La polemica Mishra-Ferguson
In Storia globale, cap.6 Controversie di storia globale (da p. 95 in poi) Sebastian Conrad descrive il dibattito sull’eurocentrismo. Secondo lo studioso Robert Marks, citato da Conrad, la visione del mondo eurocentrica Vede l’Europa come l’unica figura attiva della storia mondiale, in un certo senso come la sua origine. l’Europa agisce mentre il resto del mondo obbedisce. L’Europa ha la forza di creare, il resto del mondo è passivo. L’Europa fa la storia, il resto del mondo non ne possiede alcuna finché non entra in contatto con l’Europa. L’Europa è il centro, il resto del mondo la sua periferia. Solo gli europei sono in grado di avviare cambiamenti o modernizzazione, il resto del mondo no. (p.96)
Come esempio di questa posizione Conrad fa riferimento alle pubblicazioni di Niall Ferguson, al quale è stato rimproverato di rispolverare posizioni imperialistiche razzista del XVI secolo Qui Conrad cita la recensione di Pankaj Mishra al libro di Ferguson N. (2011) Civilization. The West and the Rest. La recensione, dal titolo Whatch this man, è stata pubblicata in London Review of Books Vol. 33 No. 21 · 3 November 2011 https://www.lrb.co.uk/the-paper/v33/n21/pankaj-mishra/watch-this-man
In Civilization: The West and the Rest, un libro di taglio divulgativo, anche se ben documentato (contiene 30 pagine di bibliografia), che riprende molte delle tesi di David S. Landes (1998) The Wealth and Poverty of Nations: Why Some Are So Rich and Some So Poor, Niall Ferguson sostiene che l’ascesa dell’Occidente dal XVI secolo in poi sia dovuta a sei “killer applications” culturali ed economiche: concorrenza, scienza, diritti di proprietà, medicina, società dei consumi ed etica del lavoro. Queste “applications” avrebbero permesso all’Occidente di superare il resto del mondo in termini di sviluppo e potere globale. Siamo qui in un approccio che Conrad definirebbe eurocenrico e internalistico in senso culturale ampio.
In questo breve articolo commento i rilievi di Mishra alla ricostruzione storica contenuta in Civilization.
Nella recensione di Mishra ci sono anche altri contenuti: l’affermazione che le tesi eurocentriche servono a giustificare l’ideologia suprematista bianca, l’accusa non troppo velata a Ferguson di essere razzista e quella di non evidenziare abbastanza gli effetti negativi dello sviluppo europeo sui popoli indigeni, una critica alle ricostruzioni storiche di altri libri di Ferguson, ma su questi temi non mi soffermo.
Riferendosi a Civilization, Mishra afferma che he [Ferguson] suppresses or ignores facts that complicate his picture of the West’s sui generis efflorescence. Riporto qui di seguito le critiche a specifici aspetti della ricostruzione storica di Ferguson. Per comodità di esposizione le divido in paragrafi numerati. Riporto solo critiche puntuali, su cui è più agevole dare una valutazione, tralascio invece altre affermazioni di Mishra non sufficientemente specifiche, quali ad esempio queste:
Foregoing cogent argument, Ferguson collects much quiz-friendly information. But he hasn’t, to use his own unlovely computer jargon, organised his folders well. Reading about the consumer society, the app that apparently killed Communism, you suddenly come across 19th-century nationalisms; the benefits of Western medicine segue into the French Revolution.
Qui di seguito, invece, le critiche puntuali.
- Arguing that the Scientific Revolution was ‘wholly Eurocentric’, he disregards contemporary scholarship about Muslim contributions to Western science, most recently summarised in George Saliba’s Islam and the Making of the European Renaissance. He prefers the hoary prejudice that Muslim clerics began to shut down rational thought in their societies at the end of the 11th century.
Qui Mishra sostiene due cose diverse: A. che Ferguson ignora gli studi di Saliba e B. che segue il vecchio pregiudizio secondo cui nel mondo islamico, a partire dall’IX secolo, il pensiero razionale sia stato soffocato dai clerici.
