Le critiche alla tecnica psicoanalitica formulate da Emanuel Peterfreund

Peterfreund è uno psichiatra e psicanalista americano scomparso nel 1990. E’ famoso soprattutto per le sue critiche alla tecnica psicoanalitica formulate nel suo libro The process of psychoanalytic therapy: models and strategies (1983, trad. it. 1985 Il processo della psicoterapia psicoanalitica).

Secondo Peterfreund nell’approccio psicoanalitico classico (che lui definisce ‘stereotipato’ e a cui contrappone un diverso approccio ‘euristico) (59-61):

  • 1. il terapeuta ‘crede di comprendere il caso fin dall’inizio. Interpretazioni di vasta portata sono espresse molto precocemente. Lo scopo principale è quello di adattare il caso alla teoria clinica (…) I significati sono in gran parte ipotizzati e non scoperti.’ (59). ‘Gli analisti stereotipati trovano solo ciò che è noto e familiare. Le loro relazioni di casi ripetono senza fine gli stessi temi fondamentali, con elaborazioni e variazioni di scarsa importanza.’ (61).
  • 2. ‘il processo psicoanalitico è considerato un tentativo di far comprendere al paziente l’interpretazione iniziale. A questo scopo, anche se viene chiesto al paziente di fare ‘libere associazioni’, i dati presentati dal paziente sono tutti troppo spesso filtrati selettivamente in modo da adattarsi all’ipotesi interpretativa, oppure sono semplicemente inseriti in modo forzato. Il modo di procedere diventa tendenzioso e si trascurano o addirittura non si riconoscono possibili interpretazioni alternative. L’’analisi’ o processo terapeutico si riduce spesso a un procedimento di sottile indottrinamento.’ (59)
  • 3. ‘il fatto che il paziente non comprenda l’analista o non accetti ciò che egli dice è considerato come resistenza. Questa resistenza, a sua volta, tende a essere considerata e interpretata sulla base della stessa ipotesi interpretativa che il paziente non aveva compreso (…). Le obiezioni del paziente a una interpretazione tendono a essere considerate prive di intrinseca legittimità.’ (59)
  • 4. il terapeuta stereotipato tende a credere di ‘possedere la ‘verità’, di avere una consapevolezza privilegiata dell’’inconscio profondo’ del paziente (…). Egli tende a presentare le formulazioni in modo dogmatico (…). Troppo spesso tratta le interpretazioni come fatti e la teoria clinica come verità inequivocabile, come legge clinica scientificamente stabilita. (59)
  • 5. il terapeuta non si preoccupa che nei materiali prodotti dal paziente vi siano prove a sostegno della sua interpretazione (59). Ad esempio possono venir formulate interpretazioni sui sogni anche in assenza di associazioni. (61)
  • 6. ‘il terapeuta tende a pensare non sulla base dell’esperienza del paziente, ma in un gergo altamente intellettualizzato, usando cliché legati a una teoria clinica considerata ‘esatta’ quali ad esempio ‘angoscia di castrazione’, ‘complesso di Edipo’, ‘sadomasochismo’, ‘rivalità fraterna’, ‘omosessualità’, ‘invidia del pene’, ‘trauma da scena primaria’, tutti concetti derivati direttamente dalle teorie cliniche di Freud (…). Le esperienze preverbali e i fattori ambientali, come i traumi dei primi anni o dell’adolescenza, causati da malattie o dalla personalità dei genitori, sono giudicati significativi solo nella misura in cui hanno influito sullo sviluppo edipico. La tendenza a pensare in cliché è unita a un certo riduzionismo: significati semplici, limitati e comuni vengono attribuiti a fenomeni altamente complessi, che in realtà possono assumere più significati (…). La piena ricchezza e vivacità delle esperienze individuali sono perdute; la trama complessa specifica degli eventi che determinano i significati individuali non viene scoperta.’ (59-60)
  • 7. ‘Generalmente il paziente non è considerato un partner alla pari capace di confermare, rivedere o respingere le interpretazioni proposte e di giudicare ciò che sente e pienamente capace di arrivare da solo ad insight.’ (60).

