Cosa non ha funzionato nel programma GOL. Il problema non sono i LEP

Le tesi di Cerlini

Nell’articolo Perché i Lep non aiutano i servizi per il lavoro Simome Cerlini, dirigente presso Afol Metropolitana, sostiene che la standardizzazione imposta dai Lep ha trasformato i servizi per l’impiego in un insieme di procedure burocratiche, riducendo la discrezionalità degli operatori e svuotando il processo di inserimento lavorativo della sua componente umana e relazionale. Vedi anche la discussione su LinkedIn.

In particolare Cerlini sostiene che I Lep hanno reso uniformi i servizi pubblici per l’impiego, ma ne hanno anche eroso l’utilità. Perché la standardizzazione ha limitato la discrezionalità indispensabile nel processo di inserimento lavorativo. Vanno rimesse al centro le persone.

I LEP hanno portato a una suddivisione dei compiti degli operatori di orientamento in sottocompiti elementari e eccessivamente parcellizzati, quali ad esempio accoglienza, dichiarazione di immediata disponibilità, scheda anagrafica professionale, assessment, redazione del patto di servizio personalizzato (Psp), skill gap analysis, bilancio delle competenze, scouting di opportunità occupazionali.

Tutto questo ha ridotto la discrezionalità dell’operatore e mortificato la sua professionalità:

La standardizzazione ha progressivamente limitato la discrezionalità nell’erogazione: l’orientamento di base si è trasformato in una checklist associata ad algoritmi per la definizione dell’intensità di aiuto, il patto di servizio in un format caricato sulle piattaforme regionali, l’orientamento specialistico ancora in un formulario di skill gap analysis e in un format di bilancio di competenze. In pratica, una parcellizzazione estrema, associata a output rigidamente strutturati in format prestabiliti, che ha destrutturato il lavoro dell’operatore, trasformandolo in mero compilatore.

La situazione è stata peggiorata dall’assunzione di alcune migliaia di nuovi operatori, nei centri per l’impiego di tutta Italia, forniti di lauree in discipline giuridiche invece che psicologiche.

Cerlini denuncia inoltre:

la perdita di senso dell’accompagnamento: il disoccupato percepisce il percorso come rituale inutile (magari necessario per ricevere un sostegno al reddito, Naspi, Dis-coll, Sfl, Adi); l’operatore lo vive come adempimento senza scopo. Il sistema perde ogni tensione trasformativa. L’accompagnamento diventa sostegno alla compilazione.

Come soluzione, Cerlini suggerisce:

l’adozione dell’approccio black box: fissare l’obiettivo e lasciare agli operatori la libertà di trovare la strada più adatta, assumendosi la responsabilità del risultato. Le regioni potrebbero scegliere di rimborsare a processo un minimo di ore senza determinarne preventivamente il contenuto; oppure (…)) potrebbero remunerare solo il risultato.

Un commento all’articolo di Cerlini

Secondo me i LEP sono il bersaglio sbagliato. Abbiamo necessità dei LEP per assicurare uniformità ai servizi offerti ai cittadini nelle diverse regioni, per definire i contenuti della formazione degli operatori, per sapere cosa si fa esattamente in ogni CPI. Poi il singolo LEP, se descritto male o troppo parcellizzato, può anche essere modificato, ma questo non giustifica buttare a mare i LEP.

E ugualmente, mi sembra fuori bersaglio la critica alla descrizione per competenze dei compiti degli operatori. Le competenze, intese come compiti lavorativi, sono il concetto che permette di dare visibilità alle attività svolte dai lavoratori (inclusi gli operatori dei CPI), di rendere più efficace la (loro) formazione, di certificare gli apprendimenti comunque acquisiti. Anche in questo caso, se qualche compito lavorativo è stato identificato in modo troppo parcellizzato, si può cambiare il relativo LEP.

Piuttosto, l’identificazione di diversi servizi orientativi ha permesso di individuare quelli più semplici (che possono essere svolti da operatori junior o senza una preparazione specifica nell’orientamento) e quelli specialistici che devono essere svolti da operatori senior ben formati.

I limiti dell’orientamento nel programma GOL mi sembrano invece dovuti ad altro.

Tempo limitato per il colloquio per la stesura del patto di servizio personalizzato

Lo svolgimento in tutta fretta dei colloqui di orientamento, così da raggiungere gli esagerati obiettivi numerici scelti da ogni regione relativamente ai colloqui di orientamento. Nella mia attività di formazione di orientamento incontro operatori che mi raccontano che il tempo previsto per il colloquio per la stesura del patto di servizio personalizzato è di 40 minuti o addirittura meno. In 40 minuti (la gran parte dei quali peraltro impegnata nella raccolta puntuale di una miriade di dati, vedi il punto successivo) è impossibile erogare un buon servizio di orientamento.

La lunghezza e rigidità della procedura di profilazione

La lunghissima fase di raccolta di informazioni relative all’utente nella fase di profilazione qualitativa prevista all’interno del colloquio per la stesura del patto di servizio personalizzato trasforma quello che dovrebbe essere un accogliente colloquio di consulenza di orientamento in una rapida intervista centrata (soprattutto con operatori inesperti) su domande chiuse finalizzate alla raccolta dati.