È utile ricordare che secondo Saliba (come descritto in ChatGPT), il contributo islamico alla scienza europea non si limitò al semplice “trasferimento di conoscenze” nel XII secolo tramite le traduzioni arabe-latine. Saliba sostiene che:
- La scienza islamica fosse ancora molto attiva nel XV-XVI secolo
- Il processo di diffusione della scienza islamica continuò fino al Rinascimento europeo
- Scienziati europei non solo tradussero testi arabi, ma li studiarono attivamente e li integrarono nel proprio pensiero
- L’idea che la scienza islamica sia stata solo un “ponte” tra il mondo greco e quello europeo sottovaluta il contributo originale degli scienziati musulmani.
Ferguson non cita mai Saliba. Nel capitolo dedicato allo sviluppo della scienza in Occidente, Ferguson inizia riconoscendo il debito dell’Occidente verso il mondo musulmano: The West owes a debt to the medieval Muslim world for boths is custodianship of classical wisdom and its generation of new knowledge in cartography, medicine and philosophy as well as in mathematics and optics (p.51). Dunque, Ferguson concorda col punto quattro di Saliba.
Riguardo al declino o al mancato sviluppo della scienza nel mondo islamico, Ferguson, che non è un esperto di storia della scienza, cita 10 fonti secondarie (pp. 67-69). Perciò la sua linea di pensiero non è un vecchio pregiudizio, ma una linea interpretativa che ha dei fondamenti di ricerca.
- He brusquely dismisses Kenneth Pomeranz’s path-breaking book The Great Divergence, asserting that ‘recent research has demolished the fashionable view that China was economically neck to neck with the West until as recently as 1800.’ But he offers no evidence of this fashion-defying research.
Questa citazione si trova a p. 304, dove Ferguson fa riferimento un’opera di Maddison e a un’altra allora in corso di pubblicazione di Guan e Li su China Economic Quarterly. In realtà, Pomeranz (secondo ChatGPT e Claude) confronta l’Inghilterra (e a volte la Gran Bretagna) solo con la regione del basso Yangtze, che all’epoca era una delle più sviluppate della Cina. È errato eguagliare la situazione economica del basso Yangtze con quella della Cina. La Cina comprendeva anche zone molto più povere dello Yangtze e nel suo insieme, secondo lo studio di Guan e Li, i livelli di vita, la produttività agricola e il commercio erano più arretrati di quelli dell’Inghilterra (e della Gran Bretagna) di inizio Ottocento. Nel dibattito c’è un malinteso relativo all’unità di analisi. Ferguson in Civilization fa sempre riferimento a stati nazionali o raggruppamenti di stati (the West), mentre l’analisi di Pomeranz fa riferimento per quel che riguarda la Cina a una specifica regione e all’Inghilterra (o alla Gran Bretagna nel suo insieme, specialmente quando parla dell’accesso alle risorse coloniali).
Dunque, se crediamo alla descrizione di The Great divergence fatta da ChatGPT e Claude, l’errore in prima battuta è di Ferguson quando afferma che la ricerca di Pomeranz fa riferimento alla Cina. Tuttavia, l’errore di Ferguson potrebbe essere dovuto al fatto che una buona parte dei commentatori e degli studiosi allargano le conclusioni di Pomeranz all’intera Cina. Lo stesso titolo completo del libro fa riferimento alla Cina nel suo complesso: The Great Divergence: China, Europe, and the Making of the Modern World Economy. E, ad esempio, in questa recensione di Great Divergence leggiamo The book’s thesis is that China was as rich as western Europe in 1800 but that Europe pulled ahead in the nineteenth century because of abundant coal and copious flow of commodities from the New World.
Se allarghiamo le conclusioni valide per lo Yangtze all’intera Cina, allora però l’argomentazione della ‘parità’ economica fra Cina e Europa viene meno: indipendentemente dai livelli di singole regioni scelte appositamente da Pomeranz per i loro livelli di sviluppo elevati, effettivamente la Cina nel suo complesso, come afferma Ferguson, a inizio ‘800 aveva già un PNL pro capite più basso di quello dell’Europa, e il libro di Pomeranz non appare più, almeno su questo aspetto, path-breaking come afferma Mishra.
In ogni caso la discussione relativa al GDP pro-capite è influente relativamente alla tesi di Pomeranz, ma ininfluente per la tesi di Ferguson. Secondo Ferguson la Cina non si sarebbe sviluppata perché, indipendentemente dal suo GNP pro capite, non possedeva tutte le sei “killer applications”.
