Il Ceto Medio Italiano in trappola: troppo ricco per gli aiuti, troppo povero per costruirsi un futuro

Sintesi del Secondo Rapporto Cida-Censis

Il secondo Rapporto Cida-Censis, pubblicato nel maggio 2025, dipinge un quadro allarmante della condizione del ceto medio in Italia. Una fascia sociale un tempo solida e portante, oggi appare intrappolata in una spirale di fragilità economica, marginalità politica e sfiducia diffusa. Il titolo del rapporto è eloquente: “Ceto medio: troppo ricco per ricevere aiuti, troppo povero per costruire futuro”.

Una classe sociale in affanno

Il ceto medio è oggi schiacciato tra due polarità: da un lato non ha accesso ai sussidi pubblici pensati per i più poveri, dall’altro non dispone più di risorse sufficienti per progettare serenamente il proprio futuro. Secondo la ricerca, l’80% di questa fascia non ha mai ricevuto alcuna forma di supporto diretto durante l’attuale fase di crisi, nonostante l’aumento del costo della vita.

Erosione del potere d’acquisto

Il rapporto sottolinea come il potere d’acquisto del ceto medio si sia eroso progressivamente. In dieci anni, la spesa per beni alimentari, bollette e carburante è aumentata in media del 30%, mentre gli stipendi sono rimasti sostanzialmente fermi. L’accesso a servizi essenziali come sanità, istruzione e trasporti è diventato più oneroso, acuendo il senso di esclusione.

Sfaldamento della fiducia e blocco delle scelte di vita

Uno degli aspetti più preoccupanti emersi dal rapporto è il sentimento di smarrimento: il 66% degli intervistati afferma di non avere fiducia né nello Stato né nei partiti, e il 55% ritiene che i propri figli vivranno peggio di loro. Questo si traduce in una paralisi delle scelte esistenziali: i giovani rinviano matrimonio, figli e acquisto della casa, mentre i quarantenni e cinquantenni temono per la propria pensione.

Una trappola socio-economica

Il concetto centrale del rapporto è quello di “trappola del ceto medio”: si tratta di famiglie troppo “benestanti” per rientrare nei parametri dell’assistenzialismo, ma troppo povere per investire nel proprio futuro. Non è solo una questione di reddito, ma anche di rappresentanza e di narrazione pubblica: il ceto medio è ormai invisibile nel dibattito politico e nelle priorità dell’agenda pubblica.

Conclusioni

Il secondo rapporto Cida-Censis lancia un allarme chiaro: senza un sostegno mirato e sistemico, il ceto medio rischia di implodere, trascinando con sé un pezzo fondamentale della coesione sociale italiana. Il rilancio passa per politiche fiscali più eque, accesso ai servizi, incentivi alla natalità e al lavoro femminile, e investimenti nelle infrastrutture sociali.

Per approfondire: Cida e Censis – Rapporto 2025 sul ceto medio

L’Italia in difficoltà. Il rapporto annuale ISTAT 2025

Il 21 maggio 2025, l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) ha presentato la 33ª edizione del Rapporto annuale, offrendo un quadro dettagliato dei cambiamenti economici, demografici e sociali che hanno interessato l’Italia nel 2024. Il documento si articola in quattro capitoli principali: Economia e ambiente; Popolazione e società; Una società per tutte le età; Il sistema economico tra vincoli e opportunità: un confronto tra le generazioni.

Il rapporto evidenzia numerosi problemi.

Economia stagnante e produttività in calo

Nel 2024, l’economia italiana ha mostrato una crescita del PIL dello 0,7%, inferiore rispetto a Francia (1,2%) e Spagna (3,2%), mentre la Germania ha registrato una contrazione per il secondo anno consecutivo. Nonostante un aumento dell’occupazione dell’1,6%, la produttività del lavoro è diminuita dello 0,9% per occupato e dell’1,4% per ora lavorata, indicando un utilizzo inefficiente delle risorse umane .


Declino industriale e mancanza di innovazione

La produzione industriale in volume ha subito una flessione del 4,0% nel 2024 rispetto all’anno precedente, proseguendo un trend negativo iniziato nel 2023. Questo calo è attribuibile anche alla scarsa adozione di tecnologie digitali, soprattutto nelle piccole e micro imprese, che rappresentano una parte significativa del tessuto produttivo italiano .DomaniIlSussidiario.net


Crisi demografica e invecchiamento della popolazione

L’Italia continua a confrontarsi con una crisi demografica significativa. Il tasso di natalità è tra i più bassi al mondo, con una media di 1,25 figli per donna nel 2023, ben al di sotto del livello di sostituzione di 2,1. Questo trend è aggravato dalla riduzione del numero di donne in età fertile e dalla diminuzione della fecondità .


Aumento della povertà e disuguaglianze sociali

Nel 2023, 5,7 milioni di persone vivevano in condizioni di povertà assoluta, con un incremento di 2,8 punti percentuali rispetto al 2014. Il rischio di povertà o esclusione sociale riguarda il 23,1% della popolazione, con picchi del 39,8% nel Mezzogiorno. Le famiglie con minori, i giovani, gli stranieri e i residenti nel Sud sono le categorie più colpite .IstatANSA.it+1opinione.it+1


Bassa istruzione e dispersione scolastica

Solo il 65,5% delle persone tra i 25 e i 64 anni possiede almeno un diploma, contro una media UE del 80%. La percentuale di laureati si attesta al 21,6%. La dispersione scolastica è del 9,8%, con valori più elevati nelle aree svantaggiate, influenzando negativamente l’accesso al lavoro e la mobilità sociale .Istat


Impatti dei cambiamenti climatici

L’Italia è particolarmente vulnerabile agli effetti dei cambiamenti climatici, con un aumento della frequenza e dell’intensità di eventi estremi come alluvioni e ondate di calore. Questi fenomeni hanno conseguenze significative sull’economia, la salute pubblica e l’ambiente, richiedendo interventi urgenti per la mitigazione e l’adattamento .


Conclusione

Il Rapporto ISTAT 2025 dipinge un quadro preoccupante della situazione italiana, caratterizzata da stagnazione economica, declino industriale, crisi demografica, aumento della povertà, disuguaglianze sociali e impatti dei cambiamenti climatici. Affrontare queste sfide richiede un impegno congiunto da parte delle istituzioni, della società civile e del settore privato per promuovere politiche efficaci e sostenibili.

Per approfondire, è possibile consultare il rapporto completo sul sito ufficiale dell’ISTAT: Rapporto annuale 2025 – La situazione del Paese.

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L’ha detto Aristotele! Quando l’autorità conta più dell’evidenza: dal Medioevo all’accademia contemporanea

Ipse dixit!

Prima della rivoluzione scientifica, l’autorità della tradizione prevaleva sull’osservazione diretta. Nel Medioevo, il sapere era trasmesso e legittimato attraverso l’appello alle autorità del passato, in particolare Aristotele, considerato il vertice del pensiero razionale. L’espressione “Ipse dixit!” vale a dire “L’ha scritto Aristotele!” era spesso sufficiente a porre fine a una discussione: non c’era bisogno di verificare con esperimenti o osservazioni, perché il sapere era già stato rivelato dai grandi maestri.

Questo atteggiamento rifletteva una concezione della conoscenza fondata sull’autorità e la continuità, non sulla verifica empirica. L’esperienza sensibile veniva spesso svalutata o reinterpretata per adattarsi al sapere tradizionale. Se l’osservazione era in contraddizione con Aristotele, il problema non era l’autore greco, ma l’osservatore, ritenuto inesperto o fallace.

La rivoluzione scientifica dei secoli XVI e XVII – con figure come Galileo Galilei, Francis Bacon e René Descartes – mise in discussione questo paradigma. Galileo, ad esempio, si oppose apertamente all’autorità aristotelica quando l’esperienza e la matematica indicavano conclusioni diverse. Con lui e altri pionieri si affermò gradualmente un nuovo principio: non importa chi lo ha detto, importa se è dimostrabile.

L’evidenza empirica divenne criterio centrale di verità.

In sintesi, prima della rivoluzione scientifica si negava l’evidenza se questa era discordante dalla tradizione: la fedeltà al sapere tramandato era considerata più importante della verifica personale. Solo con l’avvento della scienza moderna si cominciò a rovesciare questa gerarchia, ponendo l’esperienza, il dubbio e l’indagine al centro del processo conoscitivo.

Una esperienza personale passata

Ritrovo echi di questo atteggiamento in una vicenda che mi capitò anni fa.

Inviai un articolo a una rivista accademica. Nell’articolo argomentavo che lo sviluppo della pratica orientativa in Italia seguiva l’andamento della disoccupazione e della stabilità legale del posto di lavoro (trovi la mia tesi nella parte centrale di questo articolo Il Checkup professionale: uno strumento per la consulenza di carriera). Il referee mi rimandò indietro l’articolo chiedendomi: ‘Ma quale autore sostiene questa tesi?’

Io ero l’autore che la sosteneva. La tesi era un’idea originale frutto di un’analisi diretta e di un’osservazione dei dati, ma per il referee non era abbastanza per pubblicare l’articolo. Invece di valutare la mia argomentazione per la sua plausibilità e capacità esplicativa, il valutatore cercava conferme nella tradizione, proprio come nel Medioevo si cercava nei testi di Aristotele. Un sapere è considerato valido non perché spiega bene qualcosa, ma perché è stato autorizzato. Il principio di autorità sopravvive, travestito da rigore metodologico.

Seguendo questo approccio questa rivista, di fatto, si limitava a pubblicare rielaborazioni di saperi già autorizzati, trasformandosi in un archivio di citazioni piuttosto che in un forum di innovazione intellettuale. Una pratica che fa eco all’approccio medievale: la conoscenza viene trasmessa e parafrasata, raramente creata ex novo.

Ci risiamo?

In questo periodo mi sto laureando in scienze della formazione con una tesi sull’effetto dell’intelligenza artificiale nell’erogazione dei servizi di orientamento. Su questo tema ormai da un anno mi confronto e faccio formazione agli operatori e ho scritto vari articoli.

Nell’ultimo colloquio relativo alla tesi la relatrice, che peraltro stimo, mi ha detto qualcosa del tipo: ‘Provi a vedere cosa dicono le fonti accademiche. Quelle saranno il punto di partenza per costruire un discorso solido’.

Questa indicazione, pur comprensibile in un contesto accademico (ovviamente devo fare e farò una ricerca bibliografica), solleva una questione: in un campo emergente e in rapida evoluzione come l’applicazione dell’IA nei servizi orientativi, la conoscenza esperienziale diretta rischia di essere subordinata a una letteratura accademica che, per sua natura, segue con ritardo i fenomeni emergenti. Potrò citare i miei articoli, anche se non sono peer reviewed?

Dentro di me ho pensato che siamo alle solite.

