
Introduzione: Il Concetto di Groupthink
Il groupthink è un fenomeno psicologico che si verifica all’interno di gruppi di persone e che può portare a decisioni irrazionali o disfunzionali. Questo concetto fu teorizzato e approfonditamente studiato dallo psicologo sociale Irving Janis negli anni ’70, principalmente attraverso la sua opera fondamentale “Victims of Groupthink” (1972), successivamente ampliata nel libro “Groupthink: Psychological Studies of Policy Decisions and Fiascoes” (1982).
Janis definì il groupthink come “un modo di pensare in cui le persone si impegnano quando sono profondamente coinvolte in un gruppo coeso, quando la ricerca dell’unanimità da parte dei membri prevale sulla loro motivazione a valutare realisticamente corsi d’azione alternativi”. In sostanza, è un processo in cui il desiderio di armonia o conformità all’interno del gruppo supera il pensiero critico individuale e porta a decisioni irrazionali o moralmente discutibili.
La rilevanza di questo fenomeno si estende a numerosi contesti sociali, politici e organizzativi, ma assume particolare importanza nel contesto delle attività informative e formative organizzate da gruppi di attivisti, dove la condivisione di valori e obiettivi comuni può facilmente trasformarsi in un terreno fertile per l’emergere del groupthink.
Le Origini della Teoria: Irving Janis e i Suoi Studi
Irving Lester Janis (1918-1990) era uno psicologo sociale americano che lavorava presso l’Università di Yale quando sviluppò la sua teoria sul groupthink. La sua ricerca fu ispirata dall’analisi di importanti fiaschi decisionali nella politica estera americana, come l’invasione della Baia dei Porci a Cuba nel 1961 e l’escalation della guerra in Vietnam.
Janis si chiese come gruppi di persone intelligenti e ben informate potessero prendere decisioni così palesemente errate. La sua conclusione fu che non era l’incompetenza individuale a guidare questi errori, ma piuttosto una dinamica di gruppo disfunzionale che comprometteva il processo decisionale collettivo.
Il suo approccio metodologico era principalmente basato su studi di caso retrospettivi, analizzando documenti storici, verbali di riunioni e testimonianze dei partecipanti ai processi decisionali. Questo gli permise di identificare pattern ricorrenti nei comportamenti di gruppo che precedevano decisioni fallimentari.
Le Caratteristiche e i Sintomi del Groupthink
Janis identificò otto sintomi principali del groupthink, che possono essere raggruppati in tre categorie:
Sopravvalutazione del gruppo
- Illusione di invulnerabilità: il gruppo sviluppa un eccessivo ottimismo e una propensione al rischio, credendo di essere immune da errori.
- Credenza nella moralità intrinseca del gruppo: i membri sono convinti della rettitudine morale delle loro azioni e ignorano le implicazioni etiche delle loro decisioni.
Chiusura mentale
- Razionalizzazione collettiva: il gruppo razionalizza e giustifica segnali d’allarme o informazioni contrarie che potrebbero mettere in discussione le convinzioni condivise.
- Stereotipi verso outgroup: i gruppi esterni o gli avversari sono visti come deboli, malvagi o stupidi, non meritevoli di un’analisi seria.
Pressioni verso l’uniformità
- Autocensura: i membri evitano di esprimere dubbi o opinioni divergenti per non disturbare il consenso del gruppo.
- Illusione di unanimità: si presume erroneamente che il silenzio equivalga al consenso e che tutti i membri condividano le stesse opinioni.
- Pressione diretta sui dissidenti: chi esprime dubbi viene pressato per conformarsi, talvolta attraverso ridicolizzazione o emarginazione.
- “Mindguards”: alcuni membri assumono il ruolo di “guardiani della mente”, proteggendo il gruppo da informazioni che potrebbero mettere in discussione la saggezza collettiva.
Questi sintomi interagiscono tra loro creando un ambiente in cui il pensiero critico individuale è soppresso a favore dell’armonia di gruppo, portando spesso a decisioni di qualità inferiore.
Le Condizioni Antecedenti che Favoriscono il Groupthink
Janis identificò diverse condizioni che aumentano la probabilità dell’emergere del groupthink:
Alta coesione del gruppo
La coesione è una caratteristica fondamentale che predispone i gruppi al groupthink. Quando i membri di un gruppo sono fortemente legati tra loro da sentimenti di appartenenza, lealtà e affinità, diventano più inclini a evitare conflitti e a cercare il consenso. Sebbene la coesione possa essere positiva in molti contesti, diventa problematica quando porta a evitare confronti costruttivi.
