Lettera a una Professoressa, pubblicato nel 1967, è una testimonianza delle difficoltà della scuola italiana (nello specifico della nuova scuola media unica, introdotta 3 anni prima) di formare gli studenti figli di contadini e operai. La seconda parte del libro critica invece l’istituto magistrale (l’odierno liceo psico-pedagogico).
Lettera a una Professoressa è strutturato come una lettera che un gruppo di studenti figli di contadini, che frequentano la scuola privata organizzata da Don Milani, priore in un piccolo centro del Mugello, immagina di scrivere a una professoressa di un istituto magistrale di Firenze che l’anno prima aveva bocciato uno di loro. Il processo di scrittura collettiva del libro è descritto a pp. 104-106.
In questo articolo descrivo il contenuto del libro.
Lamentale riguardo alla scuola media
Le lamentele riguardo alla scuola media (l’odierna secondaria di primo grado) sono numerose:
- Ci sono molte bocciature e vengono bocciati soprattutto gli studenti di famiglie povere pag. 46, 47, 48
- C’è un elevato abbandono scolastico 33. Gli studenti hanno la tendenza ad abbandonare anche la scuola di Barbiana per andare al lavoro 22, 40
- I programmi scolastici sono inattuali e/o lontani dagli interessi degli studenti e/o lontani dalla vita pratica 20 (La piccola fiammiferaia, la poesia di Pascoli), 23 (l’enfasi sulla grammatica nello studio delle lingue), 26 (la geometria di superfici che non esistono nel mondo reale), 27 (la storia si ferma alla prima guerra mondiale), l’Iliade e Odissea nella traduzione di Monti (28), la pallacanestro (29), nell’insegnamento delle lingue viene posto l’accento sulla grammatica invece che sulla pratica 24. Meglio La storia attuale 27, la Costituzione 27, il contratto dei metalmeccanici 29.
Possibili soluzioni
- Il sindacato dei genitori 27 che promuova il cambiamento della scuola
- Non bocciare 66, riducendo i programmi della scuola dell’obbligo alle conoscenze necessarie per la vita quotidiana 69
- Tempo pieno ai meno bravi 66
- Creare interesse agli svogliati 66.
Cosa possiamo dire invece del metodo didattico?
- Setting d’aula dove gli studenti (tutti maschi -almeno inizialmente- in età 12-16 anni, impegnati nella scuola media) siedono tutti assieme 17
- Insegnante unico che si dedica all’insegnamento con dedizione totale
- Un insegnante per 8 studenti che appartengono a classi diverse e seguono programmi in parte diversi
- La scuola si svolge tutti i giorni incluse le festività, dura tutto il giorno (10 ore), non c’è ricreazione, i ragazzi mangiano a scuola 17
- Uso della peer education 17, 18
- Due ore tutte le mattine per la lettura del giornale 27
- Uso di punizioni corporali Noi per i casi estremi si adopera anche la frusta 68
- Programmi ministeriali seguiti solo in parte 28, 32
- Se qualcuno non capisce, la lezione si ferma finché la difficoltà non è superata 17
- Le lingue sono studiate con i dischi, sviluppando prima la capacità di espressione 24, ma questo metodo non è possibile con l’inglese 25.
Il successo formativo degli studenti di don Milani
Su questo punto le indicazioni sono contrastanti. In Lettera a una Professoressa leggiamo:
I miei compagni hanno sfondato dappertutto. Alcuni son già sindacalisti a pieno tempo e riescono. Altri sono in officina a Firenze non si fanno intimidire da nessuno. Lavorano nei sindacati, nei partiti e sulle amministrazioni comunali. Perfino i due che son venuti all’istituto tecnico sono riusciti. Passano come pierini [Pierino è il nome di uno studente bravo di famiglia ricca richiamato nel testo] 88.
Nell’opera, l’unico studente bocciato è quello che si iscrive all’istituto magistrale. Tuttavia, in una lettera di don Milani citata in Scotto di Luzio (Adolfo Scotto di Luzio (L’equivoco don Milani, 2023:67) leggiamo che lo stesso anno è stato bocciato anche un tal Enrico, e l’anno dopo altri tre studenti.