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L’apprendimento trasformativo di Mezirow

Cos’è l’apprendimento trasformativo

Il libro di Mezirow Transformative Dimensions fo Adult Learning (1991) tradotto in italiano come Apprendimento e trasformazione (2003) descrive la natura dell’apprendimento trasformativo. Mezirow scopre l’apprendimento trasformativo in una ricerca condotta nel 1975 su un campione di donne americane che in età adulta erano tornate all’università partecipando a speciali programmi didattici.

L’apprendimento trasformativo è quell’apprendimento che trasforma radicalmente i valori della persona, in genere in una accezione positiva. L’apprendimento trasformativo può accadere grazie a una discussione con qualcuno, alla lettura di un libro o di una poesia, al contatto con una cultura diversa, oppure a seguito di esperienze di vita impattanti (lutti, separazioni, vita di coppia, gravidanza, maternità o paternità, esperienze di natura sessuale o affettiva, etc.).

Un caso particolare di apprendimento trasformativo è quello che avviene attraverso la partecipazione a corsi e seminari, corsi e seminari che chiamiamo qui formazione trasformativa (o anche comunicativa p.207, oppure relazionale, vedi p.208).

L’apprendimento trasformativo è opposto all’apprendimento strumentale, cioè quello che avviene in corsi dove gli obiettivi educativi sono definiti in termini di comportamenti specifici da acquisire individuati attraverso la task analysis 206.

Il lato luminoso e quello oscuro dell’apprendimento trasformativo

La formazione trasformativa ha un lato luminoso e un lato oscuro. Il lato luminoso è quando il cambiamento valoriale dei partecipanti alla formazione avviene in modo spontaneo. La persona grazie alle attività svolte approfondisce la conoscenza di sé, matura e sviluppa una nuova visione del mondo e nuovi comportamenti che le danno, immediatamente o in prospettiva, maggiore benessere.

Il lato oscuro della formazione trasformativa è quello della formazione manipolativa. La formazione manipolativa è quella il cui obiettivo è far sì che tutti i partecipanti acquisiscano un determinato credo politico o religioso. La tensione verso il risultato comporta che chi conduce il gruppo dà poco spazio alla libera riflessione e agli interventi di chi ha pareri o valori diversi. Nei gruppi condotti da attivisti si creano così fenomeni di groupthink nella definizione di Irving Janis (Mezirow ne parla a p. 186), vedi il mio articolo Groupthink: indottrinamento e conformismo nelle attività formative organizzate da attivisti.

Una valutazione d’insieme

Al di là della descrizione del fatto che alcune esperienze di vita e di apprendimento volontario portano un cambiamento dei valori personali, il libro è abbastanza deludente. Gran parte dell’esposizione si limita a descrivere autori che hanno elaborato teorie compatibili col fenomeno osservato. Mezirow, cioè non ha molto di originale da dire, e si limita a richiamare una serie di teorie che possono descrivere meglio o spiegare meglio il fenomeno che ha osservato.

I vari capitoli e paragrafi del libro vengono frequentemente introdotti da affermazioni del tipo In questo paragrafo passeremo brevemente in rassegna…… a cui segue la descrizione di un tema che è variamente correlato all’apprendimento trasformativo. Vedi ad esempio p.150. Molto spesso la rassegna si limita riassumere posizioni di autori diversi senza arrivare a una sintesi personale, vedi ad esempio la discussione delle idee di Basseches a pagina 152. In altri casi l’esposizione contiene un esile collegamento con queste idee. Ad esempio, a p. 151 Mezirow afferma che le fasi dell’apprendimento trasformativo si possono intendere al meglio utilizzando il concetto sviluppato da Sloan che poi passa a descrivere.

Alla fine, la parte essenziale del libro dura solo poche pagine (da 165 a 218). Si tratta in particolare della breve sezione dove Mezirow descrive le fasi del processo di trasformazione nelle sue linee essenziali (165-169, le fasi peraltro fanno riferimento a un articolo che aveva pubblicato nel 1978). Segue poi l’esposizione di teorie del cambiamento valoriale elaborate da altri autori e brevi sezioni dedicate a temi collegati quali la trasformazione delle prospettive valoriali come esperienza trascendente (174), la trasformazione dell’ambiente di lavoro (176), le trasformazioni che avvengono grazie a gruppi o movimenti (181-187). È in quest’ultima sezione che Mezirow parla del lato oscuro della formazione trasformativa.

L’ultimo capitolo (191-218) torna di nuovo sui problemi creati da iniziative formative manipolatorie, e risponde alle critiche di chi sostiene che il suo approccio risulta troppo individualista e non sufficientemente orientato al cambiamento sociale.

Schemi e prospettive di significato

Mezirow descrive il cambiamento di prospettiva valoriale all’interno del paradigma costruttivista. Secondo il costruttivismo nell’interazione col mondo le persone sviluppano schemi interpretativi della realtà 3. L’apprendimento avviene fin da bambini grazie alle interazioni con genitori e mentori pagina 10 ma questo comporta l’interiorizzazione degli schemi adottati dalle persone di riferimento 10. Per Mezirow il raggiungimento dell’autonomia implica la comprensione degli schemi di riferimento che ci sono stati inculcati e la loro riformulazione autonoma 10.

La riformulazione autonoma dipende dal fatto che nella società moderna convinzioni, valori e classi sociali cambiano in modo rapido e sostanziale e per questo motivo gli individui si trovano compressi fra schemi di pensiero e comportamento consolidati provenienti dal passato e la necessità di nuovi schemi 11. In un’altra parte del libro l’inadeguatezza degli schemi posseduti viene attribuita anche ad altri fattori quali errori logici di ragionamento 120 e modalità disfunzionali di funzionamento psicologico 137.

Mezirow distingue fra: schemi di significato e prospettive di significato

Schemi di significato

  • Definizione: rappresentano aspettative specifiche e regole d’azione legate a contesti particolari. Sono costruiti attraverso esperienze dirette e guidano comportamenti immediati15.
  • Funzione: agiscono come “filtri” operativi che determinano come reagiamo a situazioni concrete (es.: un agricoltore che usa tecniche tradizionali per la semina)34.
  • Caratteristiche:
    • Si basano su conoscenze strumentali o comunicative1.
    • Possono essere modificati tramite apprendimento non trasformativo (es.: acquisire una nuova abilità senza cambiare la visione del mondo)6.

Prospettive di significato

  • Definizione: sono strutture cognitive più ampie che organizzano gruppi di schemi, influenzando come percepiamo, pensiamo e sentiamo35.
  • Funzione: definiscono il “framework” attraverso cui attribuiamo senso alla realtà (es.: una visione etnocentrica che condiziona l’interpretazione di culture diverse)45.
  • Caratteristiche:
    • Si dividono in tre categorie: epistemologiche (stili cognitivi), sociolinguistiche (norme culturali) e psicologiche (autopercezione)5.
    • Richiedono un apprendimento trasformativo per essere modificate, attraverso la riflessione critica su presupposti distorti6.

Differenze chiave

AspettoSchemi di significatoProspettive di significato
LivelloSpecifico e contestualeGenerale e strutturale
ModificabilitàCambiano con l’esperienza direttaRichiedono una trasformazione riflessiva profonda
EsempioUsare un fertilizzante nuovoRivedere l’approccio all’agricoltura sostenibile
ComponentiAzioni, credenze circoscritteVisioni del mondo, valori, identità

 

In sintesi, gli schemi sono microstrutture che guidano azioni quotidiane, mentre le prospettive sono macrostrutture che definiscono il nostro posizionamento esistenziale.

Il processo di trasformazione nelle sue linee essenziali

La trasformazione degli schemi di significato costituiti da convinzioni specifiche, atteggiamenti e reazioni emotive non richiede necessariamente autoriflessione. La formazione di nuovi schemi di significato e il cambiamento degli esistenti avviene a seguito dell’esperienza quotidiana (se un comportamento ci provoca effetti negativi, lo modifichiamo).

La trasformazione di una prospettiva di significato invece avviene meno di frequente e coinvolge il nostro senso del sé e questa si implica sempre una riflessione critica sulle premesse distorte che sorreggono la nostra struttura di aspettative. La trasformazione delle prospettive è resa possibile da un processo in cui ci rendiamo conto dell’influenza che hanno su di noi e li critichiamo e li modifichiamo 165

il processo di modifica delle prospettive di significato può accadere

  • a seguito del cambiamento di un numero significativo di schemi
  • una discussione con qualcuno, la lettura di un libro o di una poesia, il venire a contatto con una cultura diversa.
  • in risposta a un dilemma epocale imposto dall’esterno come un lutto una malattia è una separazione o un divorzio una mancata promozione il pensionamento 165

Almeno in alcuni casi, si tratta di sfide dolorose che mettono in discussione valori profit i valori profondamente radicati e minacciano spesso il nostro stesso senso del sé 166

Lo studio di Mezirow sulle donne che riprendono gli studi universitari individua 10 fasi:

  • 1 Un dilemma disorientante seguito da 2 sensi di colpa e vergogna
  • 3 la valutazione critica degli assunti che provocano senso vergogna / 4 il rendersi conto che anche altre persone hanno vissuto la stessa scontentezza verso questi assunti e hanno cambiato il loro punto di vista / 5 l’approfondimento delle opzioni e dei ruoli
  • 6 la pianificazione di un corso d’azione / 7 l’acquisizione di conoscenze e competenze per poter mettere in atto il piano 8 la sperimentazione dei nuovi ruoli 9 la familiarizzazione dei nuovi ruoli
  • 10 l’integrazione dei nuovi ruoli nella propria vita 166.

Qui vediamo che nella formulazione iniziale del 1975 l’innesco del processo del cambiamento è solo un dilemma disorientante, ma successivamente Mezirow introduce anche altre cause (vedi quanto riportato sopra).

Altri studi fatti di altri studiosi sui processi di cambiamento valoriale evidenziano una serie di stadi non esattamente corrispondenti a quelli di Mezirow.

La presa di coscienza di Mezirow e la coscientizzazione di Paulo Freire

Paolo Freire ha definito la coscientizzazione il processo attraverso cui i discenti raggiungono una profonda consapevolezza sia della realtà socioculturale che condiziona la loro vita sia della propria capacità di trasformare quella realtà agendo su di essa 335

Secondo Freire esistono vari livelli di consapevolezza:

  1. il più basso è quando le persone soddisfano semplicemente i bisogni elementari e non hanno coscienza dei problemi che vanno al di là delle esigenze biologiche di base.
  2. Nel secondo livello la realtà socioculturale esistente viene data per scontata, la vita percepita in termini di predestinazione al di là del controllo umano 135
  3. nel terzo livello le persone cominciano a capire che la realtà socioculturale è determinata dagli esseri umani, però la messa in discussione avviene in maniera episodica o destrutturata. Queste persone si lasciano facilmente suggestionare dai populisti e sono estremamente vulnerabili alla manipolazione
  4. nel quarto livello di consapevolezza le persone si concentrano in un processo di verifica della validità degli assunti relativi alle norme sociali, ai codici culturali, alle ideologie che favoriscono la dipendenza e l’oppressione. Freire chiama questo processo coscientizzazione. In questo modo i discenti si attivano per realizzare il cambiamento sociale.

