Secondo un articolo pubblicato sul sito Linkiesta:
La percentuale di lavoratori a tempo determinato che dopo un anno (tra il 2015 e il 2016 per esempio) ha visto il proprio contratto divenire permanente è cresciuta, ritornando simile a quella degli anni pre-crisi. Si tratta del 21,3%, contro il 16,4% del periodo peggiore, quello tra 2013 e 2014.
C’è una differenza relativa al livello di età. Il miglioramento più grande in questi ultimi anni è stato per i 45-54enni, dal 12,3% del 2013/14, al 20,9% del 2015/16. Più ridotto tra i giovani.
I precari del 2004 divenivano dipendenti a tempo indeterminato nel 2005 più facilmente se giovani. Ce la faceva il 30% dei 15-24 enni. Nel 2016 erano solo il 19,2% nella stessa fascia di età. Solo tra i 35 e i 44 anni la proporzione rimane la stessa, intorno al 24%.
A quanto pare ormai il passaggio da precariato a contratto permanente è più inteso come premio per l’esperienza, come strumento per trattenere il lavoratore esperto che potrebbe andarsene.
Anche perché oggi anche la persona specializzata viene assunta spesso a tempo determinato.
Ritroviamo in queste statistiche anche i cambiamenti di genere nel mondo del lavoro. Ovvero la crisi dell’uomo e l’emergere negli ultimi anni del ruolo della donna, che ha sofferto meno la crisi, avvenuta soprattutto in settori prevalentemente maschili come l’edilizia e l’industria.
E così rispetto a 12 anni fa oggi le differenze tra i sessi a livello di passaggio a tempo indeterminato sono molto diminuite. Erano decisamente maggiori nel 2004/05, con il 30,9% di uomini che riuscivano a fare il salto contro il 21,4% delle donne. Oggi siamo al 22,6% contro il 19,9%.
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