L’insegnante di Vicchio
Una mia collega, docente nella scuola media di Vicchio, ebbe più volte l’occasione di esaminare i ragazzi di Barbiana, che manifestavano una preparazione molto scarsa. Oggi ripete spesso che don Milani appariva “un buon padre di famiglia”, che desiderava offrire ai ragazzi la possibilità di andare avanti, ma non era capace di ottenere i risultati sperati, perché era del tutto assente l’impegno a “fare cultura”. Così Cesarina Dolfi, su I Quaderni del Covile, n.7, Su Don Milani e il donmilanismo p. 42.
Ma perché lo studente dell’Istituto magistrale viene bocciato?
- Perché ogni giorno per andare a scuola a Firenze da Barbiana perdeva 4 ore di viaggio
- Perché non era riuscito a imparare il latino 94, la matematica 99, l’italiano (sia scrittura che letteratura) 104
- Viene rimandato con 5 in italiano e 4 in latino 110. A settembre bocciato con 4 e 4. 113. L’anno dopo si presenta da privatista e viene bocciato di nuovo 114.
Sarebbe molto interessante conoscere le traiettorie scolastiche degli studenti di don Milani dopo l’interruzione della scuola seguita alla sua scomparsa.
Testimonianze degli studenti di don Milani
Le testimonianze sono scarse. Vedi:
- Mileno Fabbiani: “Così don Milani mi ha cambiato la vita”
- La testimonianza di un alunno «Barbiana, centro del mondo»
- Nanni: “Litigai con don Milani, ora difendo la sua memoria”
- E’ morto Michele Gesualdi, il “primo” ragazzo di don Milani
- Le ragazze di Barbiana
La scuola di Barbiana è riproducibile?
La risposta è no. Don Milani era una persona carismatica, e non è pensabile mettere a regime una scuola che dura tutto il giorno tutti i giorni dell’anno. Alcuni aspetti della scuola di Barbiana, ad esempio i compiti di realtà, la peer education, la discussione esistono già e/o possono essere introdotti anche nella scuola ordinaria.
Lo stesso don Milani scrive che La scuola come io la vorrei non esisterà mai altro che in qualche minuscola parrocchietta di montagna oppure nel piccolo di una famiglia dove il babbo e la mamma fanno scuola ai loro bambini (lettera a Giorgio Pecorini del 10.11.1959). e inoltre (stessa fonte) La scuola non può essere che aconfessionale e non può essere fatta che da un cattolico e non può esser fatta che per amore (cioè, non dallo Stato).
Altri concetti
La scuola normale dura troppo poco
L’orario giornaliero e giorni all’anno sono troppo ridotti, gli studenti poveri hanno bisogno di più ore 30, 59. Il doposcuola aiuterebbe, ma non viene adottato 30 69. Il doposcuola (chiamato pieno tempo) andrebbe fatto anche la domenica e nelle vacanze di Natale, Pasqua e estive 70 Per rendere possibile il doposcuola, gli insegnanti dovrebbero accettare in casa propria i propri studenti, oppure rimanere celibi 70 (a questo punto calcola quanti insegnanti celibi ci sono in Italia 71). Visto che gli insegnanti della scuola pubblica non vogliono fare il doposcuola, nel pomeriggio e d’estate devono pensarci le scuole private 73. Se non le fa nessuno, deve pensarci il sindacato 74.
Gli insegnanti sono inadatti al loro ruolo
Gli insegnanti non si impegnano, lavorano poco 72, non vogliono fare il doposcuola, guadagnano troppi soldi, fanno ripetizioni a pagamento 53-55, fanno scioperi in orario di lavoro 72, stanno a casa se hanno un figlio malato 96, bocciano e annoiano i ragazzi poveri 65 sono assenti 89 andrebbero pagati a cottimo per ogni studente che passa 68 difendono i propri privilegi 92 la preparazione dei maestri è generica e svogliata 94 sprecano le ore di scuola in esami, compiti in classe, interrogazioni 106.
Andrebbe creata una scuola di servizio sociale che formi preti, maestri, sindacalisti, politici. Senza voti, senza registro, senza gioco, senza vacanze, senza debolezze verso il matrimonio o la carriera. Tutti i ragazzi indirizzati alla dedizione totale 95.
