La Grande Crisi Economica 2008-2013

La situazione di difficoltà economica e elevata disoccupazione in cui si trovano l’Italia e altri Paesi europei è iniziata dal 2008. Questo articolo spiega in termini volutamente semplici le cause della crisi.

1. Le dimensioni della crisi

Le tabelle che seguono mostrano come nel 2008 si è verificata una brusca caduta del commercio mondiale, un forte calo della produzione industriale (la tabella riporta dati solo relativi all’Europa) e un forte aumento della disoccupazione che, in Europa, continua tuttora a crescere (EA 17 indica i paesi europei che utilizzano l’Euro).

Andamento del commercio mondiale. Fonte: Wikipedia

trade

 

Andamento della produzione industriale in Europa. Fonte Eurostat

Industrial

 

Andamento del tasso di disoccupazione. Fonte Eurostat

unemployment

Nel solo periodo 2008-2010 si sono persi in Europa 4 milioni di posti di lavoro (Shifts in the job structure in Europe during the Great Recession, pag. 7). Negli anni successivi il dato è ulteriormente aumentato.

2. Le cause della crisi. La struttura del sistema finanziario

Crediti e prestiti sono parte integrante del nostro sistema economico, e permettono un livello di produzione e di scambi enormemente superiore a quello che si avrebbe senza di essi; ma, poiché i crediti non sempre vengono pagati e il denaro in prestito restituito, comportano il rischio di perdite per chi li concede e, se le perdite diventano troppo alte, produzione e scambi possono rallentare notevolmente. Poiché crediti e prestiti sono così importanti, nel nostro sistema economico ci sono vari operatori che se ne occupano, in particolare le banche, e una serie di operatori finanziari specializzati nell’investimento nella gestione di risparmio quali ad esempio, in Italia, SIM Società di Intermediazione Mobiliare, SGR Società di gestione del risparmio, SICAV Società di Investimento a Capitale Variabile, etc.

Le banche raccolgono denaro da chi ne ha in eccesso (ad esempio da tutte le persone e le imprese che spendono meno soldi di quelli che incassano mensilmente) e lo prestano a chi ne ha bisogno. La raccolta di denaro da parte delle banche può avvenire semplicemente offrendo la possibilità di aprire conti correnti ma anche vendendo al pubblico dei prodotti finanziari quali ad esempio obbligazioni, fondi d’investimento, derivati, etc, che danno un tasso di interesse sul denaro investito.

Molti prodotti finanziari hanno una durata prestabilita, vale a dire che una volta acquistati non è possibile ritrasformarli in denaro prima della loro scadenza, tuttavia possono essere venduti ad altri risparmiatori in un mercato speciale che si chiama Borsa Valori. Per la sua struttura la borsa valori si presta ad attività speculative cioè ad acquisti e vendite di azioni, obbligazioni e di altri strumenti finanziari prima della loro scadenza, effettuati solo per guadagnare sulla differenza tra il costo di acquisto di vendita. Questa attività speculativa, che può essere svolta da privati, banche e altri operatori finanziari comporta un elevato rischio di perdite e favorisce oscillazioni anche marcate del valore dei rendimenti dei titoli scambiati.

Le banche si fanno anche prestiti fra loro. Ad esempio banche che sono localizzate in zone dove ci sono molti risparmiatori e poche imprese o che indirizzano i propri servizi soprattutto ai risparmiatori tendono ad avere denaro da prestare ad altre banche o allo Stato, e ugualmente banche localizzate in zone industriali o che indirizzano i propri servizi ad imprese tendono ad aver bisogno di denaro aggiuntivo rispetto a quello che raccolgono dai risparmiatori e possono chiedere prestiti ad altre banche o allo Stato. Le banche che hanno un avanzo di denaro possono inoltre impiegarlo per l’acquisto di prodotti finanziari.

Tutti gli Stati danno in prestito denaro alle banche quando queste ne hanno bisogno. Il tasso di interesse a cui lo Stato concede prestiti alle banche si chiama tasso di sconto e influenza la quantità di crediti concessi dalle banche: quando il tasso di sconto è basso le banche, a parità di altre condizioni, concederanno una quantità di prestiti maggiore, perciò in genere quando il tasso di sconto è basso i consumatori faranno più acquisti e le imprese maggiori investimenti.