Esistono molti punti di contatto fra la presa di coscienza di Mezirow e la coscientizzazione di Freire.

AspettoMezirow – Riflessione criticaFreire – Coscientizzazione
Finalità emancipativaMira a liberare l’individuo da credenze limitanti e prospettive distorte.Mira a liberare il soggetto da strutture di oppressione interiorizzate.
Centralità del soggettoL’adulto è protagonista del proprio cambiamento attraverso l’analisi critica delle sue esperienze.Il soggetto è attivo e responsabile nel prendere coscienza della propria condizione storica e sociale.
Superamento dell’ingenuitàSi supera la “prospettiva non esaminata” per arrivare a una visione più informata e consapevole.Si passa da una coscienza ingenua a una coscienza critica e storicamente situata.
Ruolo del dialogoIl confronto dialogico facilita la revisione delle proprie convinzioni.Il dialogo è strumento fondamentale per decodificare la realtà e costruire una nuova coscienza.
Processo trasformativoLa riflessione porta a una ristrutturazione delle cornici cognitive e identitarie.La coscientizzazione porta a una trasformazione del modo di agire nel mondo (praxis).

DIFFERENZE

DimensioneMezirow – Riflessione criticaFreire – Coscientizzazione
Origine teoricaPsicologia cognitiva ed educazione degli adulti in contesto occidentale.Pedagogia critica e filosofia marxista, in contesto di povertà e oppressione.
Oggetto della riflessioneLe proprie assunzioni e schemi di significato (frame of reference), spesso inconsapevoli.Le condizioni socio-politiche e culturali che generano oppressione.
Livello di analisiPrevalentemente intrapersonale (cambiamento interiore e autonomia).Prevalentemente socio-politico (cambiamento collettivo e azione).
Ruolo dell’educatoreFacilitatore del processo riflessivo, guida verso l’autonomia.Educatore come soggetto politico che costruisce con gli altri la coscienza critica.
Azione conseguenteCambiamento delle prospettive individuali e delle scelte di vita.Azione sociale collettiva per trasformare la realtà (praxis).
Grado di politicizzazioneImplicita, centrata sul sé.Esplicita, orientata alla giustizia sociale e al cambiamento sistemico.

In sintesi

Convergenza: Entrambi promuovono una presa di consapevolezza attraverso l’analisi critica del vissuto e il superamento dell’accettazione passiva della realtà.

Divergenza: Mezirow si concentra sul pensiero autonomo individuale; Freire sulla coscienza collettiva e l’azione trasformativa politica.

 

 

 

Apprendimento strumentale e apprendimento comunicativo in Mezirow

 

Jack Mezirow, nella sua teoria dell’apprendimento trasformativo, distingue tra due principali tipi di apprendimento: strumentale e comunicativo.

Apprendimento strumentale

  • Definizione: riguarda l’acquisizione di conoscenze e competenze utili a controllare, manipolare o prevedere l’ambiente, sia esso fisico o sociale345.
  • Caratteristiche:
    • Si focalizza su relazioni causa-effetto e sul problem solving orientato al compito25.
    • Implica la validazione delle conoscenze attraverso la verifica empirica e la logica ipotetico-deduttiva (es. progettare un ponte, diagnosticare una malattia, svolgere un calcolo scientifico)345.
    • È governato da regole tecniche e procedure operative4.
  • Obiettivo: migliorare la produttività, la performance e la capacità di agire sul mondo in modo efficace.

Apprendimento comunicativo

  • Definizione: riguarda la comprensione, l’interpretazione e la condivisione dei significati tra persone2345.
  • Caratteristiche:
    • Si concentra sull’intesa e sulla negoziazione del significato attraverso il dialogo, la parola scritta, l’arte o altre forme espressive235.
    • Mira a comprendere le intenzioni, i valori, le opinioni e le emozioni degli altri, e a farsi comprendere2345.
    • Non si tratta di verificare la verità oggettiva di un’affermazione, ma di raggiungere un accordo sul significato e una comprensione condivisa35.
  • Obiettivo: accrescere la qualità della percezione e della relazione con l’altro, sviluppando capacità di interpretazione critica e dialogica.

Sintesi

  • Strumentale: sapere “come si fa” qualcosa, risolvere problemi pratici, agire sul mondo.
  • Comunicativo: capire “cosa significa” qualcosa per sé e per gli altri, costruire senso condiviso attraverso il dialogo.

Questi due tipi di apprendimento sono entrambi fondamentali, ma rispondono a bisogni e modalità cognitive differenti secondo Mezirow345.

 

Ecco alcuni esempi concreti di apprendimento comunicativo secondo Mezirow:

  • Discussioni di gruppo: quando persone con opinioni, valori o esperienze diverse si confrontano per capire meglio il punto di vista altrui e costruire insieme un significato condiviso23.
  • Dialogo tra colleghi: in ambito lavorativo, quando si cerca di chiarire le intenzioni, i valori o le priorità di un progetto attraverso il confronto e la negoziazione delle idee2.
  • Scrittura e lettura riflessiva: scambiarsi lettere, email, o riflessioni scritte per spiegare le proprie motivazioni o comprendere quelle degli altri2.
  • Mediazione di conflitti: situazioni in cui due o più persone cercano di superare incomprensioni o divergenze attraverso il dialogo e l’ascolto reciproco, per arrivare a una soluzione condivisa23.
  • Educazione interculturale: quando si cerca di comprendere i valori e le credenze di culture differenti, andando oltre la semplice acquisizione di informazioni e cercando un’intesa autentica3.
  • Arte e narrazione: utilizzare l’arte, il teatro o il racconto personale per comunicare emozioni, valori e significati, favorendo la comprensione reciproca2.

In sintesi, l’apprendimento comunicativo si realizza ogni volta che impariamo a capire meglio gli altri e a farci capire, attraverso il dialogo, la negoziazione e la riflessione condivisa, andando oltre il semplice sapere tecnico o procedurale23.

Critiche a Mezirow

Eccessiva enfasi sulla razionalità: Molti critici sostengono che la teoria di Mezirow privilegi eccessivamente il pensiero razionale e critico, trascurando il ruolo delle emozioni, dell’intuizione e dell’esperienza corporea nell’apprendimento. La teoria è stata letta come espressione di un pensiero maschile, occidentale, razionale, meno attento ad altri modi di sapere e apprendere (femminili, indigeni, spirituali, ecc.).

Insufficiente attenzione al contesto sociale e culturale: La teoria è accusata di essere individualista e di non considerare sufficientemente l’impatto delle strutture sociali, culturali e storiche sull’apprendimento.

Modello troppo lineare e sequenziale: Il modello di Mezirow (con le sue 10 fasi) appare troppo strutturato, mentre i processi trasformativi reali sono spesso caotici, non lineari e difficilmente pianificabili.

Mancanza di un fondamento teorico primario: Alcuni studiosi evidenziano essa si basi principalmente su interpretazioni e sintesi di lavori di altri autori piuttosto che su una elaborazione originale.

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Groupthink: indottrinamento e conformismo nelle attività formative organizzate da attivisti

Introduzione: Il Concetto di Groupthink

Il groupthink è un fenomeno psicologico che si verifica all’interno di gruppi di persone e che può portare a decisioni irrazionali o disfunzionali. Questo concetto fu teorizzato e approfonditamente studiato dallo psicologo sociale Irving Janis negli anni ’70, principalmente attraverso la sua opera fondamentale “Victims of Groupthink” (1972), successivamente ampliata nel libro “Groupthink: Psychological Studies of Policy Decisions and Fiascoes” (1982).

Janis definì il groupthink come “un modo di pensare in cui le persone si impegnano quando sono profondamente coinvolte in un gruppo coeso, quando la ricerca dell’unanimità da parte dei membri prevale sulla loro motivazione a valutare realisticamente corsi d’azione alternativi”. In sostanza, è un processo in cui il desiderio di armonia o conformità all’interno del gruppo supera il pensiero critico individuale e porta a decisioni irrazionali o moralmente discutibili.

La rilevanza di questo fenomeno si estende a numerosi contesti sociali, politici e organizzativi, ma assume particolare importanza nel contesto delle attività informative e formative organizzate da gruppi di attivisti, dove la condivisione di valori e obiettivi comuni può facilmente trasformarsi in un terreno fertile per l’emergere del groupthink.

Le Origini della Teoria: Irving Janis e i Suoi Studi

Irving Lester Janis (1918-1990) era uno psicologo sociale americano che lavorava presso l’Università di Yale quando sviluppò la sua teoria sul groupthink. La sua ricerca fu ispirata dall’analisi di importanti fiaschi decisionali nella politica estera americana, come l’invasione della Baia dei Porci a Cuba nel 1961 e l’escalation della guerra in Vietnam.

Janis si chiese come gruppi di persone intelligenti e ben informate potessero prendere decisioni così palesemente errate. La sua conclusione fu che non era l’incompetenza individuale a guidare questi errori, ma piuttosto una dinamica di gruppo disfunzionale che comprometteva il processo decisionale collettivo.

Il suo approccio metodologico era principalmente basato su studi di caso retrospettivi, analizzando documenti storici, verbali di riunioni e testimonianze dei partecipanti ai processi decisionali. Questo gli permise di identificare pattern ricorrenti nei comportamenti di gruppo che precedevano decisioni fallimentari.

Le Caratteristiche e i Sintomi del Groupthink

Janis identificò otto sintomi principali del groupthink, che possono essere raggruppati in tre categorie:

Sopravvalutazione del gruppo

  • Illusione di invulnerabilità: il gruppo sviluppa un eccessivo ottimismo e una propensione al rischio, credendo di essere immune da errori.
  • Credenza nella moralità intrinseca del gruppo: i membri sono convinti della rettitudine morale delle loro azioni e ignorano le implicazioni etiche delle loro decisioni.

Chiusura mentale

  • Razionalizzazione collettiva: il gruppo razionalizza e giustifica segnali d’allarme o informazioni contrarie che potrebbero mettere in discussione le convinzioni condivise.
  • Stereotipi verso outgroup: i gruppi esterni o gli avversari sono visti come deboli, malvagi o stupidi, non meritevoli di un’analisi seria.

Pressioni verso l’uniformità

  • Autocensura: i membri evitano di esprimere dubbi o opinioni divergenti per non disturbare il consenso del gruppo.
  • Illusione di unanimità: si presume erroneamente che il silenzio equivalga al consenso e che tutti i membri condividano le stesse opinioni.
  • Pressione diretta sui dissidenti: chi esprime dubbi viene pressato per conformarsi, talvolta attraverso ridicolizzazione o emarginazione.
  • “Mindguards”: alcuni membri assumono il ruolo di “guardiani della mente”, proteggendo il gruppo da informazioni che potrebbero mettere in discussione la saggezza collettiva.

Questi sintomi interagiscono tra loro creando un ambiente in cui il pensiero critico individuale è soppresso a favore dell’armonia di gruppo, portando spesso a decisioni di qualità inferiore.