Alla scuola dell’obbligo, le bocciature negli anni intermedi vanno evitate
Le bocciature vanno evitate 36 Il bambino bocciato viene ‘sradicato’ dalla sua classe, sul suo banco ci dovrebbero mettere una bara per ricordarlo 38, 67, 89 Nella scuola dell’obbligo, si dovrebbe bocciare solo in terza 49 L’unico problema col divieto di bocciare c’è per la matematica, perché La lezione di seconda o terza è inutile per chi non sa le cose di prima 68, però non è un gran problema, basta limitarsi a insegnare solo la parte del programma che serve alla vita di tutti i giorni 69.
I programmi vanno ridotti o rivisti con l’inserimento di altri contenuti, gli standard vanno abbassati
- La cultura vera è appartenere alla massa e possedere la parola 90
- Rivalutazione del sapere che serve per la vita quotidiana 20
- Pretesa che gli studenti possano continuare a esprimersi in cattivo italiano 21
- Alle medie la lettura principale dovrebbe essere il Vangelo 100 e andrebbe creata una materia apposita dedicata all’antico testamento 101. Anche geografia il capitolo più dettagliato dovrebbe essere dedicato alla Palestina 101
- La storia parla di re e generali, ma le sofferenze e le lotte dei lavoratori sono ignorate o messe in un cantuccio. A Gandhi solo 9 righe. 102
- A scuola andrebbe inserita la materia l’arte dello scrivere 104
- Alle medie dovrebbero insegnare i maestri, no i laureati in discipline specifiche 96
- La selezione alle superiori è legittima perché vanno creati specialisti, ma deve essere fatta su contenuti appropriati 95 99 Ad esempio all’istituto magistrale andrebbero aboliti il latino e la matematica 99 Per la matematica superiore possono bastare due o tre conferenze di uno specialista che sappia dire a parole in che consiste. 99 Per insegnare matematica alle medie non serve la laurea in matematica perché basta ripetere per anni le stesse cretinate che sa ogni bravo ragazzino di terza media 100
- Come potrebbe essere un esame all’istituto magistrale: A pedagogia vi chiederemo solo di Gianni [il ragazzo con maggiori difficoltà della scuola di Barbiana]. A italiano di raccontarci come avete fatto a scrivere questa bella lettera [Lettera a una Professoressa]. A latino qualche parola antica che dice il vostro nonno. A geografia la vita dei contadini inglesi. A storia i motivi per cui i montanari scendono al piano. A scienze ci parlerete dei sormenti [tralci della vite] e ci direte il nome dell’albero che fa le ciliegie 115.
Le attitudini degli studenti
- Tutti i ragazzi nascono con pari capacità; se poi vengono bocciati, la colpa è della scuola 53, in particolare degli insegnanti 53-55 e delle mode, cioè gli interessi extrascolastici (il calcio, le ragazzine, il bar) 56-57
- La teoria che ragazzi diversi abbiano attitudini diverse è razzista 67 E quelli che le dimostrano vanno repressi: E’ diseducativo dire a un ragazzo: “Per questa materia sei tagliato.” Se ha passione per una materia bisogna proibirgli di studiarla. Dargli di limitato o squilibrato. C’è tanto tempo dopo per chiudersi nelle specializzazioni. 68
- Sarcasmo e denigrazione verso gli studenti più dotati 37, 43, sono fascisti 61, sono squilibrati 61 ripetono solo cose lette sui libri 91 utilizzano soldi pubblici per fare l’università 91
- Gli studenti ‘normali’ studiano per la pagella e il diploma, non per interesse 25, a 12 anni sono già degli arrivisti.
A cosa deve servire la scuola
- Il fine ultimo dell’insegnamento è educare gli studenti all’amore del prossimo, la scuola che dà i diplomi propone ai ragazzi il Dio Quattrino Il fine immediato è insegnare ai poveri ad esprimersi, in italiano e in altre lingue 77 E’ la capacità di esprimersi che crea eguaglianza 78. Le specializzazioni (le scienze, il latino) nella scuola dell’obbligo non servono 78
- La scuola che non funziona potrebbe essere frutto di una precisa strategia perseguita da banche, industrie, partiti, stampa, mode 60
- La nuova scuola media va bene (anche) perché è dispiaciuta alle destre 29
- Anche se la scuola attuale ha dei limiti, è necessario che gli studenti poveri imparino a esprimersi, meglio la scuola attuale che la fabbrica 75, 77. La presenza di un gran numero di studenti poveri cambierà la scuola 75.