Dunque, riassumendo, le banche raccolgono denaro da privati e aziende che ne hanno in eccesso, da altre banche, e dalle autorità finanziarie statali (Banca centrale). Il denaro può essere raccolto aprendo dei conti correnti attivi, ottenendo dei prestiti, emettendo sul mercato strumenti finanziari quali le obbligazioni. Il denaro raccolto può essere prestato a privati, aziende e Stati che ne hanno bisogno attraverso l’apertura di conti correnti passivi o l’acquisto di obbligazioni emesse da grandi aziende e Stati. Il denaro raccolto può essere inoltre utilizzato per acquisti e vendita di azioni, obbligazioni e altri strumenti finanziari prima della loro scadenza con finalità speculative.

Gli operatori finanziari diversi dalle banche, da parte loro, raccolgono denaro da privati, imprese, banche anche attraverso l’emissione di prodotti finanziari e lo investono in borsa per ottenerne un utile.

Anche le grandi imprese e gli Stati prendono denaro in prestito. Gli Stati prendono in prestito denaro perché sono costantemente in deficit (spendono più soldi di quanti ne raccolgono con imposte e tasse). In Italia le ‘obbligazioni’ emesse dallo Stato si chiamano ad esempio BOT, BTP, CCT, etc.

Nella loro attività di raccolta e impiego di denaro le banche devono fare attenzione:

A. A non prestare troppo denaro in più di quanto ne raccolgono, perché se per qualche motivo i risparmiatori  chiedessero il rimborso delle somme prestate, la banca potrebbe non avere denaro liquido a sufficienza per rimborsarlo a tutti e in teoria fallirebbe. In molti Paesi ci sono vincoli di legge al tipo di attività (concessione di prestiti solo di breve o solo di lungo periodo), al volume dei crediti che le banche  possono concedere con riguardo al totale del denaro raccolto dai risparmiatori

B. A prestare denaro solo a soggetti che avranno la capacità di rimborsarlo alla scadenza perché, se l’impresa o il consumatore che ha ottenuto il prestito falliscono, i soldi prestati sono persi.

C. Ad acquistare soprattutto prodotti finanziari sicuri, che, anche se rendono meno di quelli rischiosi, alla scadenza siano restituiti e che in caso di necessità sia possibile vendere a un valore vicino a quello di acquisto. Questo accorgimento vale anche per gli operatori finanziari diversi dalle banche.

Altri due elementi importanti sono i seguenti:

D. Gli utili, la solidità e la reputazione delle banche e degli altri operatori finanziari dipendono dal valore del loro capitale. Poiché la gran parte del capitale bancario è impiegato in prestiti e prodotti finanziari, se il valore dei prodotti finanziari posseduti cala oppure una gran parte dei prestiti si rivelano inesigibili calano utili, solidità e reputazione.

E. Tutto il sistema finanziario si regge sulla fiducia, in particolare sulla fiducia di chi presta denaro che i debitori (Stati, banche, imprese, consumatori) siano in grado di restituire i soldi quando richiesto e che i prodotti finanziari di durata prestabilita siano facilmente vendibili a terzi a un valore vicino a quello di emissione o di acquisto. Se la fiducia viene meno a causa di eventi che possono avere un effetto negativo sull’attività economica (guerre, epidemie, eventi naturali catastrofici) o di crisi economica chi dispone di denaro riduce drasticamente gli investimenti e come conseguenza il livello dell’attività economica si riduce notevolmente.

Questa premessa ci permette di capire cosa è accaduto nella crisi economica iniziata nel 2008.

