato ha già svolto un processo di certificazione e ha ottenuto una qualifica o la certificazione di alcune aree di competenza. In questo caso durante il bilancio di competenze il consulente di orientamento farà di nuovo analizzare le esperienze lavorative, perché nel bilancio si esaminano anche le capacità trasferibili sviluppate / utilizzate nelle varie esperienze lavorative.
Il bilancio di competenze e la certificazione delle competenze potrebbero essere svolte allo stesso tempo dallo stesso operatore? In teoria sì, ma va considerato che non tutte le persone che chiedono una certificazione delle competenze hanno necessità di un bilancio di competenze. Ad esempio una persona può richiedere una certificazione relativa a una qualifica del settore informatico perché già lavora o vuole lavorare in questo settore; poiché l’obiettivo professionale è chiaro, non ha necessità di un bilancio di competenze. Il tempo e la documentazione aggiuntiva dedicati al bilancio di competenze non sarebbero così giustificati. Un altro punto da considerare è che l’operatore della certificazione può non essere in grado di svolgere un bilancio di competenze, e viceversa.
[Se vuoi fare il tuo bilancio di competenze vai a questa pagina. Se vuoi imparare a svolgere bilanci di competenze puoi seguire uno o più dei miei corsi:
La Cassetta degli Attrezzi dell’Addetto politiche attive / Orientatore / Career Coachin aula e a distanza
Laboratorio sul bilancio di competenze per la consulenza di carrierain aula e a distanza
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