La professoressa che ha bocciato lo studente è una poco di buono e una tr*ia
Scotto di Luzio ci racconta che (p.79):
L’espressione tr*ia riferita alla professoressa tornava in molti capoversi. Fioretta Mazzei, che era stata con Giorgio La Pira al Comune di Firenze come assessore alla Pubblica istruzione dal 1961 al 1965, glielo fece notare. Secondo la sua testimonianza, don Milani le avrebbe risposto: «Tu non capisci, le cose devono essere un po’ violente, tu vorresti che fossero tutte per benino». In ogni caso, il prete non se ne diede per inteso e se l’epifonema denigratorio non si legge nel testo è solo perché l’editore ritenne opportuno toglierlo.
In altri punti del testo, sempre secondo Scotto di Luzio, la professoressa viene definita una poco di buono.
Altro
- Rivalutazione della dimensione comunitaria presente nelle piccole comunità rispetto alla vita in città 98 L’ascensore è una macchina per ignorare i coinquilini. L’automobile per ignorare la gente che va in tram. Il telefono per non vedere in faccia e non entrare in casa. 98
- Anche i partiti di massa sono diretti da laureati figli di papà (e invece dovrebbero essere diretti da figli dei poveri) 63 la maggioranza dei parlamentari sono laureati 63. Al contrario, i laureati dovrebbero mettersi in disparte 64
- I benestanti e i colti sono colpevoli 62, devono sparire 78
- La scuola ha un forte contenuto ideologico che viene acquisito dagli studenti 95.
Un commento
Lettera a una Professoressa ha il merito di porre l’attenzione sulla negativa esperienza scolastica degli studenti poveri e di proporre dei cambiamenti.
Le difficoltà degli studenti poveri sono dovute al fatto che, a causa del contesto familiare e amicale, parlano un cattivo italiano e hanno una cultura lontana dai contenuti proposti a scuola.
Per questo motivo vengono bocciati, abbandonano la scuola e interiorizzano un senso di sconfitta e inadeguatezza.
Don Milani si prende cura di alcuni di loro con dedizione assoluta, cercando di sviluppare la loro conoscenza del mondo, la loro capacità di espressione, e di promuovere il loro successo scolastico. La scuola di Don Milani è caratterizzata dal fatto che:
- ha un docente unico
- utilizza la peer education
- ha un setting d’aula basato su un grande tavolo dove tutti si siedono invece che singoli banchi
- si svolge tutti i giorni per tutto il giorno
- due ore al giorno sono dedicate alla lettura del giornale
- le materie scolastiche sono svolte raccordandole all’esperienza di vita e agli interessi dei ragazzi, tagliandone alcune parti per cui non è possibile trovare questo collegamento
- ricorre a punizioni corporali
- ha un forte contenuto ideologico.
Lettera a una Professoressa propone una serie di cambiamenti:
- evitare le bocciature negli anni intermedi della scuola dell’obbligo, ma solo per motivi ‘sociali’ (evitare di sradicare il ragazzo dal gruppo dei compagni), e pazienza se questo renderà difficile l’apprendimento negli anni successivi
- allungare l’orario scolastico per gli studenti meno bravi
- rendere i programmi più vicini alla realtà degli studenti o, nelle superiori, alle finalità del tipo di scuola
- abbassare gli standard richiesti agli studenti
- penalizzare gli studenti capaci
- migliorare la preparazione e la dedizione degli insegnanti con un nuovo indirizzo di scuola (scuola di servizio sociale)
Il contesto
Le persone non nascono tutte uguali. Alcuni ad esempio nascono da genitori che hanno patrimoni di centinaia di migliaia o milioni di euro, altri da genitori che hanno un elevato livello di istruzione, altri ancora in Paesi dove la lingua dei genitori non è la prima lingua. Inoltre, una parte dei lavori che assicurano i redditi più elevati viene assegnata in base al merito, cioè sulla base del possesso di una laurea e di specifiche conoscenze e capacità. E’ ovvio che le persone che nascono in famiglie ricche, colte, o che nascono con attitudini di buon livello in ambito cognitivo e/o relazionale raggiungeranno con relativa facilità significativi livelli di benessere.