3. Le cause della crisi. L’evoluzione del settore finanziario prima del 2008

La crisi del 2008 è dovuta innanzitutto ad alcuni cambiamenti strutturali del sistema finanziario internazionale e statunitense verificatisi a partire dagli anni ’80 (per un dettaglio vedi Crisi economica del 2008-2013 e per gli Stati Uniti, Timeline of the United States housing bubble):

  • l’aumento nel sistema finanziario del denaro disponibile per investimenti, dovuto sia a un consistente aumento degli attivi commerciali dei Paesi produttori di petrolio e di alcuni Paesi in via di sviluppo che ai bassi tassi di sconto fissati dagli Stati
  • la progressiva liberalizzazione della circolazione internazionale di capitali
  • l’allentamento dei vincoli posti dagli Stati alle banche relativamente al tipo di prestiti e alla quantità di denaro prestabile rispetto al risparmio raccolto (punto A del capitolo precedente)  e una riduzione del controllo degli Stati sulla creazione e gli scambi di prodotti finanziari. Per una sintesi della liberalizzazione del sistema finanziario negli Stati Uniti vedi The Subprime Crisis: Deregulating Derivatives and Making Messy Money!
  • la nascita di nuovi strumenti finanziari assai rischiosi come i derivati, prodotti finanziari il cui valore di emissione (e, una volta emessi, di mercato) è basato sul valore di mercato di altri beni o di altri prodotti finanziari.

Questi sviluppi hanno portato negli ultimi 20 anni a una enorme espansione della quantità di prodotti finanziari esistenti, a un aumento del rischio medio dei prodotti finanziari e a una maggiore interconnessione e potenziale instabilità del sistema finanziario internazionale.

Negli anni 2004-2006 si è verificata negli Stati Uniti una forte crescita del credito ai consumatori, grazie a un tasso di sconto tenuto molto basso dalla Federal Reserve, la banca centrale americana. Questo, assieme a una serie di provvedimenti iniziati a metà degli anni 70 per favorire l’acquisto di abitazioni da parte di appartenenti alle minoranze etniche e di persone con ridotta capacità finanziarie, ha portato negli anni a un forte aumento degli acquisti di abitazioni il cui valore di conseguenza è andato alle stelle. Le banche hanno concesso un gran numero di mutui sub prime, cioè a famiglie che non erano in grado di fornire garanzie sufficienti, per acquistare abitazioni a un costo che progressivamente diventato molto alto. Ad esempio dal 2004 al 2006  negli Stati Uniti la percentuale di mutui subprime sul totale mutui è passata dall’8% al 20%. I mutui subprime erano per il 90% a tasso variabile, legato all’andamento del tasso di sconto (Subprime mortgage crisis).

I mutui sono stati poi cartolarizzati dalle banche che li avevano concessi, cioè trasformati in prodotti finanziari derivati (con un alto tasso di interesse, dovuto alla loro maggiore rischiosità) e venduti a risparmiatori e altre banche. Indebitamento delle famiglie, esplosione dewl credito.

Per rallentare questo trend, la Federal Reserve ha iniziato ad aumentare progressivamente il tasso di sconto, che dal 2% del giugno 2003  arriva al 4,50% dell’agosto del 2005 (per poi proseguire ulteriormente fino a un massimo del 6% nel maggio del 2007, fonte Federal Reserve). L’aumento del tasso di sconto ha portato a un aumento del costo delle rate dei mutui che, a partire dal 2006, molte famiglie (soprattutto quelle che avevano sottoscritto mutui sub prime) si sono trovate incapaci di pagare. Molte abitazioni sono state così messe all’asta. Nel 2006 si sono avuti 1.200.000 pignoramenti con un aumento del 42% rispetto al 2005 (More than 1.2 million foreclosure filings reported in 2006), 2.200.000 nel 2007 (U.S. foreclosure activity increases 75 percent in 2007), 3.000.000 nel 2008 (2008 foreclosure filings set record), e così via. L’offerta sul mercato delle abitazioni pignorate e l’aumentato costo dei mutui sulle abitazioni hanno portato a partire dal 2007 un calo delle quotazioni delle abitazioni (-33% nel 2009 United States housing market correction),

L’alta percentuale di mancati pagamenti dei mutui ha portato a:

  • grosse perdite e fallimenti nelle banche che li avevano emessi (punti A e B del capitolo 2)
  • un calo drastico del valore dei prodotti finanziari basati sui mutui che erano stati emessi (C.2.)
  • perdite per consumatori, fondi di investimento e altre banche che li avevano acquistati (C.2.)
  • riduzione del capitale dei fondi di investimento delle banche a causa delle perdite (D.2.)
  • riduzione del valore delle azioni di fondi di investimento e banche a causa delle perdite e della riduzione del capitale (D.2.)
  • vendita delle azioni delle banche e conseguente calo generale dell’indice di borsa americano (C.2. e D.2.)
  • riduzione di fiducia sul sistema finanziario e conseguente riduzione degli investimenti e calo del livello dell’attività economica (E.2.)