Le Condizioni Antecedenti che Favoriscono il Groupthink

Janis identificò diverse condizioni che aumentano la probabilità dell’emergere del groupthink:

Alta coesione del gruppo

La coesione è una caratteristica fondamentale che predispone i gruppi al groupthink. Quando i membri di un gruppo sono fortemente legati tra loro da sentimenti di appartenenza, lealtà e affinità, diventano più inclini a evitare conflitti e a cercare il consenso. Sebbene la coesione possa essere positiva in molti contesti, diventa problematica quando porta a evitare confronti costruttivi.

Isolamento del gruppo dalle influenze esterne

Quando un gruppo opera in isolamento, senza un regolare confronto con prospettive esterne, si sviluppa una visione sempre più ristretta e autoconfermante della realtà. L’isolamento può essere fisico (lavorare in luoghi separati) o intellettuale (rifiutare di considerare idee provenienti dall’esterno).

Mancanza di procedure metodiche per la ricerca e la valutazione delle informazioni

L’assenza di protocolli strutturati per analizzare problemi e valutare informazioni favorisce decisioni basate su impressioni soggettive piuttosto che su valutazioni razionali.

Leadership direttiva e parziale

Leader che esprimono apertamente le proprie preferenze prima di una discussione completa possono inibire la libertà di espressione dei membri del gruppo, spingendoli a conformarsi alle aspettative percepite.

Alto stress con bassa speranza di trovare soluzioni migliori di quelle proposte dal leader

In situazioni di crisi o alta pressione, con tempo limitato per prendere decisioni, i gruppi tendono a unirsi attorno alle proposte dei leader, riducendo l’analisi critica.

Omogeneità del background sociale e ideologico dei membri

Gruppi composti da persone con background, esperienze e valori simili hanno maggiori probabilità di sviluppare un pensiero omogeneo e mancano della diversità cognitiva necessaria per una valutazione critica.

Il Groupthink nei Contesti Attivisti: Un Rischio Concreto

I gruppi di attivisti, per loro natura, presentano molte delle condizioni antecedenti che favoriscono il groupthink, rendendo questi contesti particolarmente vulnerabili a questo fenomeno.

Coesione e identità condivisa

Gli attivisti si uniscono tipicamente attorno a cause in cui credono profondamente, creando un forte senso di identità condivisa e missione comune. Questa coesione, sebbene fondamentale per la motivazione e l’impegno, può facilmente trasformarsi in pressione conformistica.

Polarizzazione ideologica

I movimenti attivisti spesso operano in contesti altamente polarizzati, dove si percepisce una chiara divisione tra “noi” (i sostenitori della causa) e “loro” (gli oppositori o i non allineati). Questa polarizzazione favorisce una visione stereotipata degli outgroup e una sopravvalutazione della moralità ingroup.

Impegno emotivo nelle cause

Le cause sostenute dagli attivisti sono frequentemente cariche di significato emotivo e morale, aumentando la probabilità che le decisioni siano guidate da considerazioni affettive piuttosto che da un’analisi razionale e obiettiva.

Strutture organizzative orizzontali o carismatiche

Molti gruppi attivisti adottano strutture decisionali orizzontali che, paradossalmente, possono favorire il groupthink attraverso la pressione dei pari, o si affidano a leader carismatici le cui opinioni diventano difficili da contestare.

Rischi Specifici nelle Attività Informative e Formative

Quando i gruppi attivisti organizzano attività informative o formative, i rischi associati al groupthink diventano particolarmente significativi e possono compromettere l’efficacia e l’integrità di queste iniziative in diversi modi:

Distorsione nella selezione delle informazioni

Il groupthink può portare a una selezione biased delle informazioni da condividere durante eventi formativi o informativi. I dati e le ricerche che supportano le posizioni preesistenti del gruppo vengono amplificati, mentre le evidenze contrarie vengono minimizzate o ignorate completamente. Questo processo di “cherry picking” porta a una rappresentazione sbilanciata della realtà che può danneggiare la credibilità dell’iniziativa e disinformare i partecipanti.

Per esempio, un gruppo di attivisti ambientali potrebbe presentare solo studi che evidenziano gli impatti negativi di una tecnologia, ignorando ricerche che ne mostrano i potenziali benefici o le strategie di mitigazione dei rischi.

Mancanza di pluralismo nelle fonti e nelle prospettive

Le attività informative influenzate dal groupthink tendono a presentare una visione unilaterale delle questioni complesse. L’assenza di pluralismo nelle fonti e nelle prospettive impoverisce il dibattito e impedisce ai partecipanti di sviluppare una comprensione sfumata e completa degli argomenti trattati.

In un contesto formativo, questo può tradursi nell’invito esclusivo di relatori che condividono la stessa visione ideologica, creando una “camera dell’eco” che rinforza le convinzioni preesistenti anziché stimolare il pensiero critico.

Semplificazione eccessiva di questioni complesse

Il groupthink favorisce narrazioni semplificate che riducono problemi complessi a dicotomie di “bianco o nero” o relazioni causali eccessivamente lineari. Questa semplificazione può risultare efficace per mobilitare emotivamente un pubblico, ma compromette la comprensione autentica delle sfide sociali, politiche o scientifiche affrontate.

Ad esempio, le cause di fenomeni complessi come la povertà o i cambiamenti climatici potrebbero essere ridotte a singoli fattori, ignorando la molteplicità di variabili interconnesse che caratterizzano questi problemi.

Delegittimazione del dissenso interno ed esterno

Nelle attività formative influenzate dal groupthink, le voci dissidenti all’interno del gruppo possono essere silenziate o marginalizzate. Domande scomode o prospettive alternative vengono percepite come una minaccia all’unità del gruppo piuttosto che come un’opportunità di approfondimento e perfezionamento delle idee.

Allo stesso modo, critiche o obiezioni provenienti dall’esterno vengono spesso delegittimate attribuendo agli oppositori motivazioni negative o ignoranza, piuttosto che essere considerate come potenziali contributi costruttivi.

Meccanismi Psicologici che Amplificano il Groupthink nei Contesti Attivisti

Diversi processi psicologici interagiscono con il groupthink nei contesti attivisti, amplificandone gli effetti:

Polarizzazione di gruppo

La polarizzazione di gruppo è un fenomeno per cui le discussioni all’interno di un gruppo tendono a portare i membri verso posizioni più estreme rispetto a quelle che avrebbero individualmente. Nei contesti attivisti, le discussioni ripetute su temi di comune interesse possono gradualmente spingere il gruppo verso posizioni sempre più radicali, riducendo lo spazio per il dialogo con prospettive moderate o diverse.

Dissonanza cognitiva

Gli attivisti investono spesso considerevoli risorse personali (tempo, energia, relazioni sociali) nelle loro cause. Questo investimento crea una forte pressione psicologica a giustificare tali sacrifici, rendendo difficile riconoscere informazioni che potrebbero suggerire che la causa non è così valida o urgente come si pensava. La dissonanza cognitiva può quindi spingere verso un rafforzamento delle convinzioni esistenti anche di fronte a evidenze contrarie.

Effetto conferma (Confirmation bias)

La tendenza naturale a cercare e interpretare informazioni in modo da confermare le proprie convinzioni preesistenti è particolarmente forte nei contesti attivisti, dove le credenze sono spesso legate a valori fondamentali e all’identità personale. Questo bias cognitivo rafforza il groupthink portando il gruppo a considerare principalmente evidenze a supporto delle proprie posizioni.

Effetto alone morale

Nei gruppi attivisti, la percezione di essere “dalla parte giusta della storia” può creare un “effetto alone morale” che porta a giudicare tutte le azioni del gruppo come intrinsecamente buone e quelle degli oppositori come intrinsecamente sospette o negative. Questo effetto inibisce la capacità di autocritica e la valutazione obiettiva delle strategie e dei messaggi del gruppo.

Casi Esemplificativi di Groupthink nelle Attività Formative di Gruppi Attivisti

Caso 1: I movimenti anti-vaccinisti e la formazione dei genitori

Alcuni gruppi attivisti anti-vaccinisti hanno organizzato workshop formativi per genitori in cui si manifestavano chiari segni di groupthink. In questi contesti, venivano presentati selettivamente studi marginali o screditati che suggerivano correlazioni tra vaccini e disturbi dello sviluppo, ignorando il vasto corpo di ricerche scientifiche che ne dimostrava la sicurezza. Le domande critiche venivano scoraggiate, e i dubbi relegati a “influenze dell’industria farmaceutica”. L’isolamento intellettuale del gruppo ha portato a decisioni che hanno messo a rischio la salute dei bambini e delle comunità.

Caso 2: Attività formative in movimenti politici radicali

In alcuni movimenti politici con tendenze radicali, le attività formative dei nuovi membri possono essere caratterizzate da forte groupthink. I materiali didattici presentano interpretazioni fortemente ideologizzate degli eventi storici e contemporanei, senza spazio per prospettive alternative. I membri che esprimono dubbi vengono etichettati come “non sufficientemente impegnati” o “influenzati dal sistema”. Questa chiusura intellettuale può portare il gruppo a strategie controproducenti o a posizioni sempre più estreme e disconnesse dalla realtà sociale.

Caso 3: Campagne di sensibilizzazione ambientale semplificate

Alcune campagne educative su temi ambientali hanno mostrato segni di groupthink presentando scenari catastrofici come inevitabili e soluzioni semplicistiche come uniche alternative. In questi contesti, le complessità tecniche, economiche e sociali della transizione ecologica vengono ridotte a narrazioni binarie di “buoni contro cattivi”, e le critiche alle strategie proposte vengono interpretate come opposizione alla causa ambientale stessa. Questo approccio può alienare potenziali alleati e ridurre l’efficacia delle campagne.

Il Groupthink come Strumento Funzionale: Un’Analisi Critica

Contrariamente a quanto si potrebbe inizialmente pensare, in molti contesti attivisti il groupthink non è un problema accidentale da risolvere, ma piuttosto uno strumento funzionale agli obiettivi del gruppo. Questa prospettiva più critica ci porta a riconsiderare la natura stessa delle attività formative e informative organizzate da gruppi attivisti.

Il Paradosso della Formazione Attivista

Le iniziative formative organizzate da attivisti presentano un paradosso intrinseco: pur dichiarando spesso finalità educative, il loro obiettivo primario è tipicamente persuasivo e mobilitativo. Questa tensione fondamentale tra l’imperativo educativo (favorire il pensiero critico e la comprensione complessa) e l’imperativo persuasivo (convincere e reclutare) crea le condizioni ideali per l’emergere e il radicarsi del groupthink.

Gli attivisti, indipendentemente dalla causa che sostengono, organizzano attività formative principalmente per:

  • Consolidare la coesione interna del gruppo
  • Reclutare nuovi membri e sostenitori
  • Legittimare le proprie posizioni e strategie
  • Motivare all’azione collettiva

Questi obiettivi risultano più facilmente raggiungibili in un contesto caratterizzato da un certo grado di groupthink piuttosto che in un ambiente di autentico pluralismo e dibattito aperto.