Modi per eliminare o ridurre la diseguaglianza
Questa diseguaglianza di partenza può essere ridotta o eliminata in vari modi.
Ad esempio i patrimoni possono essere pesantemente tassati con una tassa di successione e i redditi possono essere tassati con la tassazione ordinaria, la proprietà privata può essere nazionalizzata come accaduto in Unione sovietica o nella Cina di Mao, le persone colte possono essere discriminate come nella Cina della Rivoluzione culturale o semplicemente uccise come nella Cambogia di Pol Pot. Un’altra strada contro la diseguaglianza è la promozione del merito, cioè permettere ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi.
Una buona parte (ma non tutte) le persone che provengono da famiglie colte o che nascono con attitudini di buon livello in ambito cognitivo e/o relazionale (anche da genitori poveri) otterranno buoni risultati negli studi. Una buona parte degli studenti che provengono da famiglie povere o che hanno ridotte attitudini otterranno risultati negativi.
Quanto vale la famiglia d’origine?
Quant’è la proporzione di studenti scarsi fra i figli di famiglie ricche e studenti capaci fra i figli di famiglie povere? Il sociologo Luca Ricolfi, nel suo libro La rivoluzione del merito ci racconta di una sua ricerca svolta fra gli studenti di terza media dell’anno 2021-22. Secondo Ricolfi, su 100 ragazzi di classe alta, 39 hanno voti sotto la media, a dispetto della loro condizione di vantaggio. E su 100 ragazzi di classe bassa, 36 hanno voti sopra la media, a dispetto della loro condizione di svantaggio (109).
Dunque, continua Ricolfi, l’origine sociale conta, ma lascia ampi gradi di libertà. Ci sono mille fattori che possono annullare il vantaggio di nascere in una classe alta, e altrettanti fattori che possono neutralizzare lo svantaggio di nascere in una classe bassa. I nostri risultati confermano che le «variabili idiosincratiche», come talento, impegno, fortuna, possono avere un ruolo cruciale, altrettanto se non più incisivo dell’origine sociale.
La proposta di don Milani
Risultati scolastici negativi spingono ad abbandonare la scuola, anche nei segmenti la cui frequenza è obbligatoria.
Che cosa fare con gli studenti che tendono ad avere risultati negativi perché provengono da famiglie povere?
La risposta di Don Milani è che questi studenti:
A. hanno bisogno di un insegnamento personalizzato e più lungo rispetto agli altri studenti
B. i loro programmi vanno facilitati
C. i contenuti dei programmi vanno resi più vicini alla loro esperienza di vita
D. devono essere promossi in ogni caso anche quando l’insegnamento più lungo e i programmi facilitati e personalizzati non portano risultati.
Gli effetti della proposta di don Milani
Qual è il risultato di queste strategie sul sistema dell’istruzione nel suo complesso? Se gli studenti in ritardo perché provenienti da famiglie povere, grazie alla misura A, non riescono a recuperare e rimangono nelle classi ordinarie assieme agli altri studenti, il risultato della misura B è uno scadimento del livello di apprendimento di tutti gli studenti.
Se la misura C viene applicata per i programmi di tutti gli studenti, il risultato è una riduzione dei contenuti disciplinari appresi da tutti gli studenti.
In sintesi, applicando la ricetta di Don Milani un numero maggiore di studenti poveri prenderà un diploma in meno anni, o riuscirà a prenderlo invece di abbandonare la scuola, ma ci sono buone probabilità che la totalità degli studenti risulterà più ignorante e meno capace.
Il divieto di bocciatura nelle secondarie di primo grado abbassa poi il livello di preparazione anche nelle secondarie di secondo grado. Don Milani, che pure era a favore delle bocciature e alla creazione di specialisti nelle secondarie, non ha considerato che se nelle secondarie di secondo grado i livelli di ingresso sono bassi, l’apprendimento nel quinquennio tenderà ad essere scadente.
Anche la possibilità di bocciare in terza media, auspicata da don Milani, non serve a migliorare la preparazione. E’ difficile recuperare in terza la preparazione insufficiente accumulata in due anni. La posizione di don Milani è perciò illogica.