Dal 2007 varie banche americane vanno in bancarotta (fra cui, nel 2009, Lehman Brothers, quarto istituto di credito americano), vengono acquisite da gruppi bancari in migliori condizioni (Merril Lynch, Bear Sterns) o si salvano solo grazie all’intervento del Ministero del tesoro statunitense, che concede garanzie e linee di credito a tassi vicini allo zero (Citigroup) o addirittura le nazionalizza (Freddie Mac, Fannie Mae, AIG)  (Timeline of the United States housing bubble).

4. La propagazione della crisi al di fuori degli Stati Uniti

La crisi finanziaria statunitense si è propagata agli altri paesi attraverso cinque meccanismi fondamentali:

  1. perdite elevate in banche e altri intermediari finanziari non statunitensi che avevano investito su titoli derivati collegati ai mutui sub prime e/o sulle azioni delle banche e degli altri intermediari finanziari statunitensi che sono falliti o andati in crisi (vedi le tre banche Islandesi)
  2. riduzione dei prestiti interbancari a livello internazionale, con una conseguente riduzione del credito totale disponibile
  3. riduzione dei prestiti a consumatori e al sistema produttivo a causa della riduzione dei prestiti interbancari a livello internazionale e della crisi di fiducia sul sistema finanziario internazionale, con conseguente calo della produzione e riduzione dei consumi
  4. riduzione degli investimenti e dei consumi a causa della crisi di fiducia sul sistema finanziario internazionale
  5. riduzione delle esportazioni verso gli Stati Uniti e verso gli altri paesi la cui produzione e consumi si sono ridotti.

La riduzione dell’attività economica che si è verificata in Italia sembra sia da attribuire soprattutto alla riduzione delle esportazioni italiane (punto E) e, in misura minore, da riduzione del credito alle imprese e ai consumatori (punto C)  e da un riduzione degli investimenti e dei consumi dovuti alla sfiducia (punto D).

A distanza di cinque anni dalla crisi vari paesi industrializzati, fra cui ad esempio Stati Uniti, Germania e Gran Bretagna, hanno sperimentato una ripresa dell’attività economica, mentre il prodotto interno lordo italiano è ancora in fase di stagnazione. Le cause di questa mancata ripresa dipendono da una serie di altri problemi dell’economia italiana che richiederebbero un altro articolo.

Secondo dati ISTAT, dal 2007 al 2013 l’Italia ha perso il 25% del prodotto industriale, vedi l’articolo Crisi: l’Italia ha perso un quarto del prodotto industriale, la Germania ha già recuperato.

Secondo l’economista Michele Salvati, in un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera il 1 Ottobre 2014,

[in Italia] Le inefficienze sono diffuse in quasi tutti i comparti del nostro sistema-Paese. È dal fallimento del centrosinistra, da più di quarant’anni, che l’Italia vive alla giornata, che la lotta politica riguarda non diversi progetti di futuro ma diverse modalità di ottenere — a spese dello Stato e gonfiando la spesa corrente — un consenso elettorale nel presente. E anche quando si ruppe l’infausto equilibrio politico della Prima Repubblica, e i primi otto anni di moneta unica ci regalarono risorse eccezionali a seguito del crollo dei tassi di interesse, queste furono sprecate per ottenere consenso, non per mettere in sicurezza il Paese. E poi, nel 2008, è arrivata la crisi finanziaria americana e la festa è finita. Dunque crepe da tutte le parti, non un singolo grande ostacolo su cui concentrare le scarse risorse di cui disponiamo, ma numerose inefficienze e ingiustizie (le due vanno spesso insieme) da affrontare con un doloroso bisturi, e non con una semplice sciabolata. Inefficienze e ingiustizie nel settore pubblico e privato: nel regime fiscale, nella scuola, nella giustizia, in quasi tutti i comparti della pubblica amministrazione, nella legislazione sul lavoro e sul welfare, nelle imprese e nel sistema finanziario, nel Mezzogiorno — e sarebbe impietoso continuare — tutte dovute all’assenza di un progetto di futuro che avrebbe consentito un lavoro continuo di manutenzione, di indirizzo e investimento.