- Given his focus on the ineptitude and collapse of the Ming dynasty, you might think that their successors, the Qing, had for nearly two centuries desperately clung on in a country in irreversible decline rather than, as is the case, presided over a massive expansion of Chinese territory and commercial interests.
È vero che la dinastia Quing realizzò alcune riforme e adottò alcune tecnologie occidentali (arsenali, navi da guerra), ma è un fatto che la Cina, durante l’800, era già in ritardo rispetto alle potenze europee, tant’è che fu militarmente sconfitta nella prima metà dell’800 nelle due Guerre dell’oppio e fu costretta ad aprire le frontiere. Perciò, in concreto il ritardo accumulato era già molto e la dinastia Qing non fece abbastanza; l’argomentazione di Mishra appare qui inconsistente.
- Each of Ferguson’s comparisons and analogies between the West and the Rest, reminiscent of college debating clubs, provokes a counter-question. The rational Frederick the Great is compared to the orientally despotic and indolent Ottoman Sultan Osman III. Why not, you wonder, to the energetic Tipu Sultan, another Muslim contemporary, who was as keen on military innovation as on foreign trade?
A p. 71, Ferguson prende Osman III e Federico il Grande come esempi: Seventy years after the siege of Vienna, two men personified the widening gap between Western civilization and its Muslim rival in the near East. Sicuramente anche in quell’epoca e successivamente ci sono stati capi di governo islamici attivi e orientati al progresso, il punto però è che il trend complessivo dell’Impero ottomano è stato di declino, tant’è che a inizio del ‘900 venne definito The Sick Man of Europe.
ChatGPT mi dice che Osman III, che ha regnato 1754–1757, governava un impero di 5.2 milioni di km². Tipu, il sovrano citato da Mishra, che ha regnato 1782–1799, al contrario, governava invece appena tre regioni dell’India meridionale, per un totale di circa 80.000 km². L’influenza (in positivo o in negativo) dei due sovrani è stata totalmente diversa. Osman III inoltre è stato solo uno di una serie di sultani indolenti che hanno portato l’impero Ottomano al declino.
Il punto nell’argomentazione non è che non vi siano stati capi di governo non europei volti alla modernizzazione dei loro regni (immagino ci siano stati anche governanti di Paesi europei antimodernisti), ma che la maggioranza dei governanti dei maggiori regni non europei (Impero Ottimano e Cina) siano stati antimodernisti o che le loro politiche di modernizzazione una volta avviate, si sono rivelate poco efficaci. Anche in questo caso l’argomentazione di Mishra appare inconsistente.
Salienza e opere storiche
Il termine salienza in psicologia si riferisce alla capacità di un elemento di emergere rispetto agli altri, attirando l’attenzione e influenzando il pensiero, il comportamento o la memoria. Un’informazione, un oggetto o una caratteristica è saliente quando risulta particolarmente evidente o significativa in un determinato contesto.
Da una parte, la salienza individuale dipende dalle coordinate culturali dello studioso. Ad esempio, nella sua prolusione pubblicata col titolo Alle origini della storia globale, lo studioso indiano Sanjay
Subrahmanyam afferma che (p. 21) Nella sua [di Braudel] visione, il Mediterraneo era anzitutto
un mare visto dal nord, e a partire da fonti e prospettive europee, spesso cristiane.
Questa affermazione sembra una critica, in quanto la visione di Braudel è influenzata da due caratteristiche (Europa -e del nord, e cristianesimo) che molti storici che seguono l’approccio della storia globale ritengono parziali e limitanti. Tuttavia, alla fine del discorso (p.48) Subrahmanyam afferma che non è possibile scrivere di storia adottando una prospettiva extraterrestre e che ogni storico è legato a luoghi e spazi particolari e che l’elaborazione storica di ciascuno dipende dall’educazione storica ricevuta.
Un altro elemento che influenza la salienza è l’ideologia. Ogni storico tende a scegliere temi e ad adottare posizioni coerenti con il proprio orientamento ideologico. Come osserva anche Conrad, la critica alla storia eurocentrica ha anche una valenza politica; molti studiosi che la sostengono mirano a ridimensionare il ruolo della civiltà occidentale e le sue realizzazioni. Un giovane storico tedesco benintenzionato può considerare la sua ricerca sul regno bantù Babufu (fiorito nel 1.000 d.c.) come il suo personale contributo alla riparazione delle ingiustizie causate dallo schiavismo portoghese del Cinquecento.