Una soluzione migliore: rinunciare al gruppo classe stabile
Una soluzione migliore sarebbe rinunciare al gruppo classe stabile, e per ogni materia formare gruppi di studenti sulla base del loro livello, come accade nei corsi di lingue. Questo permetterebbe anche di far sì che tutti gli studenti passino lo stesso numero di anni in ciascun segmento di studi.
Faccio un esempio: nella secondaria di primo grado ammettiamo siano attive classi per tre livelli di matematica. A inizio del percorso ogni studente fa un test, e viene inserito nella classe di livello corrispondente. Durante l’anno gli studenti che hanno un buon livello di apprendimento passano al livello superiore.
Un determinato studente potrà trovarsi in un dato momento al livello 1 per matematica, al livello 2 per inglese, al livello 3 per italiano, e frequentare ogni mattina le classi relative.
Al termine dei tre anni avremmo studenti che sono entrati al livello 1 ed escono al livello 1. E altri studenti che escono ai livelli 2 o 3.
L’ammissione alla secondaria di secondo grado e all’università dovrebbe essere condizionata al possesso di un livello minimo in materie specifiche. Per quel che ne so, un sistema di questo tipo funziona nelle scuole del mondo anglosassone.
Ha vinto don Milani
Nei 50 anni seguiti all’uscita di Lettera a una Professoressa, il divieto di bocciatura auspicato da Don Milani è stato effettivamente adottato. Al momento le bocciature nella scuola secondaria di primo grado sono pari all’1,5% e secondo la normativa bocciare deve essere un fatto eccezionale.
I test INVALSI ci dicono che effettivamente il livello di competenze degli studenti italiani è nel complesso molto basso rispetto ad altri Paesi sviluppati (dati 2016). Questa è anche l’evidenza aneddotica raccontata da docenti anziani.
In sintesi, per favorire una specifica categoria di persone (studenti poveri con ridotte conoscenze e capacità di apprendimento) la scuola italiana ha scelto la soluzione più semplice: ridurre il livello di preparazione generale. Nulla o quasi nulla è stato invece fatto in altre direzioni, pure auspicate da don Milani, ad esempio aumentare le ore di scuola, sviluppare nuovi metodi didattici, o utilizzare classi differenziali.
Sugli effetti di Lettera a una professoressa vedi anche questo articolo di Sebastiano Vassalli.
Gli appassionati dell’uguaglianza sociale vorrebbero tutti uguali, tutti ignoranti, anche in contraddizione a Don Milani, che pure ammetteva le bocciature in terza media e nelle superiori. Una politica di questo tipo, spinta all’estremo, avrebbe risultati assai dannosi per la società: proviamo a immaginare interventi chirurgici, decisioni legali, calcoli statici di edifici e ponti, insegnamento, guida di navi e aerei svolti da incompetenti incaricati o promossi a quei compiti per egalitarismo.
E inoltre, come segnala Adolfo Scotto di Luzio (L’equivoco don Milani, 2023:10) Da più parti si ripete: senza uguaglianza non c’è merito. La frase fa effetto. Ma è vero anche il contrario. È chiaro infatti che senza merito non c’è uguaglianza, ci sono solo diritti ascritti. Funzionava così l’Antico regime. Nelle nostre società, invece, una scuola senza merito restituisce la regolazione delle differenze sociali al più potente e imponderabile dei fattori umani, la fortuna. Sei nato dalla parte sbagliata? Ti arrangi, oppure resti lì.
La pedagogia dell’amore
Secondo Scotto di Luzio (L’equivoco don Milani, p.13), in don Milani La polemica contro il merito scolastico è condotta nel nome della relazione tra il maestro e l’allievo. La conoscenza disciplinare, con le sue richieste di conformità, viene dopo. Don Milani compare in questa discussione come il simbolo di un’esigenza pedagogica fondamentale: prendersi cura del giovane che si sta formando.
Prendersi cura è fondamentale perché molti giovani svantaggiati hanno problemi di autostima e incapacità di comunicazione. Finché non li hanno superati non è possibile (?) passare ai contenuti disciplinari.
C’è un prima, la persona. Bisogna andarne in cerca e solo poi è possibile trattare con lo scolaro (così Scotto di Luzio, 16).