5. Gli effetti della crisi sulla politica in Europa

In un commento sulla vicenda greca (la rinegoziazione del debito greco dell’estate 2015) ho letto che l’economia ha vinto sulla politica. Ma questo, almeno nel medio e lungo periodo, è quello che accade sempre, è una legge di natura. E’ una legge di natura che a livello produttivo i ricavi debbano essere maggiori dei costi, altrimenti qualcuno deve accollarsi la differenza negativa oppure l’attività andrà fallita. Ed è ugualmente una legge di natura che a livello nazionale le spese pubbliche debbano essere minori o almeno uguali alle somme raccolte con la tassazione, altrimenti la differenza andrà compensata col ricorso e il pagamento di  prestiti; in caso contrario la nazione andrà fallita. Non è uno scandalo che le politiche dei paesi in deficit siano decise almeno in parte dai debitori. I paesi che scelgono di indebitarsi cedono ai creditori parte della loro sovranità nazionale, allo stesso modo di un imprenditore che per necessità di soldi ipoteca le proprietà dell’azienda o i propri beni personali. Se le politiche dei paesi in deficit non sono credibili, i debitori non rinnovano i prestiti e il paese fallisce, perciò diventa giocoforza seguire il parere e le indicazioni dei creditori.

La crisi economica iniziata nel 2008, il progressivo invecchiamento della popolazione e politiche di spesa pubblica dissennate (come in Italia, in Grecia) hanno reso insostenibile il welfare state e i sistemi pubblici elefantiaci e inefficienti che sono stati costruiti a partire dal 1960. In aggiunta, la maggiore concorrenza internazionale dovuta alla globalizzazione spinge in basso il prezzo di beni e servizi e punisce quei paesi europei che non abbassano il costo del lavoro, non ne liberalizzano l’utilizzo, e non aumentano la concorrenza interna.

In questo deprimente scenario le Sinistre europee sono spiazzate perché la loro politica del ‘tassa e spendi’ in una solidarietà fuori dai vincoli di bilancio non è più praticabile. La nuova sfida per la Sinistra è piuttosto come coniugare i tradizionali valori di solidarietà e eguaglianza con i vincoli di bilancio. Fra l’altro l’eguaglianza predicata dalla Sinistra si è rivelata spesso un privilegio a favore dei lavoratori dipendenti e in particolare di quelli pubblici, a scapito di tutti gli altri, prova a confrontare il trattamento dei cassintegrati Alitalia con quello dei lavoratori atipici che perdono il lavoro, oppure la pensione di molte categorie di lavoratori dipendenti con le pensioni degli atipici. Per molti anni la giustificazione di chi si assegnava privilegi è stata ‘Oggi me lo prendo io, ma domani toccherà anche a te’. Per molte categorie di cittadini quel domani non è mai arrivato, e oggi che mancano le risorse le ineguaglianze esistenti sono intollerabili e vanno ridotte al più presto.

Alcuni politici della Sinistra adesso si riscoprono radicali (vedi Jeremy Corbin nel Labour Party britannico, ma anche la sinistra del PD); si affermano inoltre movimenti populisti come i 5 Stelle,  Podemos o la vecchia Syriza. Le aspirazioni di questi gruppi, per quanto ho scritto sopra sull’economia che vince sempre sulla politica,  ricordano quelle dei luddisti. Il loro eventuale ingresso al governo avrebbe il solo scopo di bloccare le politiche di razionalizzazione e peggiorare il già fragile equilibrio dei loro paesi (vedi gli effetti devastanti che l’approccio populista e radicale di Varoufakis ha avuto nella crisi greca).

Vedi l’intervista a Yves Meny Una crisi ideologica dietro al trionfo delle sinistre radicali apparsa su La Repubblica il 15 settembre 2015.

Vedi anche

Articolo contenuto sul sito www.orientamento.it. Autore Leonardo Evangelista. Leonardo Evangelista si occupa di orientamento dal 1993. L’articolo rispecchia le opinioni dell’autore al momento dell’ultima modifica. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy, cookie policy e Copyright.

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