Isolamento del gruppo dalle influenze esterne
Quando un gruppo opera in isolamento, senza un regolare confronto con prospettive esterne, si sviluppa una visione sempre più ristretta e autoconfermante della realtà. L’isolamento può essere fisico (lavorare in luoghi separati) o intellettuale (rifiutare di considerare idee provenienti dall’esterno).
Mancanza di procedure metodiche per la ricerca e la valutazione delle informazioni
L’assenza di protocolli strutturati per analizzare problemi e valutare informazioni favorisce decisioni basate su impressioni soggettive piuttosto che su valutazioni razionali.
Leadership direttiva e parziale
Leader che esprimono apertamente le proprie preferenze prima di una discussione completa possono inibire la libertà di espressione dei membri del gruppo, spingendoli a conformarsi alle aspettative percepite.
Alto stress con bassa speranza di trovare soluzioni migliori di quelle proposte dal leader
In situazioni di crisi o alta pressione, con tempo limitato per prendere decisioni, i gruppi tendono a unirsi attorno alle proposte dei leader, riducendo l’analisi critica.
Omogeneità del background sociale e ideologico dei membri
Gruppi composti da persone con background, esperienze e valori simili hanno maggiori probabilità di sviluppare un pensiero omogeneo e mancano della diversità cognitiva necessaria per una valutazione critica.
Il Groupthink nei Contesti Attivisti: Un Rischio Concreto
I gruppi di attivisti, per loro natura, presentano molte delle condizioni antecedenti che favoriscono il groupthink, rendendo questi contesti particolarmente vulnerabili a questo fenomeno.
Coesione e identità condivisa
Gli attivisti si uniscono tipicamente attorno a cause in cui credono profondamente, creando un forte senso di identità condivisa e missione comune. Questa coesione, sebbene fondamentale per la motivazione e l’impegno, può facilmente trasformarsi in pressione conformistica.
Polarizzazione ideologica
I movimenti attivisti spesso operano in contesti altamente polarizzati, dove si percepisce una chiara divisione tra “noi” (i sostenitori della causa) e “loro” (gli oppositori o i non allineati). Questa polarizzazione favorisce una visione stereotipata degli outgroup e una sopravvalutazione della moralità ingroup.
Impegno emotivo nelle cause
Le cause sostenute dagli attivisti sono frequentemente cariche di significato emotivo e morale, aumentando la probabilità che le decisioni siano guidate da considerazioni affettive piuttosto che da un’analisi razionale e obiettiva.
Strutture organizzative orizzontali o carismatiche
Molti gruppi attivisti adottano strutture decisionali orizzontali che, paradossalmente, possono favorire il groupthink attraverso la pressione dei pari, o si affidano a leader carismatici le cui opinioni diventano difficili da contestare.
Rischi Specifici nelle Attività Informative e Formative
Quando i gruppi attivisti organizzano attività informative o formative, i rischi associati al groupthink diventano particolarmente significativi e possono compromettere l’efficacia e l’integrità di queste iniziative in diversi modi:
Distorsione nella selezione delle informazioni
Il groupthink può portare a una selezione biased delle informazioni da condividere durante eventi formativi o informativi. I dati e le ricerche che supportano le posizioni preesistenti del gruppo vengono amplificati, mentre le evidenze contrarie vengono minimizzate o ignorate completamente. Questo processo di “cherry picking” porta a una rappresentazione sbilanciata della realtà che può danneggiare la credibilità dell’iniziativa e disinformare i partecipanti.
Per esempio, un gruppo di attivisti ambientali potrebbe presentare solo studi che evidenziano gli impatti negativi di una tecnologia, ignorando ricerche che ne mostrano i potenziali benefici o le strategie di mitigazione dei rischi.
Mancanza di pluralismo nelle fonti e nelle prospettive
Le attività informative influenzate dal groupthink tendono a presentare una visione unilaterale delle questioni complesse. L’assenza di pluralismo nelle fonti e nelle prospettive impoverisce il dibattito e impedisce ai partecipanti di sviluppare una comprensione sfumata e completa degli argomenti trattati.
In un contesto formativo, questo può tradursi nell’invito esclusivo di relatori che condividono la stessa visione ideologica, creando una “camera dell’eco” che rinforza le convinzioni preesistenti anziché stimolare il pensiero critico.