Nella ricerca storica, individuare relazioni di causa ed effetto è spesso estremamente complesso. Gli eventi dipendono generalmente da una molteplicità di fattori (multi-causalità), e stabilire con precisione quale di essi abbia avuto il peso maggiore è un’operazione difficile, spesso opinabile. La storia procede per ipotesi e il criterio con cui vengono valutate le spiegazioni è la verosimiglianza.
Di conseguenza, una “storia ben scritta”, che costruisce un’interpretazione coerente e convincente, non è facilmente smentibile. Certo, è possibile fare degli appunti sulla più o meno corretta comprensione o sulla omissione di determinate fonti, o su difetti dell’argomentazione, come ho cercato di fare io in apertura. Tuttavia, due ricostruzioni diverse, entrambe ben articolate, possono risultare ugualmente valide pur giungendo a conclusioni opposte. A quel punto, sarà il lettore a scegliere la narrazione che sente più vicina alle proprie convinzioni e alla propria ideologia.
È per questo motivo che ho interrotto la lettura di Bayly C.A. (trad. it. 2007) La nascita del mondo moderno (1780-1914). A un certo punto, credo all’inizio del capitolo 2 Percorsi dagli antichi regimi alla modernità, Bayly afferma che (cito a memoria) Fino a questo punto i fatti sembrano confermare la ricostruzione di Landes, tuttavia Landes sottovaluta due aspetti…. È, mi è sembrato, un caso classico di salienza. Bayly, almeno nel capitolo 2, non ci porta dati nuovi, ci suggerisce solo di assegnare una maggiore rilevanza a determinati fattori. Siamo nel pieno dell’interpretazione ‘ideologica’.
Non vale la pena di leggere altre 300 pagine, ho pensato, per assistere a un esercizio di reinterpretazione che, più che aggiungere nuove informazioni, sposta semplicemente l’attenzione su elementi considerati più rilevanti in base a una prospettiva ideologica specifica. In altre parole, il libro non mi è sembrato offrire una revisione sostanziale dei dati, ma piuttosto un cambiamento nel modo di pesarli e di organizzarli all’interno di una determinata narrazione storica.
Altre osservazioni
Ho trovato il libro di Bayly di non facile lettura. Ricordo il mio piacere intellettuale trenta anni fa nella lettura di Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II. Il libro contiene una miriade di dati, ma ricordo che Braudel riesce a integrare mirabilmente tutte le diverse informazioni come tessere di un puzzle. Il libro di Bayly, ma anche la prolusione di Subrahmanyam, mi sembrano caotici. L’ambizione di confrontare nel tempo gli sviluppi (nel caso di Subrahmanyam, le opere storiche) di civiltà diverse (quella cinese, indiana, persiana, ottomana) costringono a prestare attenzione a una grande quantità di dati che spesso non si incastrano, perché civiltà diverse seguono spesso traiettorie diverse. Il risultato, più che un affresco organico, è un gran mal di testa.
Un ultimo punto finale, introdotto sia da Conrad che da Subrahmanyam: Per chi scrive lo storico? Nella storia globale tutti i temi sono legittimi, anzi, i temi non europei sono più legittimi degli altri. È ovvio però che la gran parte dei lettori sia interessata a resoconti storici relativi al proprio ambito territoriale di vita. Anche se abbiamo fonti molto dettagliate sulle vicende storiche della provincia cinese dello Shaanxi nel XIII secolo, io, lettore nato e cresciuto in Toscana, sarò maggiormente interessato a resoconti relativi alla Firenze di Dante. Una storia delle province cinesi nel tredicesimo secolo, in Occidente interessa solo pochi storici specialisti. Io personalmente ho letto con piacere il capitolo dedicato a Nicolò Manuzzi contenuto in Subrahmanyam (2014) Mondi connessi. La storia oltre l’eurocentrismo solo perché il protagonista (che pure passa tutta la sua vita in India) era un veneziano. Fosse stato un arabo o un persiano gli avrei dedicato meno attenzione.
Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993 e di formazione dal 2004. Riproduzione riservata. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.