In estrema sintesi, nell’approccio psicoanalitico classico ‘una buona analisi è un procedimento meccanico in cui il materiale presentato è compreso e interpretato meccanicamente sulla base di una teoria clinica esistente e (lo scopo del terapeuta) è convincere il paziente ad accettare sia le interpretazioni proposte sia la teoria clinica su cui queste si basano. Se il paziente rifiuta di accettare le convinzioni e le interpretazioni dell’analista o la teoria clinica, il suo rifiuto è considerato manifestazione di resistenza, anche se il paziente si adopera sinceramente per correggere gli errori dell’analista. Il terapeuta stereotipato, quindi, tenta di ‘analizzare’ (di disfarsi di) queste resistenze in modo che il processo possa procedere (…) meccanicamente verso l’obbiettivo da lui previsto.’ (77).

La notorietà del libro deriva dal fatto che Peterfreund mostra, riportando ampi stralci di sedute riprese da opere di vari autori, come queste modalità operative siano seguite anche da famosi psicoanalisti, quali ad esempio Greenson (ed. it. 1974) e Kohut (ed. it. 1989). A parziale giustificazione di tali autori va detto che non sempre è possibile dare a posteriori resoconti dettagliati delle sedute (lo afferma lo stesso Peterfreund prima di descrivere una serie di propri casi, 99; lo stesso anche in Gill (trad.it. 1985:10)), sia perché molti terapeuti non prendono appunti dettagliati sia perché in alcune opere sono riportati solo pochi stralci considerati significativi omettendo alcuni passaggi dei colloqui. Tuttavia il quadro dato da Peterfreund è accettato come reale da molti psicoanalisti e esperti di psicoanalisi (vedi ad esempio Jervis 1989:143-145 e il resoconto della propria analisi didattica fornito da Masson (ed. it. 1993)).

Peterfreund ritiene superate tutte le teorie cliniche freudiane (complesso di Edipo, angoscia di castrazione, etc. ): (nell’approccio psicoanalitico stereotipato) ‘la teoria clinica esistente derivata da Freud è automaticamente sempre ‘riconfermata’. (…) La validità di questa teoria, però, è molto difficile da valutare perché per sostenerla sono stati usati procedimenti errati.’ 59.

Peterfreund ritiene che l’esperienza soggettiva di ciascun paziente sia estremamente differenziata e che le idee fondanti della psicoanalisi abbiano un limitato valore euristico. ‘(…) ci può venir detto che spesso, in un sogno o in relazione a un sintomo, un serpente può rappresentare un pene. Non possiamo calcolare con quanta probabilità si verifichino questi casi e, anche se fosse possibile affermare (forse in base a qualche studio) che il serpente rappresenta il pene in oltre tre quarti dei casi esaminati, non avremmo modo di sapere subito se il caso esaminato rientra o no in questa percentuale.’ (70). ‘I metodi stereotipati, con le loro congetture preconcette e basate sulla teoria clinica esistente (quella freudiana classica, nostra nota) sembrano offrire un rapido ordinamento o una rapida organizzazione dei dati, una veloce comprensione; perciò esercitano un fascino enorme specialmente sul clinico principiante. Questo ordinamento, organizzazione e comprensione dei metodi stereotipati possono, però, essere falsi perché imposti al paziente dall’esterno. Essi non riducono la complessità attraverso un processo naturale e creativo di generalizzazione e apprendimento; non scoprono l’ordine e l’organizzazione intrinseci potenzialmente presenti nei fenomeni naturali. In realtà, i metodi stereotipati eliminano generalmente la complessità e tendono a scartare tutto ciò che non si adatta alla teoria clinica esistente. E nelle loro forme estreme i metodi stereotipati riducono la trama ricca, vivace, multiforme e intricata dell’esperienza umana a una manciata di cliché semplicistici che dovrebbero erroneamente rappresentare il ‘profondo inconscio’’. (81).

‘L’uso di termini come madre fallica, angoscia di castrazione, desiderio d’incesto, masochismo non hanno posto nella situazione terapeutica così come io la intendo. In effetti l’uso di tali termini serve generalmente solo impedire al paziente di far emergere sensazioni e ricordi che tentiamo di suscitare per facilitare la nostra comprensione. Se un paziente ha un’immagine della madre come di una persona che ‘bastona’, ‘urla’ ‘controlla’, ‘esige’, ‘domina’, di queste cose si deve parlare e non della ‘madre fallica’; se ha paura che il suo pene subisca qualche menomazione o sia troppo piccolo, vulnerabile, debole, di queste cose si deve parlare e non di ‘angoscia di castrazione’. Se prova il desiderio di toccare e accarezzare la madre, di annusare i suoi genitali, il suo corpo e i suoi vestiti, di penetrarla in qualche modo, di queste cose si deve parlare e non di ‘desiderio di incesto’ (…). Il processo terapeutico è ‘caratterizzato dall’emergere di una varietà quasi infinita di esperienze specifiche e individuali’ (…). Il buon terapeuta ‘non opera da un letto di Procuste di stereotipi i cui dati sono forzati.’ (196-197).

