Un ricordo personale
Era credo il 1972, avevo appena terminato la terza media, il nostro parroco progressista aveva organizzato due settimane di campeggio a Gastra, sulle pendici del Pratomagno vicino a Figline Valdarno. Gli animatori erano tutti cristiani per il socialismo come lui, che poi avrebbero fondato la sezione di Lotta Continua a Montevarchi. Oltre a messe cantate e trekking nei boschi, il campeggio prevedeva sessioni di studio sui problemi del mondo, in cui il tema costante era denunciare le cattiverie del capitalismo e dell’imperialismo americano, dei suoi servi democristiani in Italia, e promuovere la rivoluzione, cercando di inculcarci una ideologia che, oltre ad aver già provocato milioni di morti in URSS e Cina, avrebbe di lì a poco partorito le Brigate Rosse in Italia e altri milioni di morti in Cambogia. Chi come me aveva qualche obiezione veniva deriso. Dopo un po’ di tempo, una domenica i nostri genitori sono venuti a trovarci, e noi eravamo tutti lì stupidi a cantare canzoni rivoluzionarie col pugno alzato.
Cos’è l’apprendimento trasformativo
Secondo Mezirow, l’apprendimento trasformativo è quell’apprendimento che trasforma radicalmente i valori della persona, in genere in una accezione positiva (Mezirow, 2003). Secondo Mezirow (2003:165), l’apprendimento trasformativo può essere innescato da una discussione con qualcuno, dalla lettura di un libro o di una poesia, dal contatto con una cultura diversa, oppure da un ‘dilemma disorientante’ che deriva da esperienze di vita impattanti (lutti, separazioni, vita di coppia, gravidanza, maternità o paternità, esperienze di natura sessuale o affettiva, etc.), tuttavia la gran parte dei commentatori, quando cita Mezirow, si focalizza sul dilemma disorientante.
L’apprendimento trasformativo può essere innescato anche dalla partecipazione a corsi e seminari, in particolare a corsi e seminari di natura ‘comunicativa’, vale a dire, riprendendo la classificazione di Habermas (1990, cit. in Mezirow, 2003), finalizzati a ‘capire gli altri’ (Mezirow, 2003:75), e centrati su ‘concetti sociali, politici, filosofici, psicologici o educativi, valori, ideali, problematiche morali’ (Mezirow, 2003:77). L’apprendimento comunicativo è opposto a quello che Habermas, citato da Mezirow, definisce ‘apprendimento strumentale’, volto invece a controllare e manipolare l’ambiente (Mezirow, 2003:75).
Secondo Mezirow, gli educatori che operano nell’educazione degli adulti dovrebbero promuovere la riflessività e la consapevolezza del contesto storico e sociale (Mezirow, 2003:207-208) in modo da supportare i discenti a ‘evolvere verso delle prospettive più affidabili’.
Il lato luminoso e il lato oscuro della formazione trasformativa
Mezirow segnala il rischio che durante la formazione comunicativa la riflessione e l’autonomia dei partecipanti possano essere impedite dal groupthink (Mezirow 2003:186). Il groupthink è un fenomeno, studiato inizialmente da Irving Janis (1992) che spinge i partecipanti di un gruppo a conformarsi all’ideologia e ai valori sostenuti dal leader del gruppo. In gruppi di questo tipo i conduttori tendono a presentare una visione unilaterale di questioni complesse, presentando solo informazioni a sostegno delle proprie teorie, minimizzando o ignorando completamente le evidenze contrarie. Inoltre, i punti di vista diversi all’interno del gruppo vengono silenziati o marginalizzati: domande scomode o prospettive alternative vengono percepite come una minaccia all’unità del gruppo piuttosto che come un’opportunità di approfondimento e perfezionamento delle idee.
Dinamiche di questo tipo sono frequenti nelle attività formative organizzate da attivisti, si pensi a quelle organizzate da no vax, da determinate organizzazioni ambientaliste o da movimenti politici radicali. Vedi il mio articolo Groupthink: indottrinamento e conformismo nelle attività formative organizzate da attivisti
Processi di questo tipo sono favoriti dal fatto che la relazione educativa, di per sé, è un setting caratterizzato da un sostanziale squilibrio di potere fra docente e discente, per vari fattori:
- Sapere e competenze: il docente / educatore ha in genere una cultura più ampia di quella del discente e è un esperto della disciplina che il discente deve apprendere.