Il Groupthink come Meccanismo di Radicalizzazione

Nei gruppi più estremisti, come organizzazioni terroristiche (ISIS, Brigate Rosse) o movimenti fortemente ideologizzati, il groupthink non è un difetto ma una caratteristica essenziale del funzionamento del gruppo, che facilita:

  1. Il rafforzamento dell’identità collettiva: La visione dicotomica del mondo (noi vs. loro) rafforza il senso di appartenenza
  2. La progressiva normalizzazione di posizioni radicali: L’esposizione ripetuta a idee estreme in un contesto di approvazione sociale ne riduce gradualmente la percezione di straordinarietà
  3. La legittimazione di mezzi altrimenti inaccettabili: La convinzione della suprema giustezza della causa rende accettabili mezzi estremi
  4. La prevenzione di defezioni: L’isolamento informativo e la pressione conformista riducono la probabilità di abbandono

Il Groupthink nei Contesti Attivisti Moderati

Anche in contesti attivisti meno estremi e con cause generalmente considerate legittime (ambientalismo, diritti civili, ecc.), il groupthink serve funzioni importanti:

  1. Semplificazione comunicativa: Messaggi netti e privi di ambiguità sono più efficaci nella mobilitazione rispetto a posizioni sfumate
  2. Efficienza decisionale: Ridurre il dibattito interno permette di agire più rapidamente
  3. Coerenza narrativa: Una visione omogenea facilita la creazione di una narrazione convincente e facilmente trasmissibile
  4. Resistenza alle critiche esterne: Un gruppo coeso è meno vulnerabile ai tentativi di delegittimazione da parte di oppositori

L’Improbabilità delle Strategie Anti-Groupthink

Alla luce di queste considerazioni, diventa evidente perché le strategie teoriche per mitigare il groupthink nelle attività formative attiviste risultino poco credibili nella pratica:

  1. Contraddizione con gli obiettivi impliciti: Introdurre genuino pluralismo e pensiero critico ridurrebbe l’efficacia persuasiva e mobilitativa dell’iniziativa
  2. Resistenza psicologica dei leader: I promotori hanno investito emotivamente e socialmente nelle posizioni sostenute e sono poco inclini a metterle in discussione
  3. Rischio percepito di diluire il messaggio: La complessità e le sfumature vengono spesso viste come minacce all’efficacia comunicativa
  4. Timore di demoralizzazione: L’esposizione a contro-argomentazioni solide potrebbe ridurre la motivazione e l’impegno dei partecipanti

Come Difendersi dal Groupthink: Strategie Individuali

Dal punto di vista del singolo partecipante, l’approccio più realistico per evitare di cadere vittima del groupthink in contesti formativi attivisti include:

  1. Riconoscere la natura persuasiva dell’evento: Partecipare con piena consapevolezza che si tratta primariamente di un’iniziativa di mobilitazione, non di educazione neutrale
  2. Mantenere connessioni cognitive esterne: Conservare relazioni significative con persone che hanno visioni diverse come “ancora” contro la deriva conformista
  3. Verificazione autonoma: Controllare sistematicamente le informazioni ricevute attraverso fonti con orientamenti diversi
  4. Approccio antropologico: Considerare la partecipazione come un’opportunità per comprendere una particolare prospettiva piuttosto che come un percorso verso “la verità”
  5. Riconoscere i segnali d’allarme: Prestare attenzione a indicatori di groupthink come la delegittimazione sistematica dei critici o la semplificazione eccessiva di questioni complesse

La Soluzione Più Efficace: Evitare o Abbandonare

In ultima analisi, la strategia più efficace per evitare di essere influenzati dal groupthink in contesti attivisti è probabilmente la più radicale: evitare la partecipazione a queste attività, o abbandonarle una volta riconosciuta una significativa divergenza tra le proprie idee e quelle promosse dal gruppo.

Questa conclusione può apparire pessimistica, ma rappresenta un riconoscimento realistico della natura intrinsecamente persuasiva – più che autenticamente educativa – della maggior parte delle attività formative organizzate da gruppi attivisti. Il groupthink in questi contesti non è un incidente di percorso ma parte integrante del loro funzionamento.

Conclusione: Una Visione Realistica dell’Attivismo e del Groupthink

Alla luce dell’analisi svolta, è necessario abbandonare l’approccio ingenuo che vede il groupthink come un problema risolvibile all’interno delle attività formative organizzate da attivisti. Il fenomeno del groupthink in questi contesti non è semplicemente un effetto collaterale indesiderato, ma spesso un elemento strutturale funzionale agli obiettivi persuasivi e mobilizzanti di tali iniziative.

L’attivismo, per sua natura, si basa sulla convinzione di possedere verità significative che meritano di essere diffuse e trasformate in azione collettiva. Questa posizione epistemologica di partenza crea inevitabilmente una tensione con i principi di indagine aperta, pluralismo intellettuale e complessità che sarebbero necessari per contrastare efficacemente il groupthink.

La consapevolezza di questa realtà non deve portare necessariamente a un rifiuto totale dell’attivismo come forma di partecipazione sociale. Piuttosto, dovrebbe invitare a un approccio più maturo e realistico, in cui:

  1. I destinatari delle attività formative sviluppano strumenti di “autodifesa cognitiva” che permettono loro di beneficiare degli aspetti informativi mantenendo un distacco critico
  2. Gli osservatori esterni comprendono la natura intrinsecamente persuasiva di queste attività e le valutano di conseguenza, senza aspettarsi una neutralità o un pluralismo irrealistici
  3. Gli stessi attivisti potrebbero guadagnare in efficacia a lungo termine riconoscendo i limiti del groupthink, anche se probabilmente questa consapevolezza emergerà più facilmente in individui che hanno già preso le distanze dal gruppo piuttosto che in quelli pienamente integrati

In una società democratica e pluralista, gli attivisti possono svolgere un ruolo utile nel sollevare questioni, mobilitare energie e promuovere cambiamenti. Allo stesso tempo, riconoscere la natura inevitabilmente biased delle loro attività formative e il ruolo funzionale che il groupthink svolge in esse rappresenta un passo fondamentale verso una partecipazione civica più consapevole e matura.

La soluzione più efficace al problema del groupthink nelle attività formative organizzate da attivisti non sta tanto nel cercare di riformarle dall’interno – operazione probabilmente destinata al fallimento – quanto nello sviluppare una cultura civica caratterizzata da maggiore pluralismo informativo, pensiero critico e disponibilità a considerare molteplici prospettive. In questo senso, la vera immunità al groupthink non si sviluppa partecipando alle attività formative degli attivisti, ma mantenendosi intellettualmente attivi in una varietà di contesti informativi differenti e, quando necessario, riconoscendo saggiamente quando è il momento di allontanarsi.

Bibliografia e Riferimenti

  1. Janis, I. L. (1972). Victims of Groupthink: A psychological study of foreign-policy decisions and fiascoes. Boston: Houghton Mifflin.
  2. Janis, I. L. (1982). Groupthink: Psychological Studies of Policy Decisions and Fiascoes. Boston: Houghton Mifflin.
  3. Hart, P. (1991). “Irving L. Janis’ Victims of Groupthink”. Political Psychology, 12(2), 247-278.
  4. Sunstein, C. R., & Hastie, R. (2015). Wiser: Getting Beyond Groupthink to Make Groups Smarter. Harvard Business Review Press.
  5. Nemeth, C. J., & Goncalo, J. A. (2011). “Hidden Consequences of the Group-Serving Bias: Causal Attributions and the Quality of Group Decision Making”. Organizational Behavior and Human Decision Processes, 115(2), 272-281.
  6. Baron, R. S. (2005). “So Right It’s Wrong: Groupthink and the Ubiquitous Nature of Polarized Group Decision Making”. Advances in Experimental Social Psychology, 37, 219-253.
  7. Turner, M. E., & Pratkanis, A. R. (1998). “Twenty-Five Years of Groupthink Theory and Research: Lessons from the Evaluation of a Theory”. Organizational Behavior and Human Decision Processes, 73(2-3), 105-115.
  8. Esser, J. K. (1998). “Alive and Well after 25 Years: A Review of Groupthink Research”. Organizational Behavior and Human Decision Processes, 73(2-3), 116-141.
  9. Mullen, B., Anthony, T., Salas, E., & Driskell, J. E. (1994). “Group Cohesiveness and Quality of Decision Making: An Integration of Tests of the Groupthink Hypothesis”. Small Group Research, 25(2), 189-204.
  10. Whyte, G. (1998). “Recasting Janis’s Groupthink Model: The Key Role of Collective Efficacy in Decision Fiascoes”. Organizational Behavior and Human Decision Processes, 73(2-3), 185-209.

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Sapere scientifico e sapere esperienziale: entrambi utili, ma con caratteristiche e modalità diverse

Perché non bisogna confondere sapere scientifico e sapere esperienziale

L’esperienza ci insegna come fare; la scienza ci spiega perché. È questa la tesi centrale dell’articolo pubblicato su Il Foglio, che mette in guardia dalla crescente tendenza a considerare il sapere scientifico e quello esperienziale come equivalenti e interscambiabili. Questa equiparazione, spesso sostenuta da movimenti come Slow Food, nasce come reazione alla perdita delle competenze tradizionali e alla “colonizzazione tecnica” del mondo rurale, ma rischia di portare a semplificazioni pericolose2.

Il valore e i limiti del sapere esperienziale

Il sapere esperienziale, tipico ad esempio del contadino che conosce la propria terra, è prezioso e radicato: permette di agire con efficacia in contesti noti, grazie a generazioni di osservazioni accumulate. Si tratta di una conoscenza retrospettiva, che funziona finché il mondo rimane simile a quello che si è sempre conosciuto. Tuttavia, quando si presenta una novità radicale – come un nuovo parassita, una malattia sconosciuta o un cambiamento climatico – l’esperienza passata non basta più. In questi casi, il sapere esperienziale si arresta e non offre strumenti per affrontare l’ignoto2.

Il ruolo insostituibile della scienza

La scienza, invece, non si limita a registrare l’esperienza, ma la organizza in modelli astratti e verificabili. È proprio questa capacità di spiegare, prevedere e guidare l’azione anche in situazioni nuove che rende la conoscenza scientifica insostituibile. Solo la scienza consente di affrontare l’ignoto in modo sistematico: di fronte a un nuovo patogeno, per esempio, serve comprendere i meccanismi biologici e costruire modelli predittivi, non affidarsi alla saggezza del passato2.

La scienza, inoltre, collega i frammenti di sapere, cerca regolarità, distingue tra caso e necessità e costruisce una visione coerente del mondo. Se ci si limita a mettere insieme esperienze senza interrogarsi sul loro significato complessivo, si rischia di costruire modelli di realtà sbagliati e pericolosi, che possono portare a errori gravi nella gestione di crisi sanitarie o ambientali2.

