L’ha detto Aristotele! Quando l’autorità conta più dell’evidenza: dal Medioevo all’accademia contemporanea

Ipse dixit!

Prima della rivoluzione scientifica, l’autorità della tradizione prevaleva sull’osservazione diretta. Nel Medioevo, il sapere era trasmesso e legittimato attraverso l’appello alle autorità del passato, in particolare Aristotele, considerato il vertice del pensiero razionale. L’espressione “Ipse dixit!” vale a dire “L’ha scritto Aristotele!” era spesso sufficiente a porre fine a una discussione: non c’era bisogno di verificare con esperimenti o osservazioni, perché il sapere era già stato rivelato dai grandi maestri.

Questo atteggiamento rifletteva una concezione della conoscenza fondata sull’autorità e la continuità, non sulla verifica empirica. L’esperienza sensibile veniva spesso svalutata o reinterpretata per adattarsi al sapere tradizionale. Se l’osservazione era in contraddizione con Aristotele, il problema non era l’autore greco, ma l’osservatore, ritenuto inesperto o fallace.

La rivoluzione scientifica dei secoli XVI e XVII – con figure come Galileo Galilei, Francis Bacon e René Descartes – mise in discussione questo paradigma. Galileo, ad esempio, si oppose apertamente all’autorità aristotelica quando l’esperienza e la matematica indicavano conclusioni diverse. Con lui e altri pionieri si affermò gradualmente un nuovo principio: non importa chi lo ha detto, importa se è dimostrabile.

L’evidenza empirica divenne criterio centrale di verità.

In sintesi, prima della rivoluzione scientifica si negava l’evidenza se questa era discordante dalla tradizione: la fedeltà al sapere tramandato era considerata più importante della verifica personale. Solo con l’avvento della scienza moderna si cominciò a rovesciare questa gerarchia, ponendo l’esperienza, il dubbio e l’indagine al centro del processo conoscitivo.

Una esperienza personale passata

Ritrovo echi di questo atteggiamento in una vicenda che mi capitò anni fa.

Inviai un articolo a una rivista accademica. Nell’articolo argomentavo che lo sviluppo della pratica orientativa in Italia seguiva l’andamento della disoccupazione e della stabilità legale del posto di lavoro (trovi la mia tesi nella parte centrale di questo articolo Il Checkup professionale: uno strumento per la consulenza di carriera). Il referee mi rimandò indietro l’articolo chiedendomi: ‘Ma quale autore sostiene questa tesi?’

Io ero l’autore che la sosteneva. La tesi era un’idea originale frutto di un’analisi diretta e di un’osservazione dei dati, ma per il referee non era abbastanza per pubblicare l’articolo. Invece di valutare la mia argomentazione per la sua plausibilità e capacità esplicativa, il valutatore cercava conferme nella tradizione, proprio come nel Medioevo si cercava nei testi di Aristotele. Un sapere è considerato valido non perché spiega bene qualcosa, ma perché è stato autorizzato. Il principio di autorità sopravvive, travestito da rigore metodologico.

Seguendo questo approccio questa rivista, di fatto, si limitava a pubblicare rielaborazioni di saperi già autorizzati, trasformandosi in un archivio di citazioni piuttosto che in un forum di innovazione intellettuale. Una pratica che fa eco all’approccio medievale: la conoscenza viene trasmessa e parafrasata, raramente creata ex novo.

Ci risiamo?

In questo periodo mi sto laureando in scienze della formazione con una tesi sull’effetto dell’intelligenza artificiale nell’erogazione dei servizi di orientamento. Su questo tema ormai da un anno mi confronto e faccio formazione agli operatori e ho scritto vari articoli.

Nell’ultimo colloquio relativo alla tesi la relatrice, che peraltro stimo, mi ha detto qualcosa del tipo: ‘Provi a vedere cosa dicono le fonti accademiche. Quelle saranno il punto di partenza per costruire un discorso solido’.

Questa indicazione, pur comprensibile in un contesto accademico (ovviamente devo fare e farò una ricerca bibliografica), solleva una questione: in un campo emergente e in rapida evoluzione come l’applicazione dell’IA nei servizi orientativi, la conoscenza esperienziale diretta rischia di essere subordinata a una letteratura accademica che, per sua natura, segue con ritardo i fenomeni emergenti. Potrò citare i miei articoli, anche se non sono peer reviewed?

Dentro di me ho pensato che siamo alle solite.

Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista.  Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.