- Ruolo istituzionale: il docente ha un ruolo formale all’interno dell’istituzione scolastica, formativa, accademica in cui opera
- Controllo delle risorse educative: il docente decide le tecniche e i materiali didattici.
- Autorità: il docente gestisce il tempo e stabilisce le regole di interazione del gruppo di apprendimento, ed è uno dei soggetti che ha il potere di sanzionare i discenti. In più, valuta (in modo pressoché insindacabile) l’apprendimento dei discenti.
L’opera di Mezirow ha il pregio di farci riflettere sul lato luminoso e sul lato oscuro della formazione che si dichiara trasformativa.
Il lato luminoso è quando il cambiamento valoriale dei partecipanti alla formazione avviene in modo spontaneo. La persona grazie alle attività svolte approfondisce la conoscenza di sé, matura e sviluppa una nuova visione del mondo e nuovi comportamenti che le danno, immediatamente o in prospettiva, maggiore benessere.
Il lato oscuro della formazione trasformativa è quello della formazione manipolativa. La formazione manipolativa è quella il cui obiettivo è far sì che tutti i partecipanti acquisiscano un determinato credo politico o religioso. La tensione verso il risultato comporta che chi conduce il gruppo dà poco spazio alla libera riflessione e agli interventi di chi ha pareri o valori diversi sviluppando conformismo e groupthink.
Criteri per riconoscere la formazione come indottrinamento
Riflettendo su quanto scritto da Mezirow, ho cercato di individuare dei criteri che permettano di riconoscere la formazione manipolativa. Eccone alcuni (da usare in modo integrato):
A priori
- La formazione ha una esclusiva o rilevante componente ideologica o valoriale
- Il formatore sa cosa è ‘giusto’ per il discente. Il formatore ritiene di conoscere a priori i bisogni degli educandi e che i propri valori siano migliori dei loro.
- L’obiettivo della formazione non è lo sviluppo dell’autonomia dei discenti ma il raggiungimento di un risultato di natura politica o ideologica coerente coi valori del formatore. Es: rovesciare il (inserisci il nome di un sistema politico, ad esempio il capitalismo, il comunismo, il libero mercato, etc.), impedire la discriminazione contro (inserisci un gruppo a piacere: i maschi bianchi, i gay, etc.), diffondere la religione o l’ideologia (inserisci il nome di un credo o una pratica religiosa oppure di una ideologia), etc.
- Il formatore valuta l’efficacia della formazione dal numero di discenti che hanno adottato il suo punto di vista, invece che con lo sviluppo di riflessioni autonome e differenziate.
A posteriori
- Tutti gli allievi escono da una determinata formazione con le stesse credenze o posizioni ideologiche
- Le credenze o le posizioni ideologiche di uscita degli allievi sono diverse da quelle di entrata
- Le credenze o le posizioni ideologiche di uscita degli allievi sono le stesse del docente.
Qui di seguito provo ad applicare i criteri a priori che ho appena indicato a due modelli pedagogici: quello di Filippo De Sanctis e quello di don Milani.
Una valutazione di Educazione in età adulta, di F.M. De Sanctis
Paolo Federighi parla di Filippo Maria De Sanctis come di uno degli esponenti di spicco della scuola pedagogica fiorentina (Federighi, 2016). Federighi cita in particolare l’opera di De Sanctis Educazione in età adulta.
Ho letto l’opera di De Santis, ne riporto qui i punti salienti.
Secondo de Sanctis (vedi Educazione in età adulta come indottrinamento, la pedagogia marxista di Filippo M. De Sanctis) lo scopo dell’educazione:
- non è recuperare l’analfabetismo: nella sua opera troviamo solo un accenno alle 150 ore e alla lotta all’analfabetismo all’epoca -1975- così diffuso in Italia
- non è sviluppare competenze utili al lavoro e all’inserimento lavorativo: questo è già l’obiettivo ‘della società industriale capitalistica’, e perciò viene dato per scontato e visto con sospetto
- non è sviluppare interessi personali: De Sanctis critica l’apprendimento non finalizzato, vedi il capitolo VI dedicato alla scienza
- non è la crescita e la realizzazione della persona (in genere questi termini si riferiscono allo sviluppo di autonomia, consapevolezza di sé, alla valorizzazione della propria unicità e originalità), eccetto nel caso in cui la consapevolezza sviluppata non sia relativa allo sfruttamento subìto: vedi la critica all’educazione permanente.