Innovazione e progresso: scienza ed esperienza a confronto

Il sapere esperienziale è spesso affidabile ma frammentario: ogni gesto ha senso nel suo contesto, ma non necessariamente si connette a una visione più ampia. La scienza, invece, permette di innovare, anticipare e correggere. Solo attraverso i suoi modelli verificabili possiamo sapere se il mondo che crediamo di vedere corrisponde davvero alla realtà2.

La scienza offre strumenti per migliorare attivamente: selezionare varietà più resistenti, progettare strumenti più efficienti, ridurre l’impatto ambientale e aumentare la produttività senza sacrificare la qualità. Dove l’esperienza perfeziona l’esistente, la scienza costruisce ciò che ancora non c’è, procedendo in modo più efficiente e meno casuale, grazie a ipotesi fondate e dati misurabili2.

Un commento

L’esperienza ci insegna come fare; la scienza ci spiega perché? Questa affermazione è vera soprattutto in ambiti studiabili attraverso il metodo scientifico. Se penso al mio settore, l’orientamento, che è un settore che appartiene al sociale, anche degli operatori esperti che lavorano con un approccio riflessivo posso sviluppare teorie. E anche operatori di settori a base scientifica posso perfezionare la loro pratica, a partire dalla conoscenza scientifica, grazie all’esperienza. Le affermazioni dell’articolo, perciò sono troppo categoriche.

L’utilità della pratica per sviluppare teorie che guidano il comportamento sono state sviluppate da molti autori, vedi ad esempio il contributo di Donald A. Schön.

Conclusione

Scienza ed esperienza sono entrambe indispensabili, ma non vanno confuse. La scienza non è infallibile, ma possiede una straordinaria capacità di apprendere, correggersi e progredire rapidamente. Rinunciare a uno dei due saperi sarebbe un errore, ma confonderli lo sarebbe ancora di più: solo riconoscendo la specificità e i limiti di ciascuno possiamo affrontare con successo le sfide del presente e del futuro2.

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Fonti

  1. https://www.ilfoglio.it/scienza/2025/05/15/news/perche-e-importante-non-confondere-sapere-scientifico-e-sapere-esperienziale-7724740/
  2. https://www.ilfoglio.it/tag/esperienziale/
  3. https://x.com/ilfoglio_it/status/1923045848285430197
  4. https://www.ilfoglio.it/scienza/2024/04/11/news/perche-la-comunita-scientifica-non-rimedia-alla-crisi-della-pubblicazione-scientifica–6425875/
  5. https://www.carabinieri.it/media—comunicazione/rassegna-dell-arma/la-rassegna/anno-2010/n-1—gennaio-marzo/studi/dalla-formazione-tradizionale-alla-formazione-esperienziale
  6. https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/sipes/article/download/4047/3670/15175
  7. https://staticmy.zanichelli.it/catalogo/assets/9788808467522_04_CAP.pdf
  8. https://www.tuobiografo.it/post/scienza-poesia-letteratura-filosofia-sapere-umanistico-due-culture-dialogo

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La crisi delle pubblicazioni scientifiche e come restituire la scienza al bene pubblico

La situazione

Negli ultimi decenni, il sistema della pubblicazione scientifica si è trasformato in un colosso economico, sostenuto quasi interamente da fondi pubblici ma governato da logiche privatistiche e di mercato. Questa contraddizione strutturale, come argomentato nell’articolo di Enrico Bucci pubblicato su Il Foglio il 1° maggio 2025, rappresenta oggi uno dei principali ostacoli alla qualità, all’efficienza e all’accessibilità della comunicazione scientifica. Ripercorrendo le tesi dell’articolo, analizziamo le distorsioni prodotte dall’attuale assetto editoriale e la proposta di una radicale riforma verso un sistema pubblico, cooperativo e trasparente21.

Il paradosso del sistema attuale

Il cuore del problema è che la ricerca scientifica, dalla produzione dei contenuti alla loro certificazione e diffusione, è finanziata quasi esclusivamente con risorse pubbliche. Tuttavia, il controllo e la distribuzione dei risultati sono appaltati a editori commerciali, i quali perseguono unicamente il profitto. Questo paradosso si alimenta su tre canali principali:

  • Costi di pubblicazione (APC): le istituzioni pubbliche pagano per permettere ai ricercatori di pubblicare articoli open access o a pagamento.

  • Costi di abbonamento: università, enti di ricerca e biblioteche pagano per accedere a contenuti che i loro stessi ricercatori hanno prodotto.

  • Lavoro gratuito: referees e membri dei comitati editoriali, spesso dipendenti pubblici, forniscono gratuitamente il servizio di revisione e gestione editoriale.

Il risultato è un sistema in cui il denaro pubblico finanzia ogni fase del processo, mentre i profitti sono privatizzati dagli editori commerciali, che non producono conoscenza ma ne gestiscono il confezionamento e la reputazione21.

Le distorsioni prodotte dal mercato

Questa struttura non è solo inefficiente: è la causa di distorsioni profonde che alterano la natura stessa della comunicazione scientifica. Le principali criticità sono:

  • Proliferazione di riviste: per massimizzare i profitti, gli editori moltiplicano i titoli, segmentano artificialmente le discipline e creano nuove testate per intercettare nicchie sempre più ristrette. Il volume delle pubblicazioni cresce senza aumentare la qualità media, contribuendo alla frammentazione del sapere e alla diluizione della rilevanza scientifica21.

  • Riviste predatorie: la pressione a pubblicare come metrica di successo ha favorito la nascita di riviste che simulano il peer review, accettando qualsiasi articolo dietro pagamento. Queste testate degradano il valore simbolico della pubblicazione e immettono nel circuito globale una quantità crescente di contenuti non verificati, confondendo i confini tra scienza affidabile e pseudo-scienza21.

  • Snatching e abbassamento degli standard: soggetti privati acquisiscono riviste rispettabili per poi svuotarle dall’interno, abbassando drasticamente gli standard di revisione per massimizzare i ricavi, minando la fiducia nella qualità delle pubblicazioni1.

  • Logica perversa dell’impact factor: l’impact factor diventa un asset commerciale da difendere o manipolare; visibilità e velocità di pubblicazione sostituiscono il rigore metodologico come criteri di scelta, piegando persino il peer review a esigenze di mercato21.

Il risultato complessivo è una comunicazione scientifica che, pur avendo aumentato la quantità e l’accessibilità apparente, ha visto erodersi la sua funzione primaria: certificare, selezionare e diffondere conoscenza solida. La frammentazione delle sedi editoriali, l’inflazione delle pubblicazioni e la crescente opacità dei criteri di qualità hanno indebolito l’autorevolezza della scienza stessa come impresa collettiva di conoscenza critica21.

La proposta: un sistema editoriale pubblico e cooperativo

Per superare queste distorsioni, l’articolo di Il Foglio propone di intervenire direttamente sull’architettura economica del sistema. L’idea è dirottare l’intero budget oggi destinato agli editori commerciali – inclusi i costi di pubblicazione, abbonamento e lavoro gratuito – verso la creazione di un sistema di riviste scientifiche di proprietà pubblica, gestite da società scientifiche, accademie ed enti di ricerca21.

Esempi virtuosi già esistono: il Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), pubblicato dalla National Academy of Sciences degli Stati Uniti, è una delle sedi più autorevoli della comunicazione scientifica internazionale e dimostra la piena praticabilità di questo modello21.

Vantaggi del nuovo modello

  • Riduzione dei costi: la razionalizzazione del panorama editoriale permetterebbe di ridurre drasticamente il numero delle riviste, eliminando la proliferazione artificiale e abbassando i costi infrastrutturali, oggi largamente inferiori alle somme pagate agli editori commerciali21.

  • Maggiore accessibilità: in un sistema pubblico open access, la possibilità di pubblicare e leggere diverrebbe funzione della qualità scientifica, non della disponibilità economica. Questo abbatterebbe le barriere per i ricercatori dei paesi meno finanziati21.

  • Eliminazione delle distorsioni di mercato: senza l’incentivo economico alla moltiplicazione delle riviste, verrebbe meno la spinta alla frammentazione disciplinare e all’inflazione delle pubblicazioni. Le riviste predatorie perderebbero terreno e la reputazione delle testate non sarebbe più monetizzabile attraverso operazioni speculative21.

  • Selezione rigorosa e trasparenza: il sistema tornerebbe a essere costruito intorno alla selezione rigorosa della conoscenza, alla responsabilità della certificazione e alla trasparenza dei processi di valutazione21.

Sfide e rischi

Naturalmente, la transizione a un nuovo sistema editoriale comporta rischi e difficoltà:

  • Investimenti iniziali: servirebbero risorse per infrastrutture tecnologiche, formazione e organizzazione delle nuove piattaforme.

  • Standardizzazione: occorrerebbe una forte standardizzazione dei processi editoriali per evitare la frammentazione tecnica e organizzativa tra le diverse riviste pubbliche23.

  • Resistenza culturale: la pubblicazione in sedi nuove e non consolidate potrebbe essere inizialmente meno attrattiva, soprattutto nei settori più competitivi.

  • Rischio di cattura: la gestione editoriale potrebbe essere soggetta a pressioni di gruppi di interesse disciplinari o nazionali, con il rischio di abbassamento degli standard di selezione23.

Tuttavia, l’articolo sottolinea che questi rischi sono affrontabili con una governance chiara, composta da comitati editoriali eletti su base meritocratica e verificabile, con rotazione obbligatoria dei ruoli per prevenire la formazione di rendite di posizione. Audit periodici di qualità, gestiti da organismi indipendenti, permetterebbero di monitorare e correggere eventuali derive. Una politica di accreditamento e valutazione delle riviste basata su criteri espliciti di qualità metodologica, apertura dei dati e trasparenza del peer review sostituirebbe il prestigio di marca con la reputazione guadagnata sul campo23.

Obiezioni e controargomentazioni

Le due principali obiezioni contro questa proposta sono:

  1. Il sistema pubblico non garantirebbe standard elevati di qualità editoriale: questa critica è smentita dall’esistenza di riviste gestite da accademie o enti pubblici (come PNAS, eLife, Royal Society Open Science) che sono pienamente competitive a livello globale. La qualità non dipende dalla proprietà privata, ma dalla progettazione razionale dei processi e dall’integrità della loro gestione23.

  2. La competitività internazionale della scienza subirebbe un danno: in realtà, la dipendenza dalle metriche commerciali ha già oggi effetti distorsivi sulla qualità della ricerca. Un sistema di pubblicazione basato su qualità metodologica verificabile e accessibilità universale rappresenterebbe, nel medio termine, un vantaggio competitivo per ogni sistema scientifico che voglia fondarsi sull’eccellenza reale, non su indicatori di prestigio artificiale23.

Il ruolo della comunità scientifica e della Open Science

Un punto centrale della riforma proposta è che la comunità scientifica deve scegliere attivamente i nuovi canali di pubblicazione, modificando i criteri di valutazione dei ricercatori e smettendo di equiparare la qualità scientifica alla posizione editoriale in riviste ad alto impact factor. Solo così si potrà rompere la dipendenza collettiva dalle grandi case editrici, che monetizzano il lavoro pubblico in modo opaco3.