La procedura è strutturata in modo che sia l’algoritmo, in modo quasi automatico, a valutare il livello di occupabilità di ogni utente (inserendolo in un cluster specifico) e a decidere le azioni successive che l’utente deve fare.

Io personalmente non lavoro su GOL, ma mi sembra che la procedura raccolga effettivamente i dati significativi per valutare l’occupabilità di ogni utente, e che la collocazione nei diversi cluster sia in genere corretta.

I dati raccolti con la profilazione qualitativa sono inoltre utili per personalizzare meglio le attività degli operatori che in momenti successivi si prendono cura dello stesso utente, senza ogni volta dover ripartire dalla ricostruzione del percorso formativo e professionale, delle competenze sviluppate e delle preferenze individuali.

È vero, questo automatismo (che dopo l’avvio iniziale del programma GOL è stato comunque reso più flessibile, ma non ancora abbastanza) può far sentire svalorizzato l’operatore esperto e indirizzare alcuni utenti nella direzione sbagliata.

Cerlini si chiede: Perché i Lep sono adottati meccanicamente e ci si adagia verso il basso?

Io credo che la procedura sia stata strutturata in questo modo, perché purtroppo in molte regioni italiane ci sono ancora un gran numero di operatori che sanno poco o nulla di orientamento. Con una procedura ‘aperta’, dove la valutazione dell’occupabilità e la scelta delle azioni del piano d’azione è lasciata principalmente all’operatore gli invii degli utenti in direzioni sbagliate  sarebbero state probabilmente più frequenti che col sistema attuale.

Comunque, su questo punto la soluzione mi sembra semplice: aumentare ulteriormente la discrezionalità dell’operatore nel decidere l’assegnazione del cluster e della relativa collegata formazione.

Riguardo alla lunghezza della procedura di raccolta dati per la profilazione qualitativa, la soluzione potrebbe essere semplicemente modificare la procedura richiedendo all’utente di inserire tutti o la gran parte dei dati necessari per la profilazione qualitativa nella fase di rilascio della DID dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro. Nel colloquio per la stesura del Patto di servizio personalizzato PSP i dati potrebbero essere velocemente rivisti assieme all’operatore.

Un’altra possibilità, finché la procedura non viene modificata, potrebbe essere raccogliere dall’utente i dati per la profilazione subito prima del colloquio per la stesura del  PSP (mentre l’utente è in sala d’aspetto) attraverso un modulo compilato in autonomia o con l’aiuto di un assistente.

Cerlini lamenta che, a causa dei LEP, quello che dovrebbe essere un servizio di orientamento diventa (solo) sostegno alla compilazione, ma questo accade solo se l’operatore esperto non ha tempo a sufficienza oppure se l’operatore non ne sa di orientamento. Entrambe le situazioni, come è evidente, non dipendono dai LEP. Il problema piuttosto sono le modalità organizzative relative al programma GOL: obiettivi numerici troppo ambiziosi e procedure rigide.

Altri problemi

La gestione del programma GOL ha incontrato anche altri problemi, ad esempio i tempi lunghi per l’attivazione dei corsi di formazione professionale: in molte regioni i corsi di formazione sono stati disponibili dopo un anno o più dall’attivazione del programma, questo ha significato che in tutto questo periodo non è stato possibile realizzare piani d’azione che prevedevano attività formative. Inoltre non sempre sono disponibili i corsi di formazione richiesti dagli utenti.

Altre difficoltà sono dovute a scelte organizzative criticabili, ad esempio nel  marzo 2025 la Regione Toscana ha deciso che tutti gli utenti in NASPI debbano seguire corsi di formazione. Questa misura, pensata credo per raggiungere gli obiettivi di spesa regionali relativi alla formazione, da un punto di vista orientativo è controproducente.

L’uso di format prestabiliti

Un’ultima notazione sull’osservazione di Cerlini contro i format prestabiliti:

Peraltro, è paradossale che l’amministrazione costringa professionisti dell’inserimento lavorativo a utilizzare procedure formalizzate e a non potersi affidare ai propri strumenti, spesso più efficaci e di maggiore qualità.

Per non utilizzare format prestabiliti (ad esempio format di bilancio di competenze), è necessario che ogni operatore abbia i propri strumenti (ad esempio schede di bilancio) e che questi strumenti siano validi, condizioni che spesso non si verificano.

E poi, immaginiamo gli effetti in concreto: due utenti devono fare un bilancio di competenze presso lo stesso centro per l’impiego ma sono assegnati a due operatori diversi che useranno schede diverse, un numero di incontri diversi e producono due profili di competenze basati su parametri diversi. Non mi sembra un risultato desiderabile.

Piuttosto, preoccupiamoci che i format prestabiliti siano validi, il format attuale di bilancio di competenze (anzi, di bilancio delle competenze, come riportato nell’intestazione) Regione Lombardia lascia veramente a desiderare.

Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. Leggi Informativa privacy, cookie policy e copyright.