E’ oggetto di discussione se questo prendersi cura debba avvenire assieme all’acquisizione dei contenuti disciplinari (io credo sia possibile) oppure come un momento preliminare a se stante. E inoltre se, ai fini del successo formativo, il prendersi cura vada inteso come preliminare o possa essere alternativo all’acquisizione dei contenuti disciplinari.
Quando don Milani chiede programmi facilitati e con contenuti più vicini alla vita dei suoi studenti sembra che il prendersi cura sia alternativo, oppure più semplicemente, che il prendersi cura non sia abbastanza per permettere l’acquisizione dei contenuti disciplinari.
Limiti della pedagogia dell’amore
Scotto di Luzio (16) critica questa pedagogia, che chiama pedagogia dell’amore, perché non [è] immune dai rischi della sopraffazione e della manipolazione. Ma soprattutto (17-18):
La pedagogia ispirata a don Milani, come d’altronde Pestalozzi e Fröbel, riesce forse a dare prova di sé in questo «prima». Ma quando poi si è ritrovata la persona, quando si è restituito al giovane la piena coscienza di sé, torna il curriculo, tornano la scuola e l’insegnamento con le loro esigenze inaggirabili se si vuole insegnare qualcosa ai ragazzi, qualsiasi cosa. Altrimenti, c’è sempre la possibilità di passeggiare nei campi.
I tentativi di Pestalozzi di elaborare un metodo per l’apprendimento della matematica sono privi di qualsiasi fondamento.
Don Milani dal canto suo risolve il problema direttamente alla radice. Semplicemente, non vale la pena insegnare la matematica oltre le esigenze dell’uso quotidiano. Non proprio un grande contributo alla teoria dell’apprendimento.
Ogni volta che si parla di don Milani si omette questo particolare: nessuna delle indicazioni che si possono ricavare dalla sua opera serve per insegnare la matematica (o qualsiasi altra materia). Serve ad altre cose, ma non alla scuola in senso proprio.
(…). Di fronte a questo scoglio, contro il quale continuano a infrangersi le imbarcazioni di tanti ragazzi, chi pretende di ispirarsi ai principî di don Milani riesce a giustificare il proprio operato con intenti esclusivamente educativi.
Don Milani progettava una scuola dell’altruismo. I suoi seguaci si richiamano di volta in volta alla Costituzione, alla pace, alla fratellanza tra i popoli.
Tutti valori encomiabili, ma messa di fronte alla dura necessità dell’apprendimento, questa scuola fatica a fare i conti con una constatazione semplice e difficile da mandare giù da parte di tutte le pedagogie progressiste: il fatto, cioè, che il potere conoscitivo resta tutto dal lato del disciplinare.
In realtà il fatto che sappiamo poco delle tecniche di insegnamento di don Milani, non ci autorizza a dire che non ci fossero. Semplicemente, non sono l’oggetto di Lettera a una professoressa. Sappiamo ad esempio che utilizzava la discussione, la lettura del giornale, la peer education.
Un altro aspetto da evidenziare è che la scuola di don Milani (comunque, come già detto, non riproducibile in toto) ha sviluppato numerose di quelle competenze chiave europee che adesso fanno parte del curricolo scolastico.
La visione del mondo di don Milani
Il sociologo Luca Ricolfi, nel suo libro La rivoluzione del merito, ricostruisce la visione complessiva di don Milani.
Ricolfi inizia con una citazione di Pietro Ichino, che nel suo libro La casa nella pineta, racconta (35-36):
Un giorno, nella primavera del ’62, eravamo tutti – lui, i miei genitori, le mie sorelle e io – nel bel soggiorno della nostra casa di via Giotto, quando don Lorenzo, facendo un gesto circolare per indicare tutto quel benessere, mi disse: «Per tutto questo non sei ancora in colpa; ma dai 21 anni [quella era, all’epoca, l’età alla quale si diventava maggiorenni], se non restituisci tutto, incomincia a essere peccato».
E riguardo alla scuola (cito da Ricolfi, 37-40):
Primo. Lo scopo della scuola dell’obbligo non è trasmettere la cultura, e meno che mai la cultura umanistica, bensì quello di insegnare cose utili e fornire a tutti il controllo della parola, che è lo strumento fondamentale per misurarsi alla pari con i ricchi.