Inoltre, la standardizzazione necessaria non deve derivare dal controllo proprietario di pochi gruppi, ma dalla convergenza metodologica costruita deliberatamente dalla comunità scientifica, attraverso organismi di coordinamento, linee guida comuni e meccanismi di accreditamento e trasparenza. In questo senso, il riferimento ai principi della Open Science – trasparenza dei dati, apertura dei codici, tracciabilità dei processi di revisione, disponibilità dei materiali, preregistrazione degli studi, replicabilità dei risultati – deve essere integrato nella struttura del sistema editoriale pubblico come requisito imprescindibile, applicato in modo omogeneo e verificabile3.

Conclusione: restituire alla scienza la sua funzione pubblica

La crisi dell’editoria scientifica non è solo una questione di costi o di efficienza, ma riguarda la credibilità stessa della scienza come impresa collettiva e pubblica. Continuare a finanziare passivamente un sistema che ha smarrito la sua funzione pubblica significa accettare il declino progressivo dell’autorevolezza scientifica.

Come conclude l’articolo de Il Foglio, intervenire ora, con decisione e intelligenza, è l’unico modo per restituire alla comunicazione scientifica il suo ruolo essenziale: garantire la qualità, la trasparenza e l’accessibilità universale della conoscenza. Liberare la scienza dai vincoli di mercato non significa provincializzarla, ma restituirla alla sua vocazione universale e al servizio della società23.

“Intervenire ora, con decisione e intelligenza, è l’unico modo per restituire alla comunicazione scientifica il suo ruolo essenziale: garantire la qualità, la trasparenza e l’accessibilità universale della conoscenza.” (Il Foglio, 1 maggio 2025)2.

Articolo ispirato e basato su: “Per un nuovo sistema di pubblicazione scientifica serve uscire dal mercato”, Il Foglio, 1 maggio 2025.

Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Prodotto da Leonardo Evangelista con l’aiuto dell’IA.  Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.

Fonti

  1. https://www.ilfoglio.it/scienza/2025/05/01/news/per-un-nuovo-sistema-di-pubblicazione-scientifica-serve-uscire-dal-mercato-7674614/
  2. https://www.ilfoglio.it/scienza/2025/05/06/news/ripensare-all-editoria-scientifica-dalle-buone-eccezioni-alla-regola-7683269/
  3. https://www.ilfoglio.it/scienza/2025/04/25/news/la-deriva-delle-riviste-scientifiche-7650974/
  4. https://www.ilfoglio.it/scienza/2025/05/07/news/le-parole-della-pseudoscienza-7687913/
  5. https://www.ilfoglio.it/scienza/2024/11/13/news/perche-bisogna-rompere-il-sistema-attuale-di-pubblicazione-scientifica-7146739/
  6. https://www.ilfoglio.it/gli-eventi-del-foglio/2025/05/07/video/arriva-il-foglio-europeo-a-roma-la-presentazione-del-nostro-nuovo-mensile-7688450/
  7. https://www.ilfoglio.it/2025/05/sitemap_Articolo_scienza.xml
  8. https://www.ilfoglio.it/scienza/2024/05/02/news/le-pubblicazioni-scientifiche-sono-un-sistema-insostenibile-6506368/
  9. https://editorialescientifica.it/prodotto/la-comunita-internazionale-2025/

Firenze e la crisi degli affitti brevi: tra overtourism, rendita immobiliare e nuove regole

Firenze e la crisi degli affitti brevi: tra overtourism, rendita immobiliare e nuove regole

Negli ultimi anni Firenze è diventata il caso emblematico dell’overtourism in Italia, con una trasformazione radicale del tessuto urbano e sociale dovuta all’esplosione degli affitti brevi. In meno di un decennio, le abitazioni offerte su piattaforme come Airbnb sono passate da appena 150 a oltre 12.000, con conseguenze profonde per la vita dei residenti e l’identità stessa della città1.

Dai palazzi nobiliari alla rendita turistica: la tesi di Le Monde

Un’analisi pubblicata dal quotidiano francese Le Monde e ripresa dalla stampa locale, individua le radici di questa situazione nella storia stessa di Firenze. Secondo il giornalista Allan Kaval, la concentrazione di ricchezza immobiliare nelle mani di poche famiglie aristocratiche – che nei secoli hanno accumulato e mantenuto il controllo dei palazzi più prestigiosi – ha favorito la trasformazione della città in una “monarchia del mattone”23. In Italia, a differenza della Francia, non ci sono state rivoluzioni che abbattessero le vecchie élite: molte famiglie blasonate sono ancora oggi proprietarie di vasti patrimoni, ora messi a reddito grazie al boom turistico.

L’articolo cita imprenditori come Lorenzo Fagnoni e Niccolò degli Alessandri, le cui fortune derivano proprio da eredità familiari. Oggi queste grandi famiglie collaborano spesso con fondi di investimento stranieri, rafforzando ulteriormente la concentrazione della proprietà immobiliare23.

Effetti sull’economia e sul tessuto urbano

Secondo gli esperti intervistati da Le Monde, tra cui l’economista Guglielmo Barone e il professore Marco Leonardi, il turismo di massa genera molto reddito ma poca innovazione e occupazione stabile. L’economia locale si sposta verso attività a basso valore aggiunto e lavoro precario, mentre il centro storico si svuota progressivamente dei suoi abitanti: nel 2024 i visitatori a Firenze hanno raggiunto i 15 milioni, a fronte di una popolazione residente in continuo calo23.

La ricercatrice Mafalda Batalha, dell’Istituto Universitario Europeo, sottolinea come la pressione turistica abbia modificato profondamente la composizione dei quartieri. Nei rioni a maggiore densità di B&B, le botteghe storiche sono state sostituite da ristoranti, pub e negozi per turisti, mentre i residenti si spostano verso la periferia o l’hinterland, lasciando il centro sempre più “devitalizzato”1.

L’esplosione degli affitti brevi: numeri e impatti

L’analisi dei dati conferma la portata del fenomeno: dal 2012 al 2024, gli annunci di affitti brevi sono cresciuti da 150 a oltre 12.000, con l’84% rappresentato da interi appartamenti e più del 70% localizzati nel centro storico. Questo ha portato a una vera e propria “migrazione” dei residenti, che abbandonano le zone più turistiche a causa dell’aumento dei prezzi e della perdita di servizi essenziali1.

Il fenomeno non si limita più al solo centro storico. Anche quartieri come piazza Puccini stanno vivendo una rapida trasformazione: in alcuni condomini, oltre la metà degli appartamenti sono ormai destinati ad affitti brevi, con problemi di convivenza, rumori notturni e gestione dei rifiuti7.

La risposta delle istituzioni: il nuovo regolamento

Di fronte a questa situazione, il Comune di Firenze ha approvato nel maggio 2025 un nuovo regolamento per gli affitti brevi, tra i più restrittivi d’Italia456. Le principali novità includono:

  • Superficie minima di 28 metri quadri per gli immobili destinati a locazione turistica

  • Istituzione di un Registro comunale e obbligo di autorizzazione quinquennale

  • Divieto di key-box (cassette per le chiavi) per garantire l’identificazione degli ospiti

  • Obbligo di istruzioni multilingue per la raccolta differenziata e di un vademecum sul turismo sostenibile

  • Sanzioni da 1.000 a 10.000 euro per chi non rispetta le regole

  • Blocco di nuove autorizzazioni nell’area Unesco, con possibilità di estensione ad altre zone

Il regolamento esclude però le locazioni di porzioni di immobili in cui il proprietario risiede stabilmente6.

Le reazioni: tra sostegno e polemiche

La stretta sugli affitti brevi ha raccolto il plauso di Federalberghi e di chi chiede un mercato immobiliare più sostenibile per i residenti. Dall’altra parte, associazioni di property manager e alcuni esponenti politici hanno annunciato ricorsi al TAR, definendo le nuove norme “vessatorie” e discriminatorie rispetto agli affitti tradizionali6.

Firenze: un “parco a tema” 

Il centro storico di Firenze ha ormai da anni perso la sua autenticità e si è trasformato in un “parco divertimenti” per turisti, espellendo progressivamente i suoi abitanti.

Fonti

  1. https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/affitti-brevi-citta-snaturata-da-0de837e9
  2. https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/affitti-brevi-firenze-jnbhu0t4
  3. https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/affitti-brevi-firenze-jnbhu0t4
  4. https://www.corriere.it/economia/affitti/25_maggio_09/affitti-brevi-la-stretta-di-firenze-la-casa-deve-essere-almeno-di-28-metri-quadri-con-multe-fino-a-10-mila-euro-d0cb1300-eb66-45f5-af6d-fc98cb214xlk.shtml
  5. https://www.immobiliare.it/news/economia/tasse-imposte-e-normative/stop-agli-affitti-brevi-fuori-controllo-firenze-vara-il-nuovo-regolamento-comunale-363723/
  6. https://tg24.sky.it/cronaca/2025/05/07/affitti-brevi-firenze-nuovo-regolamento-multe
  7. https://corrierefiorentino.corriere.it/notizie/cronaca/25_maggio_06/affitti-brevi-a-firenze-anche-fuori-dal-centro-in-piazza-puccini-dove-l-assedio-c-e-gia-nel-mio-palazzo-ben-diciotto-airbnb-bc4028a6-857c-4c01-b9dc-691484b5fxlk.shtml
  8. https://www.campingmanagement.online/turismo-in-italia/modello-firenze-una-soluzione-sostenibile-per-affrontare-lovertourism/
  9. https://www.zazoom.it/2025-05-11/affitti-brevi-a-firenze-le-monde-dai-palazzi-nobiliari-la-ricchezza-per-poche-famiglie/16947098/
  10. https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/la-ricchezza-in-mano-a-df70d98a
  11. https://www.lemonde.fr/en/international/article/2024/11/15/florence-bans-key-boxes-a-symbol-of-overtourism_6732995_4.html
  12. https://www.pointofnews.it/ultime_notizie_su_firenze/articolo-9199757-Affitti_brevi_a_Firenze,_Le_Monde:_%E2%80%98Dai_palazzi_nobiliari_la_ricchezza_per_poche_famiglie%E2%80%99
  13. https://italiasette.it/altro/affitti-breve-lattacco-dalla-francia-a-firenze-la-ricchezza-che-deriva-dallimmobiliare-e-per-pochi/
  14. https://www.firenzenews.net/2025/05/11/il-diritto-alla-proprieta-sotto-assedio-a-firenze-e-il-paradosso-dellovertourism/
  15. https://www.pointofnews.it/ultime_notizie_su_vicino&%23x201d/ultime_notizie_su_firenze_affitti
  16. https://www.youtube.com/watch?v=2aXKs5-T_Kg
  17. https://www.lagenziadiviaggimag.it/gruppo-minor-a-firenze-apre-palazzo-gaddi-by-tivoli-hotels/
  18. https://centrostudituristicifirenze.it/eventi/overtourism-e-il-futuro-del-turismo-convegno-a-firenze/
  19. https://ilmanifesto.it/firenze-capitale-del-conflitto-sullovertourism
  20. https://x.com/qn_lanazione/status/1921448239884124231
  21. https://www.lodgify.com/blog/it/normativa-affitti-brevi-firenze/

 

Finalmente testi comprensibili. Come l’IA sta sfidando la scrittura accademica

Il contesto

Buona parte della produzione accademica coltiva un vizio difficile da sradicare: l’opacità. Frasi interminabili, concetti astratti stratificati senza appigli concreti, note a piè di pagina come digressioni labirintiche, neologismi forzati e citazioni autoreferenziali sono solo alcuni degli ingredienti di una scrittura che spesso rende i saggi universitari difficili da leggere, anche per chi ne condivide la formazione di base. Non si tratta di casi isolati: la fumosità è una caratteristica diffusa e, in certi contesti, addirittura premiata. Ma un cambiamento è in corso, ed è guidato da un attore inatteso: l’intelligenza artificiale.