Successivamente Peterfreund presenta il suo approccio, che ci interessa meno, ma di cui riportiamo comunque alcuni elementi.

La terapia ha lo scopo di ‘favorire nel paziente l’introspezione e l’emergere, con le libere associazioni, di esperienze di disordine accompagnate da espressione emotiva.’ (165) ‘I pazienti dovrebbero essere incoraggiati in analisi a un atteggiamento attivo, a esprimere tutto ciò che li disturba, ciò che li interessa, che ha attirato la loro attenzione o che può sembrare strano, unico, irrazionale, contrastante con la normale esperienza o con l’esperienza altrui. I pazienti devono essere incoraggiati a prendere coscienza del loro stato interno e a delinearlo attivamente. ‘ (166). Devono inoltre sviluppare ‘la consapevolezza dell’esistenza di diversi livelli di esperienza, stati differenti di organizzazione conoscitiva ed emozionale.’ Questo perché ‘I pazienti sono spesso imbarazzati dai loro sentimenti arcaici, dai pensieri irrazionali e dalle fantasie ‘perverse’. E’ molto utile trasmettere l’idea che tutti hanno diversi livelli, strati o stati di esperienza, che generalmente hanno origine e significato diversi.’ (167). Anche l’analista rivolgerà la sua attenzione soprattutto ‘sull’insolito, sullo strano e sul singolare e su quei fenomeni che non sono coerenti col normale flusso dell’esperienza.’ (173).

Peterfreund salva il metodo delle libere associazioni (81), considera valide le teorie di Bowlby (37) (traumi e abbandono emotivo da parte della madre nei primissimi anni di vita possono provocare difficoltà relazionali e psicologici in età adulta) e ritiene che l’efficacia della pratica psicoanalitica sia dovuta alla possibilità offerta ai pazienti di esprimere le proprie emozioni (‘L’espressione delle emozioni di qualsiasi genere è d’immensa efficacia terapeutica’, 243) e di sperimentare esperienze emotive correttive (come definite da Alexander (1946)) nel rapporto col terapeuta (243). ‘Le esperienze emotive correttive che si verificano nel tempo sono essenziali per la terapia e possono certamente rappresentare l’unico aspetto veramente importante d’efficacia psicoanalitica. (…) E’ nel contesto del rapporto col terapeuta che noi vediamo le più importanti esperienze emotive correttive. Per molti pazienti è un’importantissima esperienza correttiva essere vicino a qualcuno che mostri pietà umana e ragionevolezza, che indichi quale sia la normale ‘realtà’ emotiva, che non giudichi né condanni, che li tratti come individui degni di rispetto, stimoli i loro sentimenti e pensieri e sia disposto ad ascoltarli, per quanto violenti, ‘folli’ e ‘pervertiti’ essi siano, che li aiuti ad apprendere e a sviluppare una propria indipendenza, e che permetta loro di giungere da soli alle proprie conclusioni.’ (243).

Bibliografia

  • Alexander F. (1946). La esperienza emozionale correttiva, estratti riportati sul sito Psychomedia a cura di Paolo Migone, reperito il 2 gennaio 2010 all’indirizzo http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/alexan-1.htm
  • Gill M.M.(ed.it. 1985) Teoria e tecnica dell’analisi del transfert. Roma: Astrolabio
  • Greenson R. R. (ed. it. 1974). Tecnica e pratica psicoanalitica. Milano: Feltrinelli
  • Jervis G. (1989) La psicoanalisi come esercizio critico. MIlano: Garzanti
  • Kohut H. (ed. it. 1989) Le due analisi del signor Z. Roma: Astrolabio
  • Masson J. M. (ed. it. 1993) Analisi finale. Costruzione e distruzione di uno psicoanalista. Torino: Bollati Boringhieri
  • Peterfreund E. (ed. it. 1985) Il processo della psicoterapia psicoanalitica. Roma: Astrolabio

Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993.  L’articolo rispecchia le opinioni dell’autore al momento dell’ultima modifica. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.

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