Lo scopo dell’educazione degli adulti, secondo De Sanctis, è uno solo: inculcare nelle masse un sistema di credenze e valori funzionale alla lotta di classe, e, in prospettiva, alla rivoluzione. Siamo nel 1975, ancora è viva l’esperienza della rivolta del ’68.
Come valutare Educazione in età adulta sulla base dei criteri che ho descritto sopra?
Criteri | Applicabilità del criterio |
1. La formazione ha una esclusiva o rilevante componente ideologica o valoriale | Il criterio è pienamente applicabile, l’obiettivo della formazione degli adulti, così come auspicata da De Sanctis, è alterare i rapporti di produzione e di potere a favore della classe operaia; perciò, la componente ideologica è massima |
2. Il formatore sa cosa è ‘giusto’ per il discente | Il criterio è pienamente applicabile. Varie volte nel testo l’autore commenta che ‘le masse’ non sono consapevoli dell’ideologia che seguono e vanno rese coscienti |
3. L’obiettivo della formazione non è lo sviluppo dell’autonomia dei discenti ma il raggiungimento di un risultato di natura politica o ideologica. | Il criterio è pienamente applicabile, vedi ad esempio quanto affermato da De Sanctis relativamente alla formazione permanente. L’unica consapevolezza auspicata è quella relativa allo sfruttamento subito dai lavoratori |
4. Il formatore valuta l’efficacia della formazione dal numero di discenti che hanno adottato il suo punto di vista, invece che con lo sviluppo di riflessioni autonome e differenziate. | Sulla base dei contenuti di Educazione in età adulta, possiamo inferire che De Sanctis ritenesse improduttiva o addirittura controproducente la formazione che non sviluppa ‘coscienza di classe’ |
Non possiamo valutare i parametri a posteriori perché non stiamo valutando uno specifico corso di formazione ma un’opera che parla della formazione in termini generali.
Alla luce dei criteri esaminati, possiamo riconoscere come manipolativa la formazione degli adulti auspicata da De Sanctis, perché ha un obiettivo di natura ideologica e apprezza lo sviluppo di senso critico e autonomia solo quando allineati a una specifica ideologia.
Una valutazione della pedagogia di don Milani
Don Milani è una figura ben conosciuta. Le informazioni a cui mi riferisco sono riprese da Lettera a una professoressa (vedi il mio articolo Fare i conti con lettera a una professoressa) e da informazioni più generali disponibili nel web.
Vediamo l’applicazione dei diversi criteri (le pagine citate si riferiscono a Lettera a una professoressa):
Criteri | Applicabilità del criterio |
1. La formazione ha una esclusiva o rilevante componente ideologica o valoriale | Il criterio è pienamente applicabile, la scuola di Barbiana aveva un esplicito orientamento valoriale e ideologico, centrato sulla giustizia sociale, l’uguaglianza e la critica alle strutture scolastiche e sociali tradizionali. La componente ideologica è massima. I programmi ministeriali venivano seguiti solo in parte, privilegiando temi e contenuti funzionali al progetto educativo di don Milani, peraltro non negoziato con la comunità locale. |
2. Il formatore sa cosa è ‘giusto’ per il discente | Il criterio è pienamente applicabile. Milani ritiene che le sue personali idee siano quelle giuste. |
3. L’obiettivo della formazione non è lo sviluppo dell’autonomia dei discenti ma il raggiungimento di un risultato di natura politica o ideologica. | Il criterio è pienamente applicabile, l’intento dichiarato era quello di trasmettere ai ragazzi una precisa visione critica della società, della scuola e delle disuguaglianze. Vedi ad esempio il sarcasmo e la denigrazione verso gli studenti più dotati (pp. 37, 43): sono fascisti (p. 61), sono squilibrati (p. 61) ripetono solo cose lette sui libri (p. 91), utilizzano soldi pubblici per fare l’università (p. 91). Gli studenti ‘normali’ studiano per la pagella e il diploma, non per interesse, a 12 anni sono già degli arrivisti (p. 25). La teoria che ragazzi diversi abbiano attitudini diverse è razzista (p. 67), quelli che le dimostrano vanno repressi (p. 68). |
4. Il formatore valuta l’efficacia della formazione dal numero di discenti che hanno adottato il suo punto di vista, invece che con lo sviluppo di riflessioni autonome e differenziate. | Sulla base dei contenuti di Lettera a una professoressa, possiamo inferire che don Milani ritenesse improduttiva o addirittura controproducente la formazione che non sviluppasse studenti allineati alle sue convinzioni. |
5, 6, 7. Uniformità delle posizioni in uscita / differenza fra credenze in ingresso e in uscita / allineamento delle credenze a quelle del docente | Da varie testimonianze sappiamo che gli studenti, dopo il percorso a Barbiana, tendevano ad adottare convinzioni e valori molto simili a quelli di don Milani, soprattutto nella critica al sistema scolastico tradizionale e nell’impegno sociale e politico. Gli allievi, spesso analfabeti o respinti dalle scuole pubbliche, non avevano strumenti culturali per contestare la sua visione ideologica. Va evidenziata anche la pervasività della routine scolastica: 12 ore al giorno, 365 giorni l’anno. Questo regime creava un ambiente totalizzante: gli studenti erano sottratti a influenze esterne, comprese le dinamiche familiari o comunitarie. La mancanza di pause o attività ricreative riduceva lo spazio per la riflessione autonoma, orientando ogni momento verso obiettivi prefissati. Contro i riottosi (ad esempio chi non frequentava regolarmente) venivano usate anche punizioni corporali (p. 68).