Il paradosso accademico: oscurità come segnale di profondità

Molti studenti universitari, ma anche giovani ricercatori, imparano presto una regola non scritta: ciò che è semplice sembra ingenuo. L’idea che la complessità del pensiero debba riflettersi in uno stile difficile, involuto e denso è tanto pervasiva quanto controintuitiva. È come se la chiarezza fosse sospetta, quasi sinonimo di superficialità. Eppure, la capacità di rendere comprensibile l’articolato è una delle competenze più alte della scrittura, non una forma di semplificazione indebita.

Lo sforzo interpretativo richiesto da certi testi diventa così una barriera all’ingresso: solo chi possiede familiarità con un certo gergo specialistico e con i riferimenti interni alla disciplina può partecipare al discorso. È una forma di gatekeeping intellettuale. In alcuni casi, può essere anche una strategia di difesa: testi oscuri rendono difficile la confutazione, poiché la prima difficoltà è capire cosa effettivamente si stia affermando.

Non mancano studiosi che hanno criticato esplicitamente questa tendenza. George Orwell, nel suo celebre saggio Politics and the English Language, denunciava già nel 1946 come il linguaggio accademico (e politico) tendesse a nascondere la realtà dietro una coltre di parole astratte e formule fisse. Più recentemente, Pierre Bourdieu ha evidenziato i rischi di un uso del linguaggio come strumento di distinzione e dominanza simbolica. Ma la critica alla scrittura accademica continua a sembrare una battaglia controvento, spesso confinata ai margini delle pratiche reali della ricerca.

Il modello ChatGPT: chiarezza, sintesi, accessibilità

In questo contesto, l’intelligenza artificiale basata su modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM), come ChatGPT, sta introducendo una discontinuità sorprendente. Questi modelli, addestrati su una vasta gamma di testi di diversa qualità e registro, sono stati progettati per produrre output comprensibili, coerenti, ben strutturati. La loro logica interna premia la chiarezza, perché il loro scopo è rispondere a una richiesta dell’utente nel modo più utile possibile.

Il risultato? Anche su temi complessi come la filosofia analitica, la sociologia critica o la teoria dei sistemi, l’intelligenza artificiale è capace di generare testi leggibili, con una struttura lineare, esempi calzanti, definizioni esplicite e concetti spiegati con ordine. E non si tratta di banalizzazione. La profondità rimane, ma si manifesta attraverso la cura nella sequenza logica, l’uso controllato dei termini tecnici, la scelta accurata delle metafore.

Chi ha provato a chiedere a ChatGPT di spiegare la teoria della performatività del linguaggio in Judith Butler, o il concetto di “biopolitica” in Foucault, si è spesso trovato davanti a una spiegazione più chiara di quella trovata in molti manuali universitari. Non è magia: è una diversa forma di progettazione testuale, guidata da criteri di leggibilità e comprensibilità, non da vincoli accademici impliciti.

Un’opportunità per ripensare la scrittura accademica

Questo nuovo scenario apre una domanda scomoda: se l’IA riesce a spiegare meglio di noi concetti che padroneggiamo, è forse arrivato il momento di rivedere il nostro modo di scrivere? Lungi dal sostituirsi alla riflessione critica, l’intelligenza artificiale ci costringe a confrontarci con le nostre abitudini espositive. E non è detto che il confronto sia sempre a nostro favore.

Per gli studenti, questo può essere uno strumento formidabile per apprendere meglio: si possono ottenere versioni “accessibili” di testi difficili, modelli di sintesi e spiegazioni che fanno risparmiare ore di tentativi frustranti. Per i docenti e i ricercatori, invece, l’IA rappresenta un’occasione per rinnovare le proprie pratiche di scrittura e comunicazione.

Non si tratta solo di divulgazione. Anche nella scrittura specialistica, la chiarezza è un valore. È del tutto possibile scrivere articoli per riviste peer-reviewed in modo sobrio, ordinato, leggibile. L’autorevolezza non deriva dallo stile oscuro, ma dalla qualità degli argomenti e dalla coerenza delle inferenze.

Alcuni rischi da considerare

Naturalmente, non mancano i rischi. L’uso dell’IA nella scrittura può generare testi formalmente impeccabili ma concettualmente vuoti, oppure veicolare affermazioni infondate con toni assertivi. C’è anche il pericolo che si affermi un nuovo stile standardizzato, piatto, privo di quella ricchezza linguistica e retorica che fa la bellezza di certi testi umani.

Per questo è importante distinguere tra chiarezza e semplificazione: la prima è un obiettivo legittimo e auspicabile, la seconda può diventare un problema se porta a eliminare la complessità del reale. Il compito del ricercatore resta quello di non tradire la densità del pensiero, ma di accompagnarla con una forma espressiva all’altezza.

Tornare alla responsabilità della forma

Quello che sta emergendo con chiarezza è che la forma non è un orpello. Scrivere bene — cioè con chiarezza, struttura, efficacia comunicativa — è parte integrante del pensare bene. L’intelligenza artificiale, con la sua capacità di rendere leggibili contenuti difficili, ci ricorda questo principio che l’università sembra aver dimenticato: la qualità di un pensiero si misura anche da come viene espresso.

L’epoca dell’IA può quindi diventare l’occasione per riqualificare il discorso accademico, recuperando la responsabilità comunicativa della scrittura scientifica. Non significa rinunciare alla complessità, ma assumerla fino in fondo, anche sul piano della forma. In fin dei conti, scrivere in modo oscuro non è un segno di profondità, ma spesso un sintomo di pigrizia concettuale.

Un’esperienza personale

Qualche mese fa dovevo sostenere un esame sul testo Sociologia del rischio, di Niklas Luhmann. L’argomentazione è sviluppata quasi esclusivamente dalla discussione di idee filosofiche e norme giuridiche relative al rischio, con un livello di astrazione molto elevato. Ci sono decine di note. Più volte ho provato a leggerlo, arrivando sempre a un punto in cui mi fermavo perché avevo perso il contatto.

Alla fine, l’ho scannerizzato capitolo per capitolo e ho chiesto a ChatGPT di riassumere ogni capitolo. In questo modo ne sono venuto a capo. Leggi la mia sintesi del libro.

Conclusione: una lezione che viene da fuori

L’IA scrive meglio dei professori. Lo fa perché sa come si scrive un testo, e in più non ha nulla da dimostrare, non cerca di impressionare colleghi o commissioni valutative, non vuole posizionarsi in una gerarchia disciplinare. Vuole solo essere utile. E questo obiettivo — l’utilità comunicativa — dovrebbe tornare a essere anche quello della scrittura accademica umana.

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Censis: Oltre il 70% degli italiani ritiene che negli ultimi 5 anni sia diventato più pericoloso girare per strada

Sintesi del 1° Rapporto Univ-Censis “La sicurezza fuori casa”

Il 1° Rapporto Univ-Censis “La sicurezza fuori casa”, pubblicato il 7 maggio 2025, analizza la percezione e l’esperienza della sicurezza personale degli italiani negli spazi pubblici, con particolare attenzione al ruolo della vigilanza privata e ai cambiamenti nei comportamenti sociali dovuti a timori crescenti.

Principali evidenze del rapporto:

  • Il 94,2% degli italiani desidera sentirsi tranquillo quando si trova fuori casa, mentre l’89,3% vuole almeno sentirsi al riparo dalla criminalità, soprattutto in un contesto di rischi globali come guerre, epidemie e cambiamento climatico18.

  • Il 75,8% ritiene che negli ultimi 5 anni sia diventato più pericoloso girare per strada, percentuale che sale all’81,8% tra le donne. Il 67,3% delle donne ha paura quando torna a casa di sera o di notte168.

  • La paura condiziona la vita quotidiana: il 38,1% degli italiani ha rinunciato almeno una volta a uscire per timore di subire un’aggressione, quota che arriva al 52,1% tra i giovani (18-34 anni)18.

  • Una donna su quattro ha subito almeno una molestia sessuale; le violenze denunciate sono aumentate del 35% rispetto al 201968.

  • Nel 2024 sono stati denunciati 2.388.716 reati, in crescita del 3,8% rispetto al 2019 e del 2% rispetto al 2023, ma ancora lontani dai livelli del 2014 (2.812.936 reati)38.

  • Le rapine sono state 28.631 (di cui 16.510 in pubblica via, +24,1% rispetto al 2019), i borseggi 140.690 (+2,6%) e gli scippi 13.474 (+7,9%)38.

  • Il 23,8% degli adulti è stato seguito almeno una volta da uno sconosciuto, il 20,7% ha subito uno scippo o borseggio, il 18,7% molestie sessuali, il 10,9% ha partecipato a risse o è stato coinvolto in esse, il 10,3% è stato aggredito da sconosciuti8.

Criminalità e percezione territoriale:

  • Le città con il maggior numero di reati denunciati sono Roma (271.033 reati nel 2024), Milano (226.230) e Napoli (132.809)4.

  • In rapporto alla popolazione, Milano è la provincia con il valore più alto (69,7 reati ogni 1.000 abitanti), seguita da Firenze (65,3) e Roma (64,1)4.

Ruolo della vigilanza privata:

  • Il 74,4% degli italiani considera gli operatori della vigilanza privata una presenza indispensabile per la sicurezza del territorio, mentre il 65,1% ritiene che lo Stato da solo non sia in grado di presidiare efficacemente tutto il territorio68.

Conclusioni:

Il rapporto evidenzia una crescente domanda di sicurezza e un diffuso senso di allarme sociale, soprattutto tra donne e giovani. La percezione di insicurezza si traduce in comportamenti di rinuncia e in una maggiore richiesta di intervento sia pubblico che privato, con la vigilanza privata vista come un elemento chiave per il benessere collettivo8.

Fonti ufficiali del testo

Per il testo integrale o la sintesi ufficiale, è disponibile il documento in PDF pubblicato da Censis:

Nota: Il testo integrale completo non è pubblicamente disponibile nei risultati, ma la sintesi ufficiale contiene tutti i dati principali e l’indice dei temi trattati.

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