Le ragioni dietro la stretta di Trump sulle università americane: una sintesi

Il contesto

Negli ultimi anni, le politiche dell’ex presidente Donald Trump nei confronti degli studenti internazionali nelle università statunitensi hanno suscitato polemiche e preoccupazioni. Tuttavia, anche se la gestione di queste misure è stata spesso giudicata brutale e impopolare, esistono argomentazioni articolate che vanno al di là della semplice retorica populista. Ecco un riassunto delle principali motivazioni a sostegno di una maggiore regolazione del flusso di studenti stranieri, come emerso da analisi critiche pubblicate anche su testate autorevoli come il New York Times.

Elitismo e accessibilità per gli americani

Una delle critiche più forti riguarda l’aumento dell’élitismo all’interno delle università americane. L’accoglienza di grandi numeri di studenti stranieri, spesso provenienti da famiglie molto abbienti, ha reso l’accesso alle migliori università ancora più difficile per gli studenti americani, in particolare per quelli di origine meno privilegiata. Le rette pagate dagli studenti internazionali sono molto alte e rappresentano una fonte di entrate fondamentale per le università, ma ciò rischia di trasformare le istituzioni accademiche in “macchine da soldi” al servizio di una élite globale, a scapito della mobilità sociale interna.

Secondo Federico Rampini:

Il sistema accademico Usa, attirato dal ricchissimo mercato che sono i ricchi stranieri, è diventato una macchina da soldi al servizio di una élite globale. Naturalmente si salva la coscienza elargendo un po’ di borse di studio ai poveri, ma i grandi numeri descrivono una realtà ben diversa dal mito meritocratico ed egualitario. La figlia di Xi Jinping non è stata ammessa a Harvard grazie ai suoi voti e al suo talento.

Di conseguenza, in un paese dove oltre il 60% della popolazione non ha la laurea, Trump ancora una volta dimostra la sua diabolica capacità di gridare “il re è nudo”. Poi per riparare a un’ingiustizia ne commette altre, com’è tipico suo. Ma guardare la realtà in faccia è importante. Le grandi università di élite negli Stati Uniti sono a maggioranza private, e col passare degli anni la loro vocazione a formare una classe dirigente globale si è trasformata in un fantastico business. A vantaggio di chi? Dell’egemonia culturale Usa nel mondo? È tutto da dimostrare. L’antiamericanismo era insegnato molto bene nelle facoltà dell’Ivy League. Non risulta che i figli degli oligarchi russi e dei leader comunisti cinesi abbiano riportato in patria una visione liberaldemocratica o filoamericana; lo stesso vale per i figli di tanti leader corrotti dell’Africa e Sudamerica.

Mobilità sociale e coesione nazionale

Le università americane, soprattutto quelle più prestigiose, non hanno aumentato in modo significativo il numero totale di posti disponibili negli ultimi decenni, nonostante la popolazione statunitense sia cresciuta del 50%. Questo rende l’accesso estremamente competitivo. L’assegnazione di più posti a studenti stranieri, spesso più ricchi e meglio preparati grazie a scuole d’élite internazionali, riduce ulteriormente le possibilità degli studenti americani di accedere a una formazione di alto livello. La conseguenza è una crescente distanza tra le università e la realtà della maggior parte della popolazione americana, alimentando risentimenti e tensioni sociali.

Effetti sulla formazione e sul mercato del lavoro

Un altro punto critico riguarda la specializzazione delle università nell’attrarre talenti internazionali per ruoli apicali e superqualificati, a discapito della formazione tecnico-professionale rivolta agli americani. Questo ha creato squilibri nel mercato del lavoro, come la carenza di ingegneri industriali capaci di far funzionare fabbriche avanzate, mentre si continua a formare giovani stranieri per posizioni di vertice. La priorità data all’internazionalizzazione ha quindi ridotto l’attenzione verso l’istruzione tecnica e professionale, fondamentale per la crescita industriale del paese.

Diversità reale o apparente?

Sebbene l’arrivo di studenti stranieri porti una certa diversità culturale, questa non sempre coincide con una reale diversità sociale. Gli studenti internazionali spesso provengono da background simili tra loro e con quelli delle élite americane, mentre gli studenti americani di classi meno abbienti restano esclusi. Questo fenomeno può trasformare i dipartimenti universitari in “mini-Davos”, dove si rafforzano visioni del mondo omogenee e distanti dalle esigenze della maggioranza della popolazione.

Rischio di contro-esodo dei talenti

Infine, non tutti i talenti stranieri formati negli Stati Uniti rimangono nel paese. Alcuni, come nel caso della Cina, rientrano in patria portando con sé competenze e conoscenze che rafforzano la concorrenza tecnologica ed economica con gli Stati Uniti. Questo riduce i benefici attesi dall’accoglienza di studenti internazionali e pone interrogativi sull’effettivo vantaggio per il sistema-paese americano.


Conclusioni

Le argomentazioni a favore di una maggiore regolazione delle iscrizioni internazionali nelle università americane si basano su considerazioni di equità, coesione sociale e sviluppo economico. Anche se la gestione dell’Amministrazione Trump è stata spesso criticata per la sua durezza, la questione sollevata resta rilevante: l’internazionalizzazione delle università è un fenomeno positivo, ma va bilanciata con una maggiore attenzione all’accessibilità e alla mobilità sociale degli studenti americani.


Fonte principale:
Analisi e citazioni tratte dall’articolo “Non lasciatevi ingannare dalla brutalità di Trump. L’internazionalizzazione delle università americane è un problema reale” di Daniel A. Bell (Don’t Let Trump’s Brutality Fool You. The Internationalization of American Schools Is a Real Issue), pubblicato sul New York Times e ripreso dalla newsletter Corriere della Sera Global di Federico Rampini, sabato 7 giugno 2025