Semplificazione eccessiva di questioni complesse
Il groupthink favorisce narrazioni semplificate che riducono problemi complessi a dicotomie di “bianco o nero” o relazioni causali eccessivamente lineari. Questa semplificazione può risultare efficace per mobilitare emotivamente un pubblico, ma compromette la comprensione autentica delle sfide sociali, politiche o scientifiche affrontate.
Ad esempio, le cause di fenomeni complessi come la povertà o i cambiamenti climatici potrebbero essere ridotte a singoli fattori, ignorando la molteplicità di variabili interconnesse che caratterizzano questi problemi.
Delegittimazione del dissenso interno ed esterno
Nelle attività formative influenzate dal groupthink, le voci dissidenti all’interno del gruppo possono essere silenziate o marginalizzate. Domande scomode o prospettive alternative vengono percepite come una minaccia all’unità del gruppo piuttosto che come un’opportunità di approfondimento e perfezionamento delle idee.
Allo stesso modo, critiche o obiezioni provenienti dall’esterno vengono spesso delegittimate attribuendo agli oppositori motivazioni negative o ignoranza, piuttosto che essere considerate come potenziali contributi costruttivi.
Meccanismi Psicologici che Amplificano il Groupthink nei Contesti Attivisti
Diversi processi psicologici interagiscono con il groupthink nei contesti attivisti, amplificandone gli effetti:
Polarizzazione di gruppo
La polarizzazione di gruppo è un fenomeno per cui le discussioni all’interno di un gruppo tendono a portare i membri verso posizioni più estreme rispetto a quelle che avrebbero individualmente. Nei contesti attivisti, le discussioni ripetute su temi di comune interesse possono gradualmente spingere il gruppo verso posizioni sempre più radicali, riducendo lo spazio per il dialogo con prospettive moderate o diverse.
Dissonanza cognitiva
Gli attivisti investono spesso considerevoli risorse personali (tempo, energia, relazioni sociali) nelle loro cause. Questo investimento crea una forte pressione psicologica a giustificare tali sacrifici, rendendo difficile riconoscere informazioni che potrebbero suggerire che la causa non è così valida o urgente come si pensava. La dissonanza cognitiva può quindi spingere verso un rafforzamento delle convinzioni esistenti anche di fronte a evidenze contrarie.
Effetto conferma (Confirmation bias)
La tendenza naturale a cercare e interpretare informazioni in modo da confermare le proprie convinzioni preesistenti è particolarmente forte nei contesti attivisti, dove le credenze sono spesso legate a valori fondamentali e all’identità personale. Questo bias cognitivo rafforza il groupthink portando il gruppo a considerare principalmente evidenze a supporto delle proprie posizioni.
Effetto alone morale
Nei gruppi attivisti, la percezione di essere “dalla parte giusta della storia” può creare un “effetto alone morale” che porta a giudicare tutte le azioni del gruppo come intrinsecamente buone e quelle degli oppositori come intrinsecamente sospette o negative. Questo effetto inibisce la capacità di autocritica e la valutazione obiettiva delle strategie e dei messaggi del gruppo.
Casi Esemplificativi di Groupthink nelle Attività Formative di Gruppi Attivisti
Caso 1: I movimenti anti-vaccinisti e la formazione dei genitori
Alcuni gruppi attivisti anti-vaccinisti hanno organizzato workshop formativi per genitori in cui si manifestavano chiari segni di groupthink. In questi contesti, venivano presentati selettivamente studi marginali o screditati che suggerivano correlazioni tra vaccini e disturbi dello sviluppo, ignorando il vasto corpo di ricerche scientifiche che ne dimostrava la sicurezza. Le domande critiche venivano scoraggiate, e i dubbi relegati a “influenze dell’industria farmaceutica”. L’isolamento intellettuale del gruppo ha portato a decisioni che hanno messo a rischio la salute dei bambini e delle comunità.
Caso 2: Attività formative in movimenti politici radicali
In alcuni movimenti politici con tendenze radicali, le attività formative dei nuovi membri possono essere caratterizzate da forte groupthink. I materiali didattici presentano interpretazioni fortemente ideologizzate degli eventi storici e contemporanei, senza spazio per prospettive alternative. I membri che esprimono dubbi vengono etichettati come “non sufficientemente impegnati” o “influenzati dal sistema”. Questa chiusura intellettuale può portare il gruppo a strategie controproducenti o a posizioni sempre più estreme e disconnesse dalla realtà sociale.