Secondo. Per assolvere il suo compito, la scuola dell’obbligo non deve ricorrere alle bocciature (tranne che all’esame di licenza media) ma ampliare il più possibile il tempo di studio a scuola con il tempo pieno. Don Milani apprezza anche le classi differenziali.
Terzo. Dopo la scuola dell’obbligo, l’unico tipo di studi che vale la pena seguire è quello che potrebbe essere offerto da una «Scuola di servizio sociale», dai 14 ai 18 anni. Meglio se dopo i maestri rimangono celibi.
Quarto. Chi aspira a frequentare le scuole secondarie (eccetto quelle di servizio sociale) o a iscriversi all’università è animato da ambizione, egoismo, arrivismo, e lo è da qualsiasi condizione provenga. E fin dall’inizio, dagli anni della scuola dell’obbligo, l’impegno scolastico è sospetto.
Quinto. Tutte le professioni prestigiose e ben pagate sono sospette. Ovunque si parli di intellettuali, laureati, professionisti, il tono di don Milani diventa sprezzante. Anche i cultori della scienza, quando non sono stupidi o arrivisti, sono «avari».
Don Milani e l’art. 34 della costituzione
Poi Ricolfi prosegue:
È chiaro che, con questa visione del mondo, per i capaci e meritevoli non vi è alcuno spazio, anche se sono poveri. Ricordate? I figli dei poveri che vanno all’università, così facendo «cambian razza».
Nella migliore delle ipotesi non c’è bisogno di puntare su di loro («le cose andranno avanti anche da sé»), nella peggiore l’unica cosa che meritano è il nostro disprezzo. Ed è pure logico: se la ricchezza è peccato, allora è peccato anche aspirare a raggiungerla, come fanno i ragazzi che vogliono continuare gli studi dopo l’obbligo.
E l’articolo 34 della Costituzione? Don Milani ce l’ha bene a mente, e infatti lo richiama più volte. Ma capisce perfettamente che non fa per lui, che cozza con il suo modo di sentire. Cita il passo cruciale («i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di accedere ai gradi più alti degli studi»), ma solo per schernire chi ebbe a concepirlo.
Scrive infatti don Milani: Gli onorevoli costituenti credevano che si patisse tutti la voglia di cucir budella o di scrivere ingegnere sulla carta intestata.
Dunque, riprende Ricolfi, l’aspirazione a fare il chirurgo è «voglia di cucir budella». Quella di fare l’ingegnere – una delle professioni che più hanno contribuito alla rinascita dell’Italia dopo il fascismo – è solo «voglia di scrivere ingegnere sulla carta intestata».
I Padri costituenti e la loro idea di democrazia, fondata sulla mobilità sociale e il ricambio continuo della classe dirigente, non potrebbero essere più lontani.
Educazione come indottrinamento
L’indottrinamento è un processo che cerca di convincere le persone a aderire in maniera acritica a determinate credenze o ideologie.
L’indottrinamento può avvenire in vari contesti, tra cui l’educazione, la religione, la politica. Le informazioni sono presentate in modo tale da scoraggiare il dubbio e promuovere determinate credenze o visioni come assolute o incontestabili. In molti casi, l’indottrinamento mira a creare fedeltà incondizionata a una causa, un’ideologia o un leader.
Nell’educazione l’indottrinamento è deleterio perché riduce l’autonomia, il senso critico e l’apertura mentale che invece l’educazione dovrebbe favorire.
Come riconoscere l’indottrinamento nell’educazione
Nell’educazione, l’indottrinamento è facilmente riconoscibile quando sussistono le seguenti condizioni:
- La formazione ha una esclusiva o rilevante componente ideologica o valoriale
- Tutti gli allievi escono da una determinata formazione con le stesse credenze o posizioni ideologiche
- Le credenze o le posizioni ideologiche di uscita degli allievi sono diverse da quelle di entrata
- Le credenze o le posizioni ideologiche di uscita degli allievi sono le stesse del docente.
Le possibilità di indottrinamento crescono al crescere del carisma del docente e della distanza culturale e di maturazione personale fra docente e allievi.
Se consideriamo la scuola di Barbiana, le caratteristiche dell’indottrinamento ci sono tutte.
Vedi tutti gli articoli di Scienze dell’educazione.
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. Riproduzione riservata. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.