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In sintesi, anche se animata da nobili intenzioni (tutta la formazione manipolatoria è animata da nobili intenzioni), la pedagogia di Don Milani ha vari aspetti riconducibili alla manipolazione.
Ma, si dirà, Milani doveva lasciare i suoi studenti nell’analfabetismo e nella rassegnazione? No, ma poteva aiutarli a emanciparsi con una pedagogia meno soffocante, direzionata e prescrittiva, aperta allo sviluppo autonomo di visioni del mondo diverse, magari anche in contrasto con le sue.
Milani invece sceglie di formare un gruppo coeso di giovani militanti che lo affianchino nella sua personale battaglia contro la società.
Ci sono vari elementi che mostrano come le scelte di don Milani (un ebreo colto e di famiglia ricca che si fa parroco cattolico e fa apostolato fra i poveri, mettendosi in contrasto con le autorità ecclesiastiche a causa del proprio radicalismo) siano dovute al rifiuto e alla rottura col suo ambiente di provenienza. Possiamo leggere la sua pratica pedagogica come uno strumento di affermazione identitaria e compensazione rispetto al mondo familiare che rifiutava.
Questo caso ci fa riflettere sul nostro ruolo di formatori: ogni percorso educativo è inevitabilmente influenzato dai valori e dalle tensioni interiori di chi lo conduce. Ma i formatori fortemente insoddisfatti del mondo, quelli che non hanno ancora risolto le proprie lacerazioni personali sono pericolosi. Quando l’insoddisfazione e/o le tensioni sono elevate, il formatore perde il suo equilibrio pedagogico e i discenti, come possiamo ipotizzare nel caso di don Milani, diventano lo strumento per un personale regolamento di conti con la società. Tutto questo compromette il processo formativo: l’individualità e la crescita personale degli studenti sono piegati a favore delle necessità di riscatto e compensazione del formatore.
Una pedagogia realmente emancipativa deve invece essere in grado di promuovere in modo disinteressato la consapevolezza, la capacità di analisi e la libertà interiore dei discenti, a prescindere dalle passioni, dai traumi e dalle ideologie di chi insegna. Vedi il mio articolo Oltre l’indottrinamento: dalla ‘crescita personale’ allo sviluppo di competenze riflessive.
Bibliografia
- Federighi, P. (2016) Educazione degli adulti e università. Le origini della Scuola Fiorentina, in Cambi F., Federighi P., Mariani A. (a cura di) La pedagogia critica e laica a Firenze: 1950-2015. Firenze University Press
- De Sanctis, F. M. (1975) Educazione in età adulta. La Nuova Italia
- Habermas, J. (trad. it. 1990). Conoscenza e interesse. Editori Laterza
- Janis, I. L. (1992) Victims of Groupthink. A Psychological Study of Foreign-Policy Decisions and Fiascoes. Houghton Mifflin Company
- Mezirow, J. (trad.it.2003). Apprendimento e trasformazione. Raffaello Cortina Editore
- Scuola di Barbiana (1967) Lettera a una professoressa. Libreria Editrice Fiorentina
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.