Caso 3: Campagne di sensibilizzazione ambientale semplificate
Alcune campagne educative su temi ambientali hanno mostrato segni di groupthink presentando scenari catastrofici come inevitabili e soluzioni semplicistiche come uniche alternative. In questi contesti, le complessità tecniche, economiche e sociali della transizione ecologica vengono ridotte a narrazioni binarie di “buoni contro cattivi”, e le critiche alle strategie proposte vengono interpretate come opposizione alla causa ambientale stessa. Questo approccio può alienare potenziali alleati e ridurre l’efficacia delle campagne.
Il Groupthink come Strumento Funzionale: Un’Analisi Critica
Contrariamente a quanto si potrebbe inizialmente pensare, in molti contesti attivisti il groupthink non è un problema accidentale da risolvere, ma piuttosto uno strumento funzionale agli obiettivi del gruppo. Questa prospettiva più critica ci porta a riconsiderare la natura stessa delle attività formative e informative organizzate da gruppi attivisti.
Il Paradosso della Formazione Attivista
Le iniziative formative organizzate da attivisti presentano un paradosso intrinseco: pur dichiarando spesso finalità educative, il loro obiettivo primario è tipicamente persuasivo e mobilitativo. Questa tensione fondamentale tra l’imperativo educativo (favorire il pensiero critico e la comprensione complessa) e l’imperativo persuasivo (convincere e reclutare) crea le condizioni ideali per l’emergere e il radicarsi del groupthink.
Gli attivisti, indipendentemente dalla causa che sostengono, organizzano attività formative principalmente per:
- Consolidare la coesione interna del gruppo
- Reclutare nuovi membri e sostenitori
- Legittimare le proprie posizioni e strategie
- Motivare all’azione collettiva
Questi obiettivi risultano più facilmente raggiungibili in un contesto caratterizzato da un certo grado di groupthink piuttosto che in un ambiente di autentico pluralismo e dibattito aperto.
Il Groupthink come Meccanismo di Radicalizzazione
Nei gruppi più estremisti, come organizzazioni terroristiche (ISIS, Brigate Rosse) o movimenti fortemente ideologizzati, il groupthink non è un difetto ma una caratteristica essenziale del funzionamento del gruppo, che facilita:
- Il rafforzamento dell’identità collettiva: La visione dicotomica del mondo (noi vs. loro) rafforza il senso di appartenenza
- La progressiva normalizzazione di posizioni radicali: L’esposizione ripetuta a idee estreme in un contesto di approvazione sociale ne riduce gradualmente la percezione di straordinarietà
- La legittimazione di mezzi altrimenti inaccettabili: La convinzione della suprema giustezza della causa rende accettabili mezzi estremi
- La prevenzione di defezioni: L’isolamento informativo e la pressione conformista riducono la probabilità di abbandono
Il Groupthink nei Contesti Attivisti Moderati
Anche in contesti attivisti meno estremi e con cause generalmente considerate legittime (ambientalismo, diritti civili, ecc.), il groupthink serve funzioni importanti:
- Semplificazione comunicativa: Messaggi netti e privi di ambiguità sono più efficaci nella mobilitazione rispetto a posizioni sfumate
- Efficienza decisionale: Ridurre il dibattito interno permette di agire più rapidamente
- Coerenza narrativa: Una visione omogenea facilita la creazione di una narrazione convincente e facilmente trasmissibile
- Resistenza alle critiche esterne: Un gruppo coeso è meno vulnerabile ai tentativi di delegittimazione da parte di oppositori
L’Improbabilità delle Strategie Anti-Groupthink
Alla luce di queste considerazioni, diventa evidente perché le strategie teoriche per mitigare il groupthink nelle attività formative attiviste risultino poco credibili nella pratica:
- Contraddizione con gli obiettivi impliciti: Introdurre genuino pluralismo e pensiero critico ridurrebbe l’efficacia persuasiva e mobilitativa dell’iniziativa
- Resistenza psicologica dei leader: I promotori hanno investito emotivamente e socialmente nelle posizioni sostenute e sono poco inclini a metterle in discussione
- Rischio percepito di diluire il messaggio: La complessità e le sfumature vengono spesso viste come minacce all’efficacia comunicativa
- Timore di demoralizzazione: L’esposizione a contro-argomentazioni solide potrebbe ridurre la motivazione e l’impegno dei partecipanti
Come Difendersi dal Groupthink: Strategie Individuali
Dal punto di vista del singolo partecipante, l’approccio più realistico per evitare di cadere vittima del groupthink in contesti formativi attivisti include:
- Riconoscere la natura persuasiva dell’evento: Partecipare con piena consapevolezza che si tratta primariamente di un’iniziativa di mobilitazione, non di educazione neutrale
- Mantenere connessioni cognitive esterne: Conservare relazioni significative con persone che hanno visioni diverse come “ancora” contro la deriva conformista
- Verificazione autonoma: Controllare sistematicamente le informazioni ricevute attraverso fonti con orientamenti diversi
- Approccio antropologico: Considerare la partecipazione come un’opportunità per comprendere una particolare prospettiva piuttosto che come un percorso verso “la verità”
- Riconoscere i segnali d’allarme: Prestare attenzione a indicatori di groupthink come la delegittimazione sistematica dei critici o la semplificazione eccessiva di questioni complesse
La Soluzione Più Efficace: Evitare o Abbandonare
In ultima analisi, la strategia più efficace per evitare di essere influenzati dal groupthink in contesti attivisti è probabilmente la più radicale: evitare la partecipazione a queste attività, o abbandonarle una volta riconosciuta una significativa divergenza tra le proprie idee e quelle promosse dal gruppo.
Questa conclusione può apparire pessimistica, ma rappresenta un riconoscimento realistico della natura intrinsecamente persuasiva – più che autenticamente educativa – della maggior parte delle attività formative organizzate da gruppi attivisti. Il groupthink in questi contesti non è un incidente di percorso ma parte integrante del loro funzionamento.
Conclusione: Una Visione Realistica dell’Attivismo e del Groupthink
Alla luce dell’analisi svolta, è necessario abbandonare l’approccio ingenuo che vede il groupthink come un problema risolvibile all’interno delle attività formative organizzate da attivisti. Il fenomeno del groupthink in questi contesti non è semplicemente un effetto collaterale indesiderato, ma spesso un elemento strutturale funzionale agli obiettivi persuasivi e mobilizzanti di tali iniziative.
L’attivismo, per sua natura, si basa sulla convinzione di possedere verità significative che meritano di essere diffuse e trasformate in azione collettiva. Questa posizione epistemologica di partenza crea inevitabilmente una tensione con i principi di indagine aperta, pluralismo intellettuale e complessità che sarebbero necessari per contrastare efficacemente il groupthink.
La consapevolezza di questa realtà non deve portare necessariamente a un rifiuto totale dell’attivismo come forma di partecipazione sociale. Piuttosto, dovrebbe invitare a un approccio più maturo e realistico, in cui:
- I destinatari delle attività formative sviluppano strumenti di “autodifesa cognitiva” che permettono loro di beneficiare degli aspetti informativi mantenendo un distacco critico
- Gli osservatori esterni comprendono la natura intrinsecamente persuasiva di queste attività e le valutano di conseguenza, senza aspettarsi una neutralità o un pluralismo irrealistici
- Gli stessi attivisti potrebbero guadagnare in efficacia a lungo termine riconoscendo i limiti del groupthink, anche se probabilmente questa consapevolezza emergerà più facilmente in individui che hanno già preso le distanze dal gruppo piuttosto che in quelli pienamente integrati
In una società democratica e pluralista, gli attivisti possono svolgere un ruolo utile nel sollevare questioni, mobilitare energie e promuovere cambiamenti. Allo stesso tempo, riconoscere la natura inevitabilmente biased delle loro attività formative e il ruolo funzionale che il groupthink svolge in esse rappresenta un passo fondamentale verso una partecipazione civica più consapevole e matura.
La soluzione più efficace al problema del groupthink nelle attività formative organizzate da attivisti non sta tanto nel cercare di riformarle dall’interno – operazione probabilmente destinata al fallimento – quanto nello sviluppare una cultura civica caratterizzata da maggiore pluralismo informativo, pensiero critico e disponibilità a considerare molteplici prospettive. In questo senso, la vera immunità al groupthink non si sviluppa partecipando alle attività formative degli attivisti, ma mantenendosi intellettualmente attivi in una varietà di contesti informativi differenti e, quando necessario, riconoscendo saggiamente quando è il momento